Il falenino e la stella

Una piccola falena d’animo delicato s’invaghì una volta di una stella. Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d’invaghirsi invece di un abat-jour. «Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro», gli spiegò. «Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro».

«Almeno lì approdi a qualcosa», disse il padre. «Andando dietro alle stelle non approdi a niente».

Ma il falenino non diede ascolto né all’uno né all’altra. Ogni sera, al tramonto, quando la stella spuntava s’avviava in volo verso di essa e ogni mattina, all’alba, se ne tornava a casa stremato dall’immane e vana fatica.

Un giorno il padre lo chiamò e gli disse: «Non ti bruci un’ala da mesi, ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai. Tutti i tuoi fratelli si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle lampade di casa. Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella scottatura! Un falenotto forte e robusto come te senza neppure un segno addosso!».

Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai lampioni di strada ne intorno alle lampade di casa: continuò ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana migliaia di anni luce. Lui credeva invece che fosse impigliata tra i rami più alti di un olmo.

Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età. I genitori, i fratelli e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi.

La stella della speranza è un segno distintivo. Ogni giorno dovresti chiedere la fede per osare l’impossibile. Chi desidera operare con Cristo e, di conseguenza, trasformare il mondo, rifiuterà di adeguarsi a leggi ed ordinamenti precostituiti. Sarà disobbediente, quando altri obbediranno, eseguirà quando altri troveranno insensato l’ordine impartito. Il mondo gli apparirà una prigione, quando altri parleranno di libertà, ed esso sarà trasparente agli occhi della sua fede, quando altri saranno disperati, sentendosi prigionieri. Fare cose impossibili è il realismo di coloro che conoscono la voce del loro Signore.

Se c’è una stella nel cielo della tua vita, non perdere tempo a scottarti a qualche lampadina.

(B. Ferrero)

Il discepolo e il sacco di patate

Un giorno il saggio diede al discepolo un sacco vuoto e un cesto di patate.

“Pensa a tutte le persone che hanno fatto o detto qualcosa contro di te recentemente, specialmente quelle che non riesci a perdonare. Per ciascuna, scrivi il nome su una patata e mettila nel sacco”.

Il discepolo pensò ad alcune persone e rapidamente il suo sacco si riempì di patate.

“Porta con te il sacco, dovunque vai, per una settimana” disse il saggio. “Poi ne parleremo”.

Inizialmente il discepolo non pensò alla cosa. Portare il sacco non era particolarmente gravoso. Ma dopo un po’, divenne sempre più un gravoso fardello. Sembrava che fosse sempre più faticoso portarlo, anche se il suo peso rimaneva invariato.

Dopo qualche giorno, il sacco cominciò a puzzare. Le patate marce emettevano un odore acre. Non era solo faticoso portarlo, era anche sgradevole.

Finalmente la settimana terminò. Il saggio domandò al discepolo: “Nessuna riflessione sulla cosa?”.

“Sì Maestro” rispose il discepolo. “Quando siamo incapaci di perdonare gli altri, portiamo sempre con noi emozioni negative, proprio come queste patate. Questa negatività diventa un fardello per noi, e dopo un po’, peggiora.”

“Sì, questo è esattamente quello che accade quando si coltiva il rancore. Allora, come possiamo alleviare questo fardello?”.

“Dobbiamo sforzarci di perdonare”.

“Perdonare qualcuno equivale a togliere una patata dal sacco. Quante persone per cui provavi rancore sei capace di perdonare?”

“Ci ho pensato molto, Maestro” disse il discepolo. “Mi è costata molta fatica, ma ho deciso di perdonarli tutti”.

(anonimo)

Il fuoco

Sei persone, colte dal caso nel buio di una gelida nottata, su un’isola deserta, si ritrovarono ciascuna con un pezzo di legno in mano. Non c’era altra legna nell’isola persa nelle brume del mare del Nord.
Al centro un piccolo fuoco moriva lentamente per mancanza di combustibile. Il freddo si faceva sempre più insopportabile.
La prima persona era una donna, ma un guizzo della fiamma illuminò il volto di un immigrato dalla pelle scura. La donna se ne accorse. Strinse il pugno intorno al suo pezzo di legno. Perché consumare il suo legno per scaldare uno scansafatiche venuto a rubare pane e lavoro?
L’uomo che stava al suo fianco vide uno che non era del suo partito. Mai e poi mai avrebbe sprecato il suo bel pezzo di legno per un avversario politico.
La terza persona era vestita malamente e si avvolse ancora di più nel giaccone bisunto, nascondendo il suo pezzo di legno. Il suo vicino era certamente ricco. Perché doveva usare il suo ramo per un ozioso riccone?
Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, alle due ville, alle quattro automobili e al sostanzioso conto in banca. Le batterie del suo telefonino erano scariche, doveva conservare il suo pezzo di legno a tutti i costi e non consumarlo per quei pigri e inetti.
Il volto scuro dell’immigrato era una smorfia di vendetta nella fievole luce del fuoco ormai spento. Stringeva forte il pugno intorno al suo pezzo di legno. Sapeva bene che tutti quei bianchi lo disprezzavano. Non avrebbe mai messo il suo pezzo di legno nelle braci del fuoco. Era arrivato il momento della vendetta.
L’ultimo membro di quel mesto gruppetto era un tipo gretto e diffidente. Non faceva nulla se non per profitto. Dare soltanto a chi dà, era il suo motto preferito. Me lo devono pagare caro questo pezzo di legno, pensava.
Li trovarono così, con i pezzi di legno stretti nei pugni, immobili nella morte per assideramento.Non erano morti per il freddo di fuori, erano morti per il freddo di dentro.

Forse anche nella tua famiglia, nella tua comunità, davanti a te c’è un fuoco che sta morendo. Di certo stringi un pezzo di legno nelle tue mani. Che ne farai?

(B. Ferrero)

Guardando dalle mura

“Chi sono io?”, chiese un giorno un giovane a un anziano.”Sei quello che pensi”, rispose l’anziano”.
“Te lo spiego con una piccola storia.Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto si videro sulla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.
– Sono un papà e una mamma -, pensò una bambina innocente.
– Sono due amanti -, pensò un uomo dal cuore torbido.
– Sono due amici che s’incontrano dopo molti anni -, pensò un uomo solo.
– Sono due mercanti che han concluso un buon affare -, pensò un uomo avido di denaro.
– E’ un padre che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra -, pensò una donna dall’anima tenera.
– Sono due innamorati -, pensò una ragazza che sognava l’amore.
– Chissà perché si abbracciano -, pensò un uomo dal cuore asciutto.
– Che bello vedere due persone che si abbracciano -, pensò un uomo di Dio.
Ogni pensiero”, concluse l’anziano, “rivela a te stesso quello che sei.
Esamina di frequente i tuoi pensieri: ti possono dire molte più cose su te di qualsiasi maestro”.

(anonimo)

Voglia di pace

Le voci dei bimbi
il vento raccoglie
e poi le sparpaglia tra i rami
e le foglie di alberi antichi,
che sanno ascoltare
le cose che dici
per poi raccontarle,
giù… giù… nel profondo
al Cuore che batte
al centro del mondo.

Se un bimbo sorride,
sorride anche il Cuore
ed ecco spuntare
in un prato un bel fiore.
Se un bimbo è felice,
il Cuore è contento
e nascon farfalle
che danzan col vento.

Ma, a volte, le risa
diventano pianti:
le lacrime scendono,
calde e pesanti,
colpiscon la Terra
che trema, impaurita,
vedendo la morte
mischiarsi alla vita.

Ossezia, Israele,
Iraq, Palestina…
tra bombe e fucili
la morte cammina,
portando con sé
ceceni, afghani
e tanti, tantissimi bimbi!

Bombardano, sparano
e parlan di pace,
al Cuore del mondo
‘sta cosa non piace:
“Se di odio e violenza
riempite la Terra,
non siate bugiardi:
chiamatela guerra!

La pace è sorridere,
darsi la mano,
dormire tranquilli,
guardare lontano
e in fondo vedere,
nel cielo sereno,
i sette colori dell’arcobaleno.

Soltanto se spargi
la voglia di amare
il vento sorride
e può allora portare
agli alberi antichi
e alle loro radici
le voci ed i sogni
di bimbi felici!

(E. Giacone)

Voler bene

Voler bene, secondo me, significa desiderare il meglio per la persona che abbiamo accanto. Significa avere il desiderio di vederla sorridere, perché se è triste cade il mondo addosso anche a noi stessi. E spesso, mi ritrovo a fare di tutto affinché le persone a cui tengo stiano bene, trascurando me stesso. Ma alla fine me stesso non conta niente, se non ho qualcuno per cui lottare.

(M. Ranieri)

Abbiamo fame di Dio?

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In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
(dal Vangelo di Matteo 14,13-21)

Tra qualche giorno con un gruppo di giovani, partirò per Assisi. Staremo nella città di San Francesco quasi una settimana, e avremo così occasione di confrontarci con quella straordinaria storia umana e di fede che ancora oggi, a 800 anni dalla morte del Santo, ispira milioni di persone credenti e non credenti.
Una delle prime cose che faremo appena arrivati non sarà di gettarci subito nella visita dei luoghi storici della vita di Francesco, come fossimo lì solo per turismo artistico e culturale. Il programma che abbiamo preparato con gli animatori prevede di fermarci ad ascoltare la nostra vita come è adesso, nel momento in cui iniziamo questa esperienza. La domanda che ci faremo appena sistemati nella casa, dove siamo ospiti, sarà: “perché siamo qui? Di cosa ha bisogno la mia vita umana e spirituale adesso? Quali sono i vuoti da riempire nel cuore?”. In sintesi la domanda può essere: “di cosa ho fame adesso?”
Tutti gli evangelisti, e quindi anche Matteo, raccontano questo fatto straordinario della moltiplicazione dei pani e pesci che Gesù ha operato con i suoi discepoli e le folle. Se il ricordo è così forte, questo significa che davvero è un evento centrale e dal significato così essenziale che non deve essere dimenticato dalle generazioni successive di discepoli.
Gesù opera un prodigio in risposta ad una fame concreta e reale nelle folle che lo seguono, uomini e donne che sono però affamate anche di Dio tanto quanto di pane da mangiare.
Gesù è venuto a dare da mangiare, a dare risposta all’uomo che rischia di morire di fame non solo di cibo per lo stomaco, ma anche di cibo per il cuore, di amore, di pace…
La prima risposta a questo problema del pane da mangiare viene dagli apostoli che vorrebbero che ognuno si arrangi, andando a comprare il cibo.
Ma Gesù cambia totalmente la prospettiva, e passa dal “comprare” al “condividere”: “voi stessi DATE loro da mangiare…”
La condivisione del poco risolve il problema della fame, e gli apostoli diventano modello di una comunità cristiana che non si blocca e non si chiude difronte alla fame del mondo, ma si mette al servizio, convinta che è possibile sfamare l’umanità, anche se i mezzi sembrano insufficienti. Gesù vede la fame del popolo e insegna agli apostoli di prendersi carico di questo senza paura e con profonda speranza.
Quando partecipiamo alla messa domenicale è davvero importante prima di tutto domandarsi “ho fame di Dio? Di cosa la mia vita ha bisogno? Con quali vuoti interiori sono qui oggi?” Riconoscere che abbiamo fame di Dio, di amore, di fraternità, di pace… ci aiuta a vivere quella celebrazione con maggior frutto e partecipazione vera. Ed è importante riconoscere che anche il fratello accanto a me è venuto lì con la sua fame di qualcosa, con i suoi vuoti, dubbi e domande. Gesù è lì per sfamare me e lui, ed insegna a me e a lui di prenderci carico insieme della fame dell’umanità, una fame di beni materiali ma ancor più di senso della vita e di Dio. E se ci sembra di avere poco tra le mani, perché ci sembra di avere pochi mezzi materiali, poca fede, poche capacità, non dobbiamo cedere alla paura e non dobbiamo scoraggiarsi. Il miracolo della moltiplicazione e della condivisione può ripetersi anche oggi.
Non so ancora cosa succederà in questi giorni ad Assisi. Conosco bene il programma che ho preparato e quanto spenderemo per vitto, alloggio e spostamenti. Ma non ho idea di quello che verrà donato a me e ai giovani in questa esperienza. Ma sono fiducioso perché ad Assisi andiamo per conoscere proprio la storia di un giovane che da ricco che era, ha rinunciato a tutto, perché sentiva che solo nel Vangelo e nell’amore di Cristo riusciva a sfamare fino in fondo al sua fame di felicità e la sua voglia di vivere.

Giovanni don

Danza lenta

Hai mai guardato i bambini in un girotondo?
O ascoltato il rumore della pioggia quando cade a terra?
O seguito mai lo svolazzare irregolare di una farfalla?
O osservato il sole allo svanire della notte?
Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce.
Il tempo è breve. La musica non durerà.
Percorri ogni giorno in volo?
Quando dici “Come stai?”, ascolti la risposta?
Quando la giornata è finita, ti stendi sul tuo letto,

con centinaia di questioni successive che ti passano per la testa?
Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce
Il tempo è breve. La musica non durerà.
Hai mai detto a tuo figlio, “lo faremo domani”,
senza notare nella fretta, il suo dispiacere?
Hai mai perso il contatto con una buona amicizia,
che poi è finita perché tu non avevi mai avuto tempo
di chiamare e dire “Ciao”?
Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce.
Il tempo è breve. La musica non durerà.
Quando corri così veloce,
per giungere da qualche parte,
ti perdi la metà del piacere di andarci.
Quando ti preoccupi e corri tutto il giorno,
è come un regalo mai aperto… gettato via.
La vita non è una corsa. Prendila piano,

ascolta la musica, prima che la canzone sia finita.

(D. Weatherford)

Il comandamento dell’amore

Uno scolaro domandò a Rabbi Shmelke: «Ci è comandato di amare il nostro prossimo come noi stessi. Come posso farlo se egli mi ha fatto un torto?».

Il Rabbi rispose: «Devi comprendere queste parole nel loro giusto significato, che è: ama il prossimo tuo come qualcosa che tu stesso sei. Tutte le anime infatti sono una cosa sola; e ognuna è una scintilla dell’anima originale, che è insita in tutte le anime allo stesso modo come la tua anima è compenetrata in tutte le tue membra. Può accadere che la tua mano si sbagli e ti colpisca. Ma prenderai tu forse allora un bastone e la castigherai per la sua mancanza di comprensione, accrescendo così il tuo dolore? Lo stesso si applica al tuo prossimo, che con te forma un’anima sola: se egli, per ignoranza, ti fa un torto e tu lo punisci, non fai che colpire te stesso». Ma quello insisteva: «Ma se vedo che un uomo è malvagio al cospetto di Dio, come potrò amarlo?».

Gli rispose il Rabbi: «Ignori forse che l’anima primordiale scaturì dall’essenza di Dio e che l’anima di ogni uomo è una parte di lui? E non avrai allora pietà di quell’uomo, vedendo che una delle sue scintille si è smarrita ed è quasi spenta?».

(M. Buber)