stasera sono stato a un concerto di musica argentina.. Astor Piazzolla per la preisione al convento del paese, diventato museo-antiquarium ( un posto che se va in porto una certa cosa mi sa che conoscerò molto bene nei prossimi mesi..) e devo dire che l’orchestra era bravissima e la musica molto bella… molto coinvolgente !!!

Mi auguro che tutti voi abbiate trascorso una bella giornata dell’Assunta. Intendo oggi tirare le fila delle mie riflessioni di questi ultimi giorni (spero di non avervi ammorbato: immagino che molti staranno rimpiangendo Luke…. torna, torna, non vi preoccupate!). Il risultato delle mie riflessioni è stato in sostanza che il blog è divenuto un potente, potentissimo mezzo di comunicazione molto intima e personale. Al blog si affidano pensieri, sensazioni ed emozioni che altrimenti terremmo per noi e che invece abbiamo il desiderio di comunicare e condividere. Ecco… comunicare, il punto è proprio qui. Siamo persone troppo spesso incapaci di comunicare, di metterci in contatto con chi ci è vicino, nonostante, grazie ai moderni mezzi di comunicazione, le distanze siano compresse e ridotte al massimo. Non riusciamo più ad entrare in empatia ed in simpatia con gli altri. Questo fenomeno, purtroppo, è palesemente davanti ai nostri occhi. Non ci si parla più, “non si ha tempo”, si ha sempre “altro” da fare. E in questa smania di comunicare abbiamo perso una grandissima ed importantissima capacità, quella di ascoltare. Sentiamo, ma non ascoltiamo! Si ergono così dei muri di incomprensione e dei fossati tra le persone creando, intorno agli uomini un grande e profondo vuoto. Siamo come tanti ripetitiori che emettono segnali ma senza che vi sia un apparecchio ricevente. Tutto ciò è quanto di più snaturante e disumanizzante possa esserci. Quando Aristotele definiva l’uomo come “animale da città” (il famoso “zoon politikòn”) voleva esprimere proprio questa necessità intrinseca al genere umano, quello di vivere rivolto alla collettività, rivolto verso gli altri: abbiamo necessità di interagire tra noi. Invece no, il comunicare oggi deve essere rapido, stringato ed efficace,  in questo nostro mondo dove il consumismo è una realtà anche nei rapporti personali, ecco che  il mezzo preferito per comunicare è un sms, un messaggio breve che in 160 caratteri assolve (o meglio, dovrebbe assolvere) alla funzione comunicativa. Ecco dunque che l’ultima frontiera del comunicare, l’ultimo sfogo di un bisogno naturale (quello della comunicazione) oggi sembra essere rappresentata dai blog, un “luogo-non-luogo” dove poter essere sè stessi perchè, spesso protetti dall’anonimato garantito da un soprannome, si è al riparodai giudizi impietosi e dagli attacchi di altri che all’amore preferiscono la sopraffazione o la prevaricazione, frequentemente per motivi alquanto bassi. Se solo riuscissimo a recuperare anche un pò di questa capacità di ascoltare e di capire chi abbiamo accanto, forse questo mondo, spesso così triste, progressivamente acquisterebbe una luce migliore. Spero di essere stato chiaro e di aver espresso con chiarezza e completezza il mio pensiero, ma soprattutto, di non avervi annoiato.

La tipologia di blog cui ho fatto cenno nel post di ieri è quella dei blog personali, blog che definirei anche “intimistici“, ovvero degli spazi in cui si parla di sè stessi, della propria vita quotidiani, dei piccoli e grandi accadimenti che ci colpiscono in senso positivo e in senso negativo. Questo tipo di blog sono la maggioranza (penso che sui 15.000 di splinder siano almeno almeno un 13.000): potete fare un rapido sondaggio personale provando i vari link alla vostra sinistra. Leggendo questi blog si ha l’impressione di affacciarsi da una vera e propria finestra sul cuore di quanti scrivono, a tal punto sono espressi i sentimenti e le emozioni, aiutati – forse – dall’anonimato che garantisce il mezzo. Certamente non tutti sono profondissimi e vanno a scavare nelle emozioni e nei sentimenti più intimi ma molti scavano in profondità. Un esempio, forse limite, è il blog molto toccante di un papà che ha perso il proprio bambino e che usa questo mezzo per esprimere tutto ciò che prova, sia esso rabbia, dolore, incomprensione, voglia di ricominciare, nostalgia. La visita di questo blog mi ha suscitato tutta questa riflessione che sto spezzettando nell’arco di questi giorni. Il blog è diventato per molti versi quello che per le generazioni a noi precedenti era “il diario” ma con due differenze sostanziali e molto, molto importanti. In primis, infatti, il diario è un qualcosa di privato, di custodito gelosissimamente al riparo dalle mani e dagli occhi altrui. Nel momento in cui io scrivo su un blog sono (e se non lo sono devo esserlo) assolutamente consapvole del fatto che tutti possono leggere ciò che scrivo (… e anche giudicarlo). Secondo elemento, il diario era una caratteristica dell’adolescenza, dell’età della crescita, i bloggers spaziano invece dai 20 ai 40 anni, mediamente. Questi due elementi mi hanno portato ad una conclusione finale (non molto confortante, a dire il vero). Conclusione che condivideremo nei prossimi giorni: anche per oggi ho terminato il mio compito di custode del blog.

Quanto di virtuale c’è in questa realtà di  Internet?” e poi “cos’è un blog e qual è il suo significato?”. Ci siamo lasciati ieri con questo interrogativo (ammesso che in una realtà virtuale abbia un senso delimitare il tempo, ma… non andiamo sul filosofico!). Navigando nel mondo dei blog (o “blogsphera”, come la chiamano i più assidui navigatori) mi sono reso conto che – in verità – quella di Internet è una realtà non molto virtuale, sembra più che altro una specie di fotocopia, quasi una proiezione della realtà. Girando per i blog infatti si compone un mosaico veramente molto, molto variegato di quella che è la nostra realtà. Si va da blog assolutamente inutili e di una superficialità (per non dire stupidità) disarmante a blog “di servizio” o ad altri dove si raccolgono opinioni su argomenti di interesse generale o veri e propri simposi culturali. Credo che se un ipotetico extra-terrestre volesse conoscere il genere umano non avrebbe più bisogno di invadere il nostro pianeta: potrebbe tranquillamente rimanersene appollaiato su una sedia (o quell’oggetto che lui ha nel suo pianeta e che ricopre le stesse funzioni della sedia) nel suo pianeta e navigare nella “blogsphera”. Sicuramente avrebbe un’idea più che completa della terra e dei suoi abitanti. Esiste però una tipologia speciale di blog ed è questa tipologia che ha fatto scattare in me la molla della riflessione e mi ha portato ad una conclusione, obiettivamente, poco confortante. Qual è questa tipologia? Beh… ora non posso dirvelo: mi sono trattenuto abbastanza e questo non è il mio blog, io faccio solo il custode: ve lo dirò nella mia prossima visita. Buon proseguimento di agosto a tutti!!!

“Chiuso per ferie”


Questo è l’incofutabile messaggio che campeggia sulla maggioranza delle saracinesche dei negozi della mia zona. L’edicola, la pizzeria “di fiducia”, il concessionario di automobili, il negozio di ortofrutta, l’argentiere, il pub e il tabbaccaio che incontro nel breve tratto di strada che devo fare per prendere il mezzo che mi porta a lavoro hanno affisso tutti lo stesso messaggio! Messaggio che – come ho potuto constatare durante un solitario giro in centro ( avendo tutti gli amici in vacanza)- si ripete in tutta la città. Beh… non ci si può aspettare altro il 12 agosto di un caldissimo 2003: sono ben consapevole di essere uno dei pochi obbligati a lavorare ad agosto. Decido quindi di farmi un giro per la comunità virtuale dei vari blog. Ho spaziato molto, visto che gli 11 blog inseriti tra i miei “preferiti” sono aggiornati lentamente (… non tutti possono permettersi un custode!!!!! 😉  )ed ho scoperto che… sono moltissimi i blog in vacanza: tutti che salutano e che danno l’arrivederci a settembre, chi addirittura ha eliminato anche l’archivio e ha piazzato un cartello simile a quello dei negozi con la frase magica: “Chiuso per ferie”. Tutto ciò (… ma credo anche il caldo) mi ha fatto sorgere una domanda: “Quanto di virtuale c’è in questa realtà di Internet?“. Da questa mi sono posto altre domande su cosa sia un blog e sul suo significato e sono giunto ad una conclusione personale. Quale? Beh… questo non è il mio blog ed io devo solo fare il custode, perciò le mie riflessioni saranno inserite in un altro post (o anche in più post). Per oggi il mio dovere l’ho fatto, a presto.

per la serie letture estive… alla biblioteca del paese ( che  mi sta facendo rimpiangere la mia di roma…) ho trovato uno dei primi libri di stefano Benni.. un autore che mi piace molto per la sua vena caustica e realistica allo stesso tempo… devo dire che anche se i personaggi e i fatti di questo libro sono ormai molto datati riescono a farmi ridere!!!

Ripensavo a quanto ho scritto ieri, per decidere cosa scrivere oggi. Ritengo di aver scritto un contributo abbastanza “polposo” e che quindi non è il caso di aggiungere un altro post. Mi limito quindi ad aprire il blog, controllare che sia tutto a posto e richiudere! Buon proseguimento di vacanze a tutti

Avrei voluto scrivere un post completamente diverso ma mentre pensavo e ripensavo a questo post (sono molto compreso nel mio ruolo! Non voglio che Luke si possa lamentare di qualcosa al suo ritorno) mi è venuto in mente di condividere alcune mie riflessioni odierne.


Oggi parliamo di lavoro! Su, su… via quelle facce schifate, so che parlare di lavoro in vacanza non è il massimo, però la mia riflessione odierna verte proprio su questo tema, il lavoro. Sappiamo tutti che i lavoratori si dividono in due grandi categorie: quelli che non lavorano e quelli che lavorano. Della prima categoria non penso sia necessario parlarne: penso che tutti noi abbiamo il collega fannullone che escogita sempre mille e più trucchi per non lavorare (piccola parentesi, avete notato che è sempre uno/a di quelli/e che si lamenta sempre più?). La seconda categoria si divide in tre sottocategorie: chi lavora ma lo fa male, chi lavora bene e…. chi lavora aggiungendovi quel “di più”, quel “valore aggiunto” che rende speciale il suo modo di lavorare. Un esempio l’ho avuto quest’oggi a lavoro. Ieri è arrivato un bambino dalla Polonia ed una mia collega l’ha accompagnato dal papà. La Polizia di Frontiera ha trattenuto, come previsto dalla Legge, i documenti del bambino per verificare che effettivamente il bimbo fosse consegnato al padre. Dai controlli, però, è risultato che il padre era entrato illegalmente in Italia. Perciò il bimbo è stato respinto e per il papà è stata avviata la procedura di espulsione. Il bimbo è ripartito stamattina e la Polizia ha permesso che rimanesse con il papà quanto più tempo possibile. Immaginate il dramma di questo papà che contava di rimanere 20 giorni con suo figlio e che nel giro di poche ore si è ritrovato, non solo senza la possibilità di stare con il figlio, ma con un foglio di via in mano. Ed immaginatevi la delusione del bambino di 5 anni che si è visto ripiazzare su un aereo, senza poter stare con il papà. A me è toccato l’ingrato compito di accompagnare il bimbo sull’aereo, insieme al papà e ad una poliziotta di scorta. Era palese la tristezza del padre, un ragazzone con le manone enormi rovinate dal lavoro (verosimilmente era un muratore) che accarezzavano la testa del suo splendido bimbo. Io e la poliziotta abbiamo cercato di farli stare insieme il più possibile ma – inevitabilmente – è arrivato il momento del distacco in cui le lacrime hanno velato gli occhi azzurri del papà del bambino. Quando ho voltato le spalle per accompagnare il bambino ho sentito la poliziotta dire al papà: “L’hai preso un caffè? Vieni che ce lo prendiamo insieme“. Potrà sembrarvi una banalità o una sciocchezza ma a me quel gesto ha colpito molto e mi ha fatto riflettere: quella signora poliziotto (uso intenzionalmente questo termine, perchè quella donna è stata una signora) ha aggiunto quel “di più” che ha dato un valore aggiunto, in termini di umanità, al suo lavoro, elevandolo. Ho pensato che se tutti noi lavorassimo aggiungendoci quel “di più” (che poi è una vera banalità!) forse il nostro mondo andrebbe sicuramente meglio. A tal proposito mi è venuto in mente come talvolta proprio l’ordinarietà viene indicata come mezzo per addirittura diventare santi. La prima figura che mi viene in mente è quella di Escrivà de Balaguer, il quale ha posto la base del suo insegnamento proprio nella santificazione attraverso il lavoro quotidiano, ma anche ad altri due grandi Santi che hanno raggiunto questo traguardo nella loro quotidianità e (apparente) ordinarietà: Piergiorgio Frassati e Domenico Savio.


Scusate per la lunghezza, a presto

salutino veloce dalla mia seconda casa in abruzzo leggi il mio internet point…mi piace questa cosa di poter leggere e scrivere lontano da casa…

vedo che il mio custode sta lavorando benissimo e sono contento di questo..verrò solo ogni tanto per dare uno sguardo dall’abruzzo dove sono sistemato…