Buon Anno!

Signore, alla fine di questo anno voglio ringraziarti
per tutto quello che ho ricevuto da te,
grazie per la vita e l’amore, per i fiori, l’aria e il sole,
per l’allegria e il dolore,
per quello che è stato possibile
e per quello che non ha potuto esserlo.

Ti regalo quanto ho fatto quest’anno:
il lavoro che ho potuto compiere,
le cose che sono passate per le mie mani
e quello che con queste ho potuto costruire.

Ti offro le persone che ho sempre amato,
le nuove amicizie, quelli a me più vicini,
quelli che sono più lontani,
quelli che se ne sono andati,
quelli che mi hanno chiesto una mano
e quelli che ho potuto aiutare,
quelli con cui ho condiviso la vita, il lavoro, il dolore e l’allegria.

Oggi, Signore, voglio anche chiedere perdono
per il tempo sprecato, per i soldi spesi male,
per le parole inutili e per l’amore disprezzato,
perdono per le opere vuote,
per il lavoro mal fatto,
per il vivere senza entusiasmo
e per la preghiera sempre rimandata, –
per tutte le mie dimenticanze e i miei silenzi,
semplicemente… ti chiedo perdono.

Signore Dio, Signore del tempo e dell’eternità,
tuo è l’oggi e il domani, il passato e il futuro,
e, all’inizio di un nuovo anno,
io fermo la mia vita davanti al calendario
ancora da inaugurare
e ti offro quei giorni che solo tu sai se arriverò a vivere.

Oggi ti chiedo per me e per i miei la pace e l’allegria,
la forza e la prudenza,
la carità e la saggezza.

Voglio vivere ogni giorno con ottimismo e bontà,
chiudi le mie orecchie a ogni falsità,
le mie labbra alle parole bugiarde ed egoiste
o in grado di ferire,
apri invece il mio essere a tutto quello che è buono,
così che il mio spirito si riempia solo di benedizioni
e le sparga a ogni mio passo.

Riempimi di bontà e allegria
perché quelli che convivono con me
trovino nella mia vita un po’ di te.

Signore, dammi un anno felice
e insegnami e diffondere felicità.

Nel nome di Gesù, amen.

(Arley Tuberqui)

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Natale Pasquale

 

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In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.

Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:

«Gloria a Dio nel più alto dei cieli

e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

(dal Vangelo di Luca 2,1-14)

Quando al termine delle feste natalizie lo scorso anno ho dato una occhiata al calendario di quest’anno, e ho notato che Natale cadeva proprio di domenica, ho sorriso contento.

Ammetto che il primo pensiero è stato: “meno messe solenni e meno prediche da preparare e fare!!!”, dato che cadendo proprio di domenica, il Natale (e anche il primo giorno dell’anno, altra festa!) non veniva in mezzo alla settimana con una domenica immediatamente successiva da celebrare e predicare…

Ma ora che ci ripenso bene, il fatto che quest’anno la solennità della nascita del Signore venga di domenica, mi porta ad andare oltre il risparmio di energie liturgiche, e a cogliere il messaggio di fede dentro questa coincidenza del calendario.

La domenica per i cristiani è stata e rimane la festa principale. Celebrare la domenica come giorno nel Signore è venuto prima di ogni altra ricorrenza del calendario, e in questo giorno (domenica, dies-domini) la comunità dei cristiani si riconosce e ha la sua prima e immodificabile tradizione.

Chissà quale giorno della settimana era quel 25 dicembre della nascita di Gesù (sempre che sia stato proprio quella data, con tutta la difficoltà nello stabilire l’esatta collocazione storica della nascita di Gesù). Ma mi piace pensare che fosse di domenica (che è il giorno nel quale io sono nato quasi 50 anni fa) non tanto come elemento da calendario ma come significato.

E’ un giorno di luce per il mondo, proprio come quel “giorno dopo il sabato” nel quale Gesù rompe le catene della morte e si mostra vivo per sempre.

Le icone, immagini antiche venerate soprattutto in oriente, nel modo di rappresentare la scena, hanno sempre legato nascita e morte del Signore. Con una croce vicina, una culla dipinta come un sepolcro, le fasce del bambino che sembrano quelle di un sudario, l’arte religiosa ha voluto dire quel che emerge dal Vangelo, cioè che quella nascita normale è insieme prodigiosa, e in quel bambino piccolo posto dai genitori in una mangiatoia è presente il Salvatore del mondo.

Quella notte non c’erano le luci decorative che vediamo un po’ ovunque nelle nostre città e paesi, e nemmeno gli alberi natalizi più o meno giganteschi e artistici. Non c’erano i mercatini di Natale o Babbi Natale a distribuire caramelle con sottofondo di canti tradizionali.

Quella notte non c’era nulla di straordinario se non una nascita come tante altre e pastori ignari di tutto che sono chiamati improvvisamente a vederci dentro il Salvatore del mondo. Quei pastori sono come i primi testimoni della resurrezione di Gesù, che non sono stati nemmeno gli apostoli ma delle donne. Anche in quella notte di Betlemme non sono i responsabili religiosi ad accorgersi e verificare la nascita del Messia tanto atteso, ma proprio degli uomini e donne qualunque, che però sono più pronti e disponibili a venire e poi andare ad annunciare.

Anche in questo Natale domenicale 2016, siamo chiamati a riscoprire la Pasqua dentro gli eventi di Betlemme.

Gesù è Dio che entra nel mondo attraverso la porta di un bambino, che crescendo e diventando uomo, mostra che la Vita è entrata nella nostra vita e fin da adesso la fa risorgere nonostante tutto.

E’ un vero Natale pasquale quello che viviamo non solo quest’anno ma tutti gli anni e tutti i giorni, anche quando le luci si sono spente, gli alberi smontati, i mercatini chiusi, la musica cambiata e i babbi natale sbarbati fino al prossimo anno.

Buon Natale pasquale!

Giovanni don

Buon compleanno!

Il 6 dicembre è una di quelle date che appartengono alla tradizione. Con Lukebdb condivido una meravigliosa amicizia, l’onomastico (dal 2005!) e il post annuale o quasi per il suo compleanno.

Amare il proprio compleanno è amare la vita, rispettarla in ogni sua forma, e viverla bene, costi quel che costi. Questo amore per la vita è il dono che chiunque ti conosce, riceve da te, carissimo Luca.

Ti auguro in questa tappa dei 40, di non fermarti al numero, (che sì, spaventa tutti, anche perché dopo enta saranno tutti anta, fino agli ento), ma di saper vivere ogni giorno come il primo, l’ultimo, l’unico, con una carica che non è tua, ma che la vita ti offre, giorno dopo giorno.

Ti auguro di indossare il più bel sorriso davanti a ogni situazione, perché la tua gioia non nasce dalle varie ed eventuali, ma dalla certezza di essere amato, voluto, accolto dall’Amore più grande.

Ti auguro di festeggiare non solo il 6 dicembre, ma ogni giorno, la vittoria del bene sul male, anche quando sembra il contrario.

Di cuore, buon compleanno!
Luca

La fede si fa carne

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In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
(dal Vangelo di Matteo 3,1-12)

“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” recita un proverbio famoso. Giovanni il battista potrebbe forse modificare il proverbio dicendo “…c’è di mezzo il fiume Giordano”.
Giovanni Battista ci viene offerto come forte invito a trasformare in vita quello che ricordiamo a Natale, cioè Dio che diventa uomo in maniera concreta e non “a parole”.
La conversione di cui parla il Battista non è solo una cosa mentale, un credere solo con la testa. Come dice lui stesso, con un tono forte e senza mezzi termini, “fate un frutto degno della conversione”.
Venire al Giordano per fare un rito di purificazione senza poi trasformalo in scelte concrete, rischia di essere addirittura controproducente e di allontanare da Dio.
E il primo che fa questo, cioè a trasformare in vita la parola di Dio, è Dio stesso. A Natale sentiremo nel Vangelo “E il Verbo si fede carne” (Vangelo di Giovanni capitolo 1), indicando che Dio parla all’uomo con una storia concreta, quella di Gesù di Nazareth.
Mi ha colpito in questi giorni il ricordo di Charles de Foucauld a 100 anni dalla morte, avvenuta all’età di 58 anni il 1 dicembre del 1916, e dichiarato beato da Benedetto XVI nel 2005.
Charles de Foucauld è stato un uomo dalla profonda inquietudine interiore che lo ha portato negli anni giovanili ad allontanarsi dalla fede e a ricercare altre strade di felicità, nella vita senza regole, nei viaggi, nella vita militare. Come tanti del suo tempo, in una Francia di fine ottocento sempre più atea e anticlericale, sentiva ogni discorso su Dio inutile e lontano da se. Nel suo peregrinare in Africa, in luoghi lontani e a quel tempo inaccessibili, a contatto con le popolazioni di fede mussulmana, si risveglia in lui un desiderio di conoscenza profonda di Dio. Ed è proprio andando a Nazareth, che si innamora di Gesù. Riscopre la fede in un modo così vero e profondo che nel 1900 viene ordinato prete. E’ davvero difficile sintetizzare la sua spiritualità, che ancora oggi ispira molti cristiani che vivono secondo la sua regola dei “piccoli fratelli”, ma questa aveva una caratteristica fondamentale che era quella di un amore per l’uomo, ogni uomo, come faceva Gesù di Nazareth. Charles de Foucauld, decide di vivere la sua testimonianza di fede in mezzo ai Tuareg, popolazione di fede islamica che vive nel deserto a sud dell’Algeria, ed è là che troverà la morte nel pieno della Prima Guerra Mondiale. Ogni uomo può essere amico, indipendentemente dalla razza, dalla cultura e dalla religione. Questo è l’insegnamento di Dio che ci viene proprio dall’incarnazione del Figlio.
Gesù si è fatto uomo come tutti, e non ha avuto paura di “sporcarsi” le mani per stare accanto ad ogni essere umano a cominciare dal più lontano e dimenticato.
Per questo “fare frutti degni di conversione”, significa credere che la fede o diventa carne o non serve a nulla. O il nostro dirci cristiani ci fa vivere come Gesù altrimenti è inutile se non dannoso per il mondo.
Per questo Giovanni è molto duro con i rappresentanti religiosi del suo popolo, che si presentano al fiume Giordano pensando che basti fare un rito per dirsi a posto con Dio. Il Battista non ha paura di metterli difronte alla loro ipocrisia.
La fede che celebriamo ogni giorno e particolarmente a Natale è credere nella vita, nell’uomo, nella possibilità di incontrare Dio nella vita di ogni essere umano.
Avere fede non è quindi “tirarsi fuori” dal mondo, ma al contrario “immergerci” (che è anche il significato della parola “battesimo”) concretamente nella vita del prossimo senza giudizio ma con amore, così come ha fatto Dio in Gesù di Nazareth.

In uno dei suo scritti Charles de Foucauld sulla fede scrive così:

“Avere veramente la fede, la fede che ispira tutte le azioni.
Quella fede nel soprannaturale
che dappertutto ci fa vedere soltanto lui,
che toglie al mondo la maschera
e mostra Dio in tutte le cose,
che fa scomparire ogni impossibilità,
che rende prive di senso parole
come inquietudine, pericolo, timore,
che fa camminare nella vita
come un bambino attaccato alla mano della mamma”