Pace: un grido nel silenzio

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La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
(dal Vangelo di Giovanni 21,19-31)

“Pace a voi!”, è questa la prima cosa che Gesù risorto dice ogni volta che appare ai discepoli, sia la sera di quel primo giorno dopo il sabato che otto giorni dopo. E da allora i discepoli ogni otto giorni si ritrovano insieme nel giorno che loro chiamano domenica, cioè “giorno del Signore”. Ed è così che anche noi la chiamiamo e la viviamo.
E’ un saluto e un dono allo stesso tempo. Gesù si presenta alla comunità di coloro che portano il suo nome nella pace che solo da Dio proviene, la pace vera. E’ la pace che porta felicità profonda nell’uomo, è la pace che cambia la storia umana da divisione a unità, da egoismo a solidarietà con tutti.
Ieri, 25 aprile, giorno che per la nostra nazione italiana ricorda la fine della seconda guerra mondiale e la liberazione dalla violenza nazifascista, nell’Arena di Verona c’è stata una grande manifestazione di tantissimi movimenti per la pace. Si sono intrecciati moltissimi slogan e inviti a costruire al pace, con i più disparati appelli che avevano in comune il desiderio che è di ogni essere umano che è vivere nella pace, nella concordia, senza più guerre, ingiustizie e povertà.
L’anfiteatro era pieno gente, circa 13mila persone, di tutti i colori, provenienze ed età, tante come sono tanti i colori della pace.
Forse molti pensano che manifestazioni come queste sono inutili, e le notizie dell’attualità sembrano confermare l’utopia della pace. Basti pensare l’escalation che sta avendo la crisi in Ucraina e il dramma crescente dei profughi dai paesi in guerra, come la Siria, che affollano le barche della speranza nel mar Mediterraneo.
“Pace a voi”, sembra una bella frasettina da celebrazione in chiesa che inizia e finisce nel momento in cui si pronuncia, e sembra che anche noi cristiani ci crediamo sempre meno. Ma Gesù risorto non la pronuncia in modo superficiale, e se il Vangelo lo ricorda così insistentemente, significa che questa pace del Risorto è davvero il progetto di Dio per l’umanità. Dalla pace di Cristo nasciamo come cristiani, e come cristiani questa pace siamo chiamati a farla scendere nel cuore nostro e nella vita attorno a noi.
La pace non è mai a basso prezzo, e si costruisce con il sacrificio della vita. Gesù infatti pronuncia queste parole mostrando nello stesso tempo i segni della passione, che nonostante sia un corpo risorto, sono rimasti impressi in modo indelebile nella sua carne. Gesù è il risorto e il vivente, ma non cancella le tracce del prezzo di questo amore senza limiti. I segni della passione sono anche essi un messaggio concreto ai suoi amici, chiamati a portare la pace sapendo di dover spesso pagare per la sua realizzazione.
E’ difficile credere e accettare questo, e Tommaso con la sua iniziale incredulità ci tranquillizza, perché anche noi come lui non troviamo la strada della fede così immediata e facile da accogliere.
Ma lo stesso Tommaso finirà con il pronunciare la più alta professione di fede nel Vangelo, quando alla fine riconosce Gesù come Signore e Dio. E’ difficile costruire la pace come ci insegna Gesù, ma è possibile, non è una illusoria utopia.

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Ieri in Arena il momento per me più emozionante è stato quando a tutti i presenti hanno chiesto un minuto di silenzio per la pace nel mondo. Nell’anfiteatro stracolmo di gente è calato un improvviso silenzio. Ogni musica, comizio, slogan sono stati zittiti. Ad un certo punto, non lontano da dove ero si è sentito il pianto di un neonato che reclamava alla mamma il proprio pasto. Molti al sentire quel pianto si sono girati d’istinto verso la mamma che ha iniziato subito a dare da mangiare al figlio dal suo seno. Se non ci fosse stato quel silenzio, forse nessuno, se non i più vicini, si sarebbero accorti di quel piccolino e della sua voglia di vivere e nutrirsi come tutti i bambini del mondo. Mi ha fatto riflettere questa cosa quasi più di tutti i vari discorsi e slogan. La Pace si costruisce prima di tutto a partire dal silenzio, non il silenzio di chi non vuol farsi coinvolgere, ma il silenzio di chi vuole essere attento al più piccolo pianto e sofferenza. La pace è possibile solo se ci facciamo attenti a chi alza il proprio grido di aiuto e voglia di vivere, proprio come quel piccolo in mezzo ai 13mila dell’Arena di Verona.
Gesù entra nella casa dei suoi paurosi amici (che sono li nascosti per timore di fare la fine tragica del loro maestro) perché sente il loro grido di aiuto e anche quello dell’umanità che cerca pace e amore. Il Risorto porta la sua pace perché anche i suoi discepoli da ricettori diventino a loro volta diffusori di pace. Ma questo lo potranno fare se, come il loro Signore e Dio, si metteranno in ascolto anche della più piccola e lontana richiesta di pace, da qualsiasi parte del mondo essa provenga.

Giovanni don

Non essere un demolitore

Non essere un demolitore. Non pensarti troppo grande e importante: non sei la sola perla della spiaggia! Sii sorridente. Sii simpatico senza essere falso. Sii uomo di pace, lascia perdere il veder nero e le critiche continue. Nascondi i tuoi crucci. Non andare a cercar l‘altro apposta per raccontarglieli e quando l‘altro sta parlando non interromperlo per dire ―anche a me è successo..‖ Rispetta tutti. Nessuno ha mai ricevuto benefici disprezzando gli altri. Aiutati e aiuta gli altri. Nessuno è mai diventato amico solo vedendo i difetti degli altri e calpestando piedi e distribuendo calci.

(da Pensieri spettinati)

Prendi tempo

Prendi il tempo per riflettere:
è una fonte di pace.
Trova un tempo per svagarti:
è il segreto della giovinezza.
Scegli un tempo per leggere:

è la fonte della saggezza.

Prendi il tempo per amare ed essere amato:
è un dono di Dio.
Trova il tempo per la tenerezza:
è la strada della felicità.
Scegli il tempo per sorridere:
è una musica per l’anima.

Prendi il tempo per dare:
è la porta della fraternità.
Trova un tempo per lavorare:
è il prezzo del successo.
Scegli il tempo per essere solidale:
è la chiave del cielo.

Prendi il tempo per pregare:
è la forza della tua debolezza.

(comunità missionaria di Villaregia)

L’arte del parlare

A volte parliamo con leggerezza e non ci curiamo delle circostanze, eppure non dovremmo mai permettere alla lingua di oltrepassare il pensiero e dovremmo ricordarci che chi parla troppo non può che restar solo; e poi non è affatto vero che quello che si dice passa. Una buona parola non va mai perduta: passa da una persona all‘altra e alla fine torna a noi. Invece come dice il proverbio: ―Una parola mal detta va come una saetta.

(D. Franco)

La gioia del dare

Due fratelli, uno di cinque anni e l’altro di dieci, vestiti di stracci, continuavano a chiedere un po’ di cibo per le case della strada che circondava la collina.

Erano affamati, ma non riuscirono ad ottenere niente, i loro tentativi frustanti li rattristavano.

Finalmente, una signora diede loro una bottiglia di latte. Che festa per i due bambini!

Allora si sedettero sul marciapiede, e il più piccolo disse a quello di dieci anni:

“Tu sei il maggiore, bevi per primo…”, e lo guardava coi suoi denti bianchi, con la bocca mezza aperta.

Il grande si portò la bottiglia alla bocca e, facendo finta di bere, stringeva le labbra per non far entrare nemmeno una sola goccia di latte. Poi passò la bottiglia al fratellino che, dando un sorso, esclamò: “Com’è saporito!”.

Poi fu di nuovo il turno del maggiore. Anche questa volta si portò la bottiglia alla bocca, ormai già quasi mezza vuota, ma non bevve niente. E fecero così finché il latte non finì.

A quel punto il fratello maggiore, benché con lo stomaco vuoto ma col cuore traboccante di gioia, cominciò a cantare e a danzare.

Saltava con la semplicità di chi non fa niente di straordinario, o ancora meglio, con la semplicità di chi è abituato a fare cose straordinarie senza dargli importanza.

Noi che viviamo in un mondo di agiatezze, possiamo imparare una grande lezione da quel ragazzo: “Chi dà è più felice di chi riceve”

(Anonimo)

La strada che non andava da nessuna parte

All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. Martino lo sapeva perché lo aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva ricevuto la stessa risposta: “Quella strada lì? Non va in nessun posto. E’ inutile camminarci”.

“E fin dove arriva?”. “Non arriva da nessuna parte”.

“Ma allora perché l’hanno fatta?”. “Non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì”.

“Ma nessuno è mai andato a vedere?”. “Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non

c’è niente da vedere…”.

“Non potete saperlo se non ci siete mai stati”.

Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino-Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto. Quando fu abbastanza grande, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce e ben presto cominciarono i boschi.

Cammina cammina la strada non finiva mai, a Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane. Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani, poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro. Attraverso le sbarre Martino vide un castello e a un balcone una bellissima signora che salutava con la mano.

Spinse il cancello, attraversò il parco e sulla porta trovò la bellissima signora. Era bella, vestita come una principessa e in più era allegra e rideva: “Allora non ci hai creduto”.

“A che cosa?”. “Alla storia della strada che non andava da nessuna parte”.

“Era troppo stupida e secondo me ci sono più posti che strade”. “Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni ti farò vedere il castello”.

C’erano più di cento saloni zeppi di tesori. C’erano diamanti, pietre preziose, oro, argento e ad ogni momento la bella signora diceva: “Prendi, prendi quello che vuoi… Ti presterò un carretto per portare il peso”.

Martino non si fece pregare e ripartì col carretto pieno.

In paese, dove l’avevano già dato per morto, Martino fu accolto con grande sorpresa.

Scaricato il tesoro il carro ripartì. Martino fece tanti regali a tutti e dovette raccontare cento volte la sua storia. Ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere cavallo e carretto e si precipitava giù per la strada che non andava da nessuna parte.

Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro, con la faccia lunga per il dispetto: la strada per loro finiva in mezzo al bosco in un mare di spine. Non c’era né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova.

(G. Rodari)

LUNEDI’ DELL’ANGELO

L’esperienza del Risorto è l’anima della vita del discepolo.

Ieri mattina Gesù ci ha insegnato un percorso per poter veramente giungere a vedere e a credere nell’esperienza di Colui che era morto ed è tornato in vita.

Oggi Gesù ci insegna un’altra strada per poter veramente giungere a cogliere questa meravigliosa esperienza che è il Risorto. Un particolare che avremo notato e lo noteremo in tutti i Vangeli della Passione e della Resurrezione è dato dalla presenza delle donne.

Esse lo hanno seguito dalla Galilea, erano presenti all’albero della croce, lo hanno ricercato nella tomba vuota ed hanno avuto la gioia di goderne la Presenza.

E’ il testo evangelico ascoltato.

La domanda che nasce davanti a questa interpellanza evangelica è: perché le donne hanno avuto questo grande privilegio?

Non per nulla, Gesù nel vangelo di Giovanni, ci ha consegnato all’albero della croce Maria, la donna per eccellenza, perché da lei imparassimo ad essere discepoli del Maestro. La donna è un regalo di Dio all’uomo, perché l’uomo, nell’esemplarità anche della donna possa veramente cercare il volto di Dio. Stando ai testi evangelici anche noi possiamo cogliere tre aspetti della figura della donna che ci aiutano ad entrare veramente nell’esperienza della resurrezione e quindi, come le donne, andare con l’entusiasmo della vita ad annunciare la presenza del Risorto.

La donna è per natura sua una ricercatrice della verità; la donna, luogo in cui c’è il mistero della vita, ha una sensibilità profonda nel cogliere l’Invisibile nel reale, ma soprattutto, la donna è il grande cuore che ama all’impossibile.

Attraverso questi tre elementi possiamo cogliere come Maria, e quindi le donne, ci aiutano ad avvertire come incontrare il Risorto.

Innanzitutto la donna è un’intensa ricercatrice.

Noi tante volte evidenziamo questo aspetto con l’immagine della curiosità, ma il criterio della donna ricercatrice è la donna di Samaria. Sono quelle donne che “prese” da Gesù vanno al sepolcro, perché in quell’atto rituale dell’ungere il corpo, diventano le persone che vogliono veramente vivere del Maestro. La donna ci insegna a ricercare il senso della vita. Noi spesso rimaniamo rinchiusi a quello che abbiamo acquisito, ma la bellezza della vita di un discepolo è ricercare, è ricercare con la passione della verità. Allora, questo primo aspetto che possiamo cogliere nell’esperienza delle donne e quindi della figura della donna, diventa ancor più profondo, perché la donna depositaria della vita sa cogliere l’Invisibile nella realtà storica.

La sensibilità femminile è di gran lunga superiore alla sensibilità maschile, perché in lei è nata la vita e la vita ci fa cogliere l’anima delle persone.

Chi ama la vita ama l’anima, coglie le sfumature, non rimane al concreto e al visibile, va al di là.. per cui la donna ci insegna a cercare al di là.. di quello che può accadere.

Ecco perché le donne vanno non da “deluse”, ma con il desiderio di trovare il Maestro!

Quella corporeità del Maestro è il senso della loro vita perché, la donna, è sostanzialmente un cuore che non si dimentica mai di amare concretamente… è per eccellenza il discepolo che Gesù amava.

Ecco perché Gesù ha dato, al discepolo che Gesù amava, Maria.. perché, quel discepolo, quella persona, quel cristiano imparasse ad avere un cuore che va al di là di tutto, cioè che è concreto, per spaziare sull’Infinito.

La donna è un cuore che dà l’impossibile nelle situazioni storiche della vita. Ecco perché la narrazione evangelica ha messo così in luce la figura delle donne e Gesù non le ha deluse.

E’ molto bello nel racconto del Vangelo di stamattina come Gesù vada incontro a quelle donne e comunichi ad esse la sua pace in quel saluto, per cui, la bellezza dell’anima femminile davanti a Gesù, quell’avvicinarsi, quell’abbracciare i piedi, quell’adorare è veramente il vedere il Signore!

Come nell’ordine della creazione Dio consegnò all’uomo il suo capolavoro, la donna, così nell’evento della rivelazione cristiana il Signore risorto ci consegna il femminile per poter veramente scoprire, con l’anima di una donna, la grandezza dell’essere discepoli, d’essere  persone che ricercano il volto del Signore, ne colgono la Presenza nel contingente e col cuore ricco di amore vedono e comunicano il Risorto.

Non è quello che stiamo celebrando?

L’Eucaristia di questa mattina è vivere la stessa esperienza delle donne: ci avviciniamo al Signore, che è qui presente, lo afferriamo per i piedi, è il segno sacramentale – il Corpo e il Sangue del Signore – e lo adoriamo.

E’ gustare il Risorto che nel suo Corpo dato e nel suo Sangue versato ricolma la nostra esistenza.

Se scoprissimo questi valori che il Vangelo ci regala, attraverso la tipologia delle donne, scopriremmo come la bellezza della vita ce la regala il Signore stesso, così come ha creato il mondo ed avendo creato la donna ci ha regalato il dono per conoscere veramente il Risorto.

Tale sia il mistero che nell’Eucaristia vogliamo profondamente vivere e condividere per camminare nella speranza che viene dall’alto certi che, con il Signore riconosciuto presente in mezzo a noi, come le donne, possiamo camminare in novità di vita e regalare speranza ai fratelli in attesa della grande gloria, l’incontro finale con il Risorto in Paradiso!

(A. Donghi)

Terremoto pasquale

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Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.
Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.
L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».
Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.
Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
(dal Vangelo di Matteo 28,1-10)

È così difficile trovare le parole difronte ad una situazione di morte e di lutto che è ancora più difficile parlare e dire qualcosa della resurrezione. Di un morto ritorna in vita al massimo possiamo trovare qualcosa in un film horror sugli zombie o sui fantasmi, ma in questo caso l’obiettivo è fare paura e non trovare speranza.
Sembra che la difficoltà di raccontare la resurrezione ce l’abbia anche Matteo, quando racconta il giorno di Pasqua. Il suo racconto è pieno di confusione e di un alternanza di sentimenti, tra paura e gioia, stupore e smarrimento totale.
Le donne sono andate al sepolcro, a compiere i loro gesti consueti e tutto sommato rassicuranti che sono legati alla morte. Anche se sono tristi, esse sono in un certo sento rassicurate che in fondo sta succedendo quel che di solito accade quando una persona non c’è più. Nulla può cambiare…
Ma qualcosa di straordinario e sconvolgente accade: la vita supera e vince la morte, e l’evangelista racconta questo parlando di un terremoto, di un essere angelico dall’aspetto soprannaturale, della pietra che viene rotolata via come nulla fosse e delle guardie rese inefficaci dallo spavento. Anche noi lettori di più di duemila anni dopo non possiamo non rimanere stupiti da questa descrizione così strana e incredibile.
Se qualche volta abbiamo avuto l’esperienza di un terremoto forse ricordiamo il senso di spavento profondo e un’impotenza totale che ci entra dentro. Un terremoto sembra far crollare non solo le strutture materiali esteriori ma anche le sicurezze interiori.
Matteo con il terremoto che precede l’apparizione dell’angelo, vuole dare il senso dello sconvolgimento profondo che comporta la resurrezione di Gesù non solo per le donne e uomini di allora, ma per ogni essere umano di ogni tempo, me compreso che vivo oggi.
Quel terremoto che fa cadere a terra le guardie e spaventa le donne, continua anche oggi e non vuole smettere. Quando muore Gesù, Matteo, nel capitolo immediatamente precedente, parla di un primo terremoto che rompe le rocce e i sepolcri, e ora lo ripropone come segno di una sconvolgimento cosmico che cambia il corso della storia e il corso delle consuetudini di vita anche religiosa.
Le donne venute per un rito di morte, sono invitate a diventare annunciatrici di vita. I vasi di unguenti funebri che hanno nelle mani cadono a terra, con le stesse mani ora abbracciano i piedi del Gesù vivente.
Paura, stupore, gioia, smarrimento… Sono questi i sentimenti che il terremoto della resurrezione di Gesù ha mosso e fatto vibrare. Le guardie tramortite a terra sono i custodi della morte rese inefficaci, mentre le donne sono i nuovi custodi di Gesù, non morto, ma vivente.
Dove siamo noi? Dove mi colloco io in questa scena evangelica?
Forse siamo un po’ in mezzo, come sempre accade quando due alternative ci sono offerte dalle pagine del Vangelo. Qui abbiamo da una parte la morte con i suoi custodi e dall’altra la vita con i suoi annunciatori.
La Pasqua vuole sconvolgere anche me per farmi prendere posizione, sapendo che continuamente oscillo tra morte e vita, tra peccato e perdono, tra egoismo e amore, tra religiosità di facciata e fede viva…
Che questa Pasqua sia come quel terremoto, che mette in luce le mie durezze, le mie chiusure, le mie situazioni di morte spirituale, e mi rimetta in moto per aprirmi di più al prossimo, per credere nella vita anche nelle difficoltà più grandi, per diventare con i gesti e le parole di tutti giorni un annunciatore di vita.

Giovanni don

 

Il giorno che aspetta domani

«Là posero Gesù».

Il giorno peggiore è quello dopo la sepoltura.

Perché non c’è più nulla da fare.

– Riposati.

– Stai tranquillo.

– Non ti preoccupare.

Non ci sono incombenze.

Non ci sono mani da stringere.

Volti da riconoscere.

Parole da dire.

Formalità da espletare.

Il giorno dopo la sepoltura non c’è più nulla e nessuno.

Nessuno tranne lui.

Che vedi ovunque.

Ti volti per dirgli che…

Lo cerchi con lo sguardo dove di solito…

Se squilla il telefono, ti aspetti la sua voce.

Ogni altra voce fa male.

Perché ti ricorda quell’assenza.

E le sue cose… che ci sono senza lui.

Quindi non sono.

Quell’assenza ti svuota.

E anche tu non sei più tu.

Non sei più un suo amico.

Non sei più suo figlio.

Non sei più suo fratello.

Non sei più suo padre.

E quel barlume di voce che si agita in fondo al dolore ti violenta ancora più.

Infierisce con la lama di una indefinibile speranza.

E se non fosse finita davvero?

E se domani…

Il giorno peggiore è quello dopo la sepoltura.

Domani sarà già diverso.

Peggio.

O un po’ meglio.

O tutt’altra cosa.

Sorprendente novità a sfidare l’ovvio?

Domani non sarà più questo sabato di niente.

Domani sarà qualcosa di diverso.

 

Il sabato santo è il giorno che aspetta domani.

(P.  Righero)

Venerdì santo: davanti alla croce

Davanti alla croce
Signore Gesù, oggi mi fermo davanti a te,
ai piedi della tua croce
e penso che anch’io ti ho crocifisso con i miei peccati.
La tua disarmante bontà, che non si difende
e si lascia crocifiggere
è un qualcosa che non capisco,
che supera la mia mente
e scende al centro del mio cuore.

Signore, tu sei stato crocifisso per un complotto contro di te.
La forza dei sommi sacerdoti Anna e Caifa’,
la forza di Pilato e di Erode
hanno creato il diritto di crocifiggerti.
La forza della mia cattiveria,
la forza del mio cuore duro,
la forza delle mie malignità,
la forza del mio egoismo,
la forza del mio fare il doppio gioco,
la forza delle mie menzogne
hanno creato il diritto di ucciderti, Signore,
ancora oggi
nelle persone che io stesso ho crocifisso senza pietà
per salvare me stesso,
per tutelare le mie idee,
per agevolare le mie convinzioni,
per nascondere le mie paure,
per difendere il mio pezzo di potere,
per tenere in piedi un passato vecchio e ormai finito
e non concedere al presente di sbocciare in un nuovo futuro.
E tu, Signore, sei giustiziato ancora oggi con la morte più atroce:
la crocifissione.

Signore, guardami,
sono qui davanti a te:
il peccatore da salvare sono io,
il ladrone accanto a te sulla croce da salvare sono io,
il centurione che ti pianta i chiodi nelle mani e nei piedi sono io,
il “Giuda” che ti tradisce sono io,
il governatore Ponzio Pilato che se ne lava le mani sono io,
i sommi sacerdoti Anna e Caifa’ che complottano contro di te sono io,
il tuo discepolo fidato Pietro, che ti rinnega e ti lascia solo, sono io.
Signore, sono qui, davanti alla tua croce.
Concedimi, ti prego, il dono delle lacrime,
perché io possa cambiare la mia vita,
perché io possa ritrovare la libertà
e la pace del mio cuore.
Ma soprattutto, Signore, concedimi il perdono di tutto il male che ho fatto.
Amen.

D. Angelo Saporiti