Prendere la croce per trovare la vita

Termina il vagabondaggio libero e fe­lice sulle strade di Palestina, lungo le sponde del lago, e all’orizzonte si sta­glia Gerusalemme. Per la prima volta si pro­fila la follia della croce. Dio sceglie di non assomigliare ai potenti, ma ai torturati e uc­cisi del mondo. Potere vero per lui è amare, è la supremazia della tenerezza e i poteri del mondo saranno impotenti contro di essa: il terzo giorno risorgerò.

È una cosa tanto inedita e sconvolgente che Pietro la rifiuta: nella logica umana sce­gliere di stare dalla parte delle vittime, dei deboli, significa esautorarsi di ogni potere. Gesù allora lo invita a entrare in questa ri­voluzione, ad aprirsi al nuovo che irrompe per la prima volta nella storia: «Pietro, tor­na a metterti dietro di me, riprendi ad es­sere discepolo».

Non è solo Pietro a seguire questa logica, ma tutti i discepoli. E allora Gesù allarga a tutti lo stesso invito: Se qualcuno vuole ve­nire dietro a me… e detta le condizioni. Con­dizioni da vertigine. La prima: rinneghi se stesso. Parole pericolose se capite male. Rin­negare se stessi non vuol dire mortificarsi, buttare via i talenti. Gesù non vuole dei fru­strati al suo seguito, ma gente dalla vita rea­lizzata. Rinnega te stesso vuol dire: non sei tu il centro dell’universo; impara a sconfi­nare oltre te. Non una mortificazione, ma u­na liberazione.

Seconda condizione: Prenda la sua croce e mi segua. Una delle frasi più celebri, più ci­tate e più fraintese del vangelo, che abbia­mo interpretato come esortazione alla ras­segnazione: soffri con pazienza, accetta, sopporta le inevitabili croci della vita. Ma Gesù non dice «sopporta», dice «prendi». Non è Dio che manda la croce. È il discepo­lo che la prende, attivamente.

La croce nel Vangelo indica la follia di Dio, la sua lucida follia d’amore, amore fino a morirne. Sostituiamo croce con amore, ed ecco: se qualcuno vuole venire con me, pren­da su di sé il giogo dell’amore, tutto l’amore di cui è capace e mi segua. Quindi la parola centrale del brano: Chi perderà la propria vita così, la troverà. Ci hanno insegnato a mettere l’accento sul perdere la vita. Ma se l’ascolti bene, senti che l’accento non è po­sto sul perdere, ma sul trovare.

Seguimi, cioè vivi una esistenza che asso­migli alla mia, e troverai la vita, realizzerai pienamente la tua esistenza. L’esito finale è «trovare vita», Quella cosa che tutti gli uomini cercano, in tutti gli angoli della terra, in tut­ti i giorni che è dato loro di vivere: realizza­re pienamente se stessi. E Gesù ne possiede la chiave. Perdere per trovare. È la legge del­la fisica dell’amore: se dai ti arricchisci, se trattieni ti impoverisci. Noi siamo ricchi so­lo di ciò che abbiamo donato.

(E. Ronchi)

La bicicletta di Dio

In una calda sera di fine estate, un giovane si recò da un vecchio saggio: “Maestro, come posso essere sicuro che sto spendendo bene la mia vita? Come posso essere sicuro che tutto ciò che faccio è quello che Dio mi chiede di fare?”. Il vecchio saggio sorrise compiaciuto e disse: “Una notte mi addormentai con il cuore turbato, anch’io cercavo, inutilmente, una risposta a queste domande. Poi feci un sogno. Sognai una bicicletta a due posti. Vidi che la mia vita era come una corsa con una bicicletta a due posti: un tandem. E notai che Dio stava dietro e mi aiutava a pedalare. Ma poi avvenne che Dio mi suggerì di scambiarci i posti. Acconsentii e da quel momento la mia vita non fu più la stessa. Dio rendeva la mia vita più felice ed emozionante. Che cosa era successo da quando ci scambiammo i posti? Capii che quando guidavo io, conoscevo la strada. Era piuttosto noiosa e prevedibile. Era sempre la distanza più breve tra due punti. Ma quando cominciò a guidare lui, conosceva bellissime scorciatoie, su per le montagne, attraverso luoghi rocciosi a gran velocità a rotta di collo. Tutto quello che riuscivo a fare era tenermi in sella! Anche se sembrava una pazzia, lui continuava a dire: «Pedala, pedala!». Ogni tanto mi preoccupavo, diventavo ansioso e chiedevo: «Signore, ma dove mi stai portando?». Egli si limitava a sorridere e non rispondeva. Tuttavia, non so come, cominciai a fidarmi. Presto dimenticai la mia vita noiosa ed entrai nell’avventura, e quando dicevo: «Signore, ho paura…», lui si sporgeva indietro, mi toccava la mano e subito una immensa serenità si sostituiva alla paura. Mi portò da gente con doni di cui avevo bisogno; doni di guarigione, accettazione e gioia. Mi diedero i loro doni da portare con me lungo il viaggio. Il nostro viaggio, vale a dire, di Dio e mio. E ripartimmo. Mi disse: «Dai via i regali, sono bagagli in più, troppo peso». Così li regalai a persone che incontrammo, e trovai che nel regalare ero io a ricevere, e il nostro fardello era comunque leggero. Dapprima non mi fidavo di lui, al comando della mia vita. Pensavo che l’avrebbe condotta al disastro. Ma lui conosceva i segreti della bicicletta, sapeva come farla inclinare per affrontare gli angoli stretti, saltare per superare luoghi pieni di rocce, volare per abbreviare passaggi paurosi. E io sto imparando a star zitto e pedalare nei luoghi più strani, e comincio a godermi il panorama e la brezza fresca sul volto con il delizioso compagno di viaggio, la mia potenza superiore. E quando sono certo di non farcela più ad andare avanti, lui si limita a sorridere e dice: «Non ti preoccupare, guido io, tu pedala!»”.

(Anonimo)

TANDEM OMBRAIMG_1550

La saggezza in un cioccolato caldo

Un gruppo di laureati, affermati nelle loro carriere, discutevano sulle loro vite durante una riunione. Decisero di fare visita al loro vecchio professore universitario, ora in pensione, che era sempre stato un punto di riferimento per loro.

Durante la visita, si lamentarono dello stress che dominava la loro vita, il loro lavoro e le relazioni sociali.

Volendo offrire ai suoi ospiti un cioccolato caldo, il professore andò in cucina e ritornò con una grande brocca e un assortimento di tazze. Alcune di porcellana, altre di vetro, di cristallo, alcune semplici, altre costose, altre di squisita fattura.

Il professore li invitò a servirsi da soli il cioccolato.

Quando tutti ebbero in mano la tazza con il cioccolato caldo il professore espose le sue considerazioni.

“Noto che son state prese tutte le tazze più belle e costose, mentre son state lasciate sul tavolino quelle di poco valore.

La causa dei vostri problemi e dello stress è che per voi è normale volere sempre il meglio.

La tazza da cui state bevendo non aggiunge nulla alla qualità del cioccolato caldo. In alcuni casi la tazza è molto bella mentre alcune altre nascondono anche quello che bevete.

Quello che ognuno di voi voleva in realtà era il cioccolato caldo.

Voi non volevate la tazza…..

Ma voi consapevolmente avete scelto le tazze migliori.

E subito, avete cominciato a guardare le tazze degli altri.

Ora amici vi prego di ascoltarmi…..

La vita è il cioccolato caldo……

il vostro lavoro, il denaro, la posizione nella società sono le tazze.

Le tazze sono solo contenitori per accogliere e contenere la vita.

La tazza che avete non determina la vita, non cambia la qualità della vita che state vivendo.

Qualche volta, concentrandovi solo sulla tazza, voi non riuscite ad apprezzare il cioccolato caldo che Dio vi ha dato.

Ricordatevi sempre questo:

Dio prepara il cioccolato caldo, Egli non sceglie la tazza.

La gente più felice non ha il meglio di ogni cosa, ma apprezza il meglio di ogni cosa che ha!

Vivere semplicemente.

Amare generosamente.

Preoccuparsi profondamente.

Parlare gentilmente.

Lasciate il resto a Dio.

E ricordatevi:

La persona più ricca non è quella che ha di più, ma quella che ha bisogno del minimo.

Godetevi il vostro caldo cioccolato!!

(anonimo)

2_1135

Il mio papà

A quei papà che ci hanno visti nascere e seguono i nostri passi senza farci pesare la loro presenza.

Ai papà che vediamo di rado perché sono lontani per lavoro.

Auguri anche ai papà che si sono già pentiti di averci abbandonato e a quelli che non perdono nessun momento della nostra vita triste o allegro che sia.

Ai papà con la lacrima facile e anche a quelli che fanno i duri ma hanno il cuore tenero.

Auguri ai papà che sanno essere grandi pur essendo persone normali.

A quei papà che non erano capaci di raccontare favole ma ci hanno fatto vivere come in una favola.

Auguri anche a quei papà che non abbiamo mai conosciuto e anche a quelli che ci vengono a prendere per le vacanze.

AUGURI  a tutti i papà, anche a quelli che non sono più con noi, ma che vivono per sempre nel nostro cuore.

(Alessia S. Lorenzi da “Come il Canto del Mare”)

papi

 

 

Il bello della lettura

La cosa più strana che ti può capitare è di leggere un libro, scelto senza particolari stimoli, e poi scoprire che il personaggio principale vive e percepisce il mondo come te: soffre del tuo stesso dolore e trae piacere dai tuoi stessi interessi. Sembra quasi che l’autore parli di te e con te, inquietante. Ad ogni modo, tutto questo va ben oltre il descrivibile, a dire il vero non lo si può descrivere affatto. È un qualcosa molto più intenso di ogni cosa mai provata.

(S.  Pirozzi)

 

L’uomo si salva facendo le cose di Dio

Cosa dice la gente? E voi che cosa dite? Ge­sù usa il metodo delle domande per far crescere i suoi amici. Le domande di Gesù nel Vangelo hanno davvero una funzio­ne importantissima, non sono interrogazioni di catechismo, ma scintille che accendono qual­cosa, mettono in moto trasformazioni e cre­scite. «Nella vita, più che le risposte, contano le domande, perché le risposte ci appagano e ci fanno stare fermi, le domande invece, ci obbli­gano a guardare avanti e ci fanno camminare» (Pier Luigi Ricci). Ma voi che cosa dite? Non c’è una risposta già scritta da qualche parte, con un contenuto da apprendere e da ripetere. Le sue domande assomigliano semmai di più alle do­mande che si fanno gli innamorati: chi sono io per te? E l’altro risponde: Sei la miadonna, il mio uomo, il mio amore, la mia vita. Voi, miei ami­ci, che io ho scelto uno per uno, chi sono per voi? Ciò che Gesù vuole sapere dai discepoli di sempre è se sono innamorati, se gli hanno a­perto il cuore. Cristo è vivo solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere culla o tomba di Dio. Pietro risponde: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

– Il Cristo… non un nome proprio, ma un attri­buto che indica l’origine e il compito di Gesù e rimanda subito oltre lui: sei la ma­no di Dio nella storia.

– Il Figlio di Dio… tu sei entrato in Dio piena­mente e Dio è entrato in te totalmente. E ora tu fai le cose che solo Dio fa’, nelle tue dita è lui che accarezza il mondo.

– Del Dio vivente… Colui che fa viva la vita, il miracolo che la fa fiorire. Il Vivente è grembo gravido di vita, fontana da cui la vita sgorga i­nesauribile e illimitata.

Beato te, Simone… tu sei roccia, a te darò le chia­vi del regno; ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli…. Non solo Pietro, ma chiunque professi la sua fede ottiene questo potere. Il po­tere di perdonare i peccati non è il potere giu­ridico dell’assoluzione (non è nello stile di Ge­sù sostituire vecchi codici con nuovi regola­menti). È invece il potere di diventare una pre­senza trasfigurante anche nelle esperienze più squallide e impure e alterate dell’uomo. Com­piendo il cammino dalla nostra povertà origi­naria verso una divina pienezza, per essere im­magine e somiglianza di Dio, «figli di Dio». In­teriorizzare Dio e fare le cose di Dio: questa è la salvezza.

Gesù dice a ogni discepolo: terra e cielo si ab­bracciano in te, nessuna tua azione resta sen­za eco nel cielo, il tuo istante si apre sull’eter­no, l’eterno si insinua nell’istante.

Tutti possiamo essere roccia che trasmette so­lidità, forza e coraggio a chi ha paura. Tutti sia­mo chiave che apre le porte belle di Dio, che può socchiudere le porte della vita in pienezza.

(E.  Ronchi)

voi-chi-dite-che-io-sia

Il cavallo nel pozzo

Un giorno, il cavallo di un contadino cadde in un pozzo. Non riportò alcuna ferita, ma non poteva uscire da lì con le sue proprie forze.

Per molte ore l’animale nitrì fortemente, disperato, mentre il contadino pensava a cosa avrebbe potuto fare.

Finalmente, il contadino prese una decisione crudele: pensò che il cavallo era già molto vecchio e non serviva più a niente, e anche il pozzo ormai era secco ed aveva bisogno di essere chiuso in qualche maniera.

Così non valeva la pena sprecare energie per tirar fuori il cavallo dal pozzo. Allora chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a interrare vivo il cavallo.

Ciascuno di essi prese una pala e cominciò a gettare della terra dentro il pozzo.

Il cavallo non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo, e pianse disperatamente.

Tuttavia, con sorpresa di tutti, dopo che ebbero gettato molte palate di terra, il cavallo si calmò.

Il contadino guardò in fondo al pozzo e con sorpresa vide che ad ogni palata di terra che cadeva sopra la schiena, il cavallo la scuoteva, salendo sopra la stessa terra che cadeva ai suoi piedi.

Così, in poco tempo, tutti videro come il cavallo riuscì ad arrivare alla bocca del pozzo, passare sopra il bordo e uscire da lì, trottando felice.

La vita ti getta addosso molta terra, tutti i tipi di terra. Soprattutto se tu sei già dentro un pozzo.

Il segreto per uscire dal pozzo è scrollarsi la terra che portiamo sulle spalle e salire sopra di essa.

Ciascuno dei nostri problemi è un gradino che ci conduce alla cima. Possiamo uscire dai buchi più profondi se non ci daremo per vinti. Adoperiamo la terra che ci tirano per fare un passo verso l’alto!

Ricordati di queste cinque regole per essere felice:

1. Libera il cuore dall’odio.

2. Libera la mente dalle eccessive preoccupazioni.

3. Semplifica la tua vita.

4. Dà in misura maggiore e coltiva meno aspettative.

5. Ama di più e… accetta la terra che ti tirano, poiché essa può essere la soluzione e non il problema.

(anonimo)

2d6jjhl

L’amore evangelico

In noi si dovrà trovare tutto

il bicchiere d’acqua, il cibo per chi ha fame,

tutto il vero cibo per tutti i veri affamati,

tutti i veri cibi e tutti i veri mezzi per distribuirli,

l’alloggio per i senza tetto,

il pellegrinaggio alle carceri ed agli ospedali,

la compassione per le lacrime, quelle che si devono versare insieme

e quelle di cui occorrerebbe eliminare le cause,

l’amicizia per ogni peccatore,

per coloro che sono malvisti,

la capacità di mettersi al livello di tutte le piccolezze,

di lasciarsi attrarre da tutto ciò che non conta,

e tutto avrà il suo orientamento, la sua pienezza, nella parola “fraterno”.

Infatti i nostri beni, se diventano i beni degli altri, saranno il segno della nostra vita donata per gli altri, come assimilata di diritto alla loro, e che, in realtà, non deve più far parte dei nostri interessi.

Il cristiano che vivrà in questo modo nella città, sperimenterà con tutto il suo essere la forza dell’amore evangelico. La realtà di questo amore risplenderà in torno a lui come una evangelizzazione e in lui come una illuminazione.

Sperimenterà che agire è illuminare, ma anche essere illuminati, sperimenterà che, se pregare è lasciarsi fare da Dio, è però anche imparare a compiere l’opera di Dio.

Un cristiano simile renderà grazie, perché tutti i suoi gesti diventeranno l’espressione di un amore che non conosce né limiti né eccezioni, un amore del quale soltanto Cristo ha detto agli uomini che lo devono e ricercare e donare.

(M.  Delbrel)

la formica e la foglia

L’altro giorno ho visto una formica che trasportava una foglia enorme. La formica era piccola e la foglia doveva essere almeno due volte il suo peso.

Ora la trascinava, ora la sollevava sopra la testa. Quando soffiava il vento, la foglia cadeva, facendo cadere anche la formica.

Fece molti capitomboli, ma nemmeno questo fece desistere la formica dalla sua impresa. L’osservai e la seguii, finché giunse vicino a un buco, che doveva essere la porta della sua casa.

Allora pensai: “Finalmente ha concluso la sua impresa!”. Mi illudevo. Perché, anzi, aveva appena terminata solo una tappa.

La foglia era molto più grande del foro, per cui la formica lasciò la foglia di lato all’esterno ed entrò da sola. Così mi dissi: “Poverina, tanto sacrificio per nulla”.

Mi ricordai del detto popolare: “Nuotò, nuotò e morì sulla spiaggia”. Ma la formichina mi sorprese. Dal buco uscirono altre formiche, che cominciarono a tagliare la foglia in piccoli pezzi.

Sembravano allegre nel lavoro. In poco tempo, la grande foglia era sparita, lasciando spazio a pezzettini che ormai erano tutti dentro il buco.

Immediatamente mi ritrovai a pensare alle mie esperienze. Quante volte mi sono scoraggiato davanti all’ingorgo degli impegni o delle difficoltà? Forse, se la formica avesse guardato le dimensioni della foglia, non avrebbe nemmeno cominciato a trasportarla.

Ho invidiato la perseveranza, la forza di quella formichina. Naturalmente, trasformai la mia riflessione in preghiera e chiesi al Signore che mi desse la tenacia di quella formica, per “caricare” le difficoltà di tutti i giorni. Che mi desse la perseveranza della formica, per non perdermi d’animo davanti alle cadute.

Che io possa avere l’intelligenza, l’abilità di quella formichina, per dividere in pezzi il fardello che, a volte, si presenta tanto grande.

Che io abbia l’umiltà per dividere con gli altri i frutti della fatica come se il tragitto non fosse stato solitario.

Chiesi al Signore la grazia di riuscire, come quella formica, a non desistere dal cammino, specie quando i venti contrari mi fanno chinare la testa verso il basso…specie quando, per il peso di ciò che mi carica, non riesco a vedere con nitidezza il cammino da percorrere.

La gioia delle larve che, probabilmente, aspettavano il cibo all’interno, ha spinto quella formica a sforzarsi e superare tutte le avversità della strada.

Dopo il mio incontro con quella formica, sono stato rafforzato nel mio cammino.

Ringrazio il Signore per averla messa sulla mia strada e per avermi fatto passare sul cammino di quella formichina.

I sogni non muoiono, solo si assopiscono nel cuore della gente.

Basta svegliarli, per riprendere il cammino!

(Ninon Rose Hawryliszyn e Silva)

formica-preghiera

Onda o Oceano?

Una piccola onda se ne andava felice per il mare: era contenta, allegra, si sentiva frizzante e potente, si abbandonava al gioco della corrente, si lasciava increspare dal vento. Era proprio felice di essere un’onda. Ad un certo punto vide però, laggiù in lontananza, la scogliera e poi la spiaggia e si accorse che le altre onde, quelle che erano andate avanti, lì si infrangevano e di loro non rimaneva più nulla. Cominciò a sentirsi triste: se avesse potuto sarebbe tornata indietro, nel mare profondo, da dove non si vede terra; oppure avrebbe voluto fermarsi là dove si trovava, frenare pur di non andare avanti… Un’onda più grande le passò vicino e le chiese: “Che ti succede? Come mai sei tanto triste?” e la piccola onda le rispose: “Ma non vedi che fine faremo? Anche tu che sei un’onda così grossa sei destinata a romperti laggiù”. Sorrise la grande onda e disse: ” Tu non sei onda, sei oceano!”.

Non ricordo più dove ho letto questa storia, ma la trovo profondamente vera anche per noi, quando pensiamo che la vita sia un fatto privato, quando crediamo che i nostri sentimenti siano solo affari “domestici”, chiusi fra le mura delle nostre case o nei limiti del nostro cuore. Mi piace invece pensare che il mio amore è solo una piccola onda di un immenso oceano, che niente andrà perso e che ogni mio piccolissimo gesto d’amore è come una piccolissima goccia che contribuisce a formare l’oceano; perché il mio amore, come la mia vita, fa parte di un tutto cui appartengo, che mi appartiene. E mi sento più libera, non più costretta a soffocare in spazi angusti, o a pungermi tra le spine dei miei rovi: l’amore non sta dentro di me, non è una mia creatura, ma è tutto quel che sta “tra”, che mi avvolge e circonda, nonostante io non lo riconosca.

Tu non sei onda, sei oceano! Ricordiamocelo ogni giorno!

Riflessione di Maria Teresa Abignente

Onde_mare_caraibico_916