Olio, pane, vino e acqua

Olio, pane, vino e acqua.

 

Olio.

Olio di letizia.

Olio per guarire le ferite.

Olio per far risplendere il volto di una luce che viene dall’alto.

Olio per sostenere la debolezza di coloro che sono consacrati a Dio.

Pane.

Pane per nutrire un amore insufficiente.

Pane per radunare ad una sola tavola donne e uomini con gusti diversi.

Pane non concesso ma condiviso.

Pane che si sbriciola e torna ad essere uno.

Vino.

Vino che disseta e rigenera.

Vino che trasfonde la Vita nelle nostre piccole vite.

Vino che rigenera.

Vino abbondante che luccica su labbra mai sazie.

Acqua.

Acqua che sgorga dal costato del crocifisso.

Acqua che lava via la povere.

Acqua che scioglie la presunzione di essere migliori.

Acqua che mette Dio in ginocchio davanti all’uomo.

Olio, pane, vino e acqua.

Sono questi gli ingredienti del giovedì santo.

(P.   Righero)

 

I tre setacci

Nell’antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza. Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse:

– Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?

– Un momento – rispose Socrate. – Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci.

– I tre setacci?

– Sì. – continuò Socrate. – Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero?

– No… ne ho solo sentito parlare…

– Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono?

– Ah no, al contrario!

– Dunque, – continuò Socrate, – vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell’utilità. E’ utile che io sappia cosa mi avrebbe fatto questo amico?

– No, davvero.

– Allora, – concluse Socrate, – quello che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile; perché volevi dirmelo?

(Anonimo)

Per la domenica delle palme

Ti chiediamo, Signore Gesù,
di guidarci in questo cammino
verso Gerusalemme e verso la Pasqua.
Ciascuno di noi intuisce che tu,
andando in questo modo a Gerusalemme,
porti in te un grande mistero,
che svela il senso della nostra vita,
delle nostre fatiche e della nostra morte,
ma insieme il senso della nostra gioia
e il significato del nostro cammino umano.
Donaci di verificare sui tuoi passi
i nostri passi di ogni giorno.
Concedici di capire, in questa settimana che stiamo iniziando,
come tu ci hai accolto con amore,
fino a morire per noi,
e come l’ulivo vuole ricordarci
che la redenzione e la pace da te donate
hanno un caro prezzo,
quello della tua morte.
Solo allora potremo vivere nel tuo mistero
di morte e di risurrezione,
mistero che ci consente di andare
per le strade del mondo
non più come viandanti
senza luce e senza speranza,
ma come uomini e donne
liberati della libertà dei figli di Dio.

(C. M. Martini)

Stai con me

Stai con me, e io inizierò a risplendere

come tu risplendi,

a risplendere fino ad essere luce per gli altri.

La luce, o Gesù, verrà tutta da te: nulla sarà merito mio.

Sarai tu a risplendere,

attraverso di me, sugli altri.

Fa’ che io ti lodi così

nel modo che tu più gradisci,

risplendendo sopra tutti coloro

che sono intorno a me.

Dà luce a loro e dà luce a me;

illumina loro insieme a me, attraverso di me.

Insegnami a diffondere la tua lode,

la tua verità, la tua volontà.

Fa’ che io ti annunci non con le parole

ma con l’esempio,

con quella forza attraente,

quella influenza solidale

che proviene da ciò che faccio,

con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi,

e con la chiara pienezza dell’amore

che il mio cuore nutre per te.

(J.  He.  Newman)

Il Dio donato

Gesù sale su di un asinello che si inerpica deciso sul fianco della collina, sulla strada che costeggia le imponenti mura, per entrare nella città santa. La gente lo riconosce, alcuni bambini gli corrono innanzi, alcuni tagliano rami di palma e di ulivo, qualcuno grida “osanna”. Arriva il Messia, Gerusalemme, arriva il tuo re.

Arriva dal monte degli ulivi, perché di la sarebbe arrivata la salvezza, cavalcando un puledro d’asina, come profetizzato da Zaccaria.

Re da burla, potente che non si prende sul serio, Gesù entra nella città che uccide i profeti.
Me lo vedo, il Signore.

Abitudini

Siamo talmente abituati alla morte di Dio, talmente riempiti di riflessioni e meditazioni, e stanche prediche sulla salvezza, da avere tutto chiaro, tutto colto, tutto imparato. Non ci serve null’altro. Al più qualche emozione resa possibile dalle nuove tecniche, dalla modernità e dai prodigi della tecnica, una cruenta passione come quella di Gibson, ma nulla di più.

E assistiamo ancora una volta al dono di Dio come se fosse una cosa dovuta, un evento banale, quasi abitudinario, presente ma debole, scontato ma inutile.

Peggio: ci fermiamo alla crosta, ascoltiamo e diciamo parole di cui non conosciamo veramente il significato.

Gesù è morto per noi. E nessuno sente il bisogno di salvezza.

Egli è morto per i nostri peccati. E noi stiamo attenti a sottolineare i peccati degli altri.

Ha donato se stesso. E non sappiamo che farcene di questo dono.

Avessimo il coraggio di tornare a quei giorni, di riviverli, di lasciarci interrogare e scuotere!

Avessimo il coraggio di osare perforare i Vangeli, di toglierli dalla patina di incenso che li avvolge per guardare negli occhi il Nazareno che ha deciso di donarsi fino in fondo.

Lo spettacolo è pronto, tutti i protagonisti sono la loro posto.
Ha inizio la morte di Dio.

La scelta

Gesù arriva alla fine dei suoi intensi tre anni con un pugno di mosche in mano: l’umanità non ha capito. I suoi discepoli, preziosi e amati, sono fermi alla contraddizione del potere e della gloria e inchiodati al proprio (evidente) limite; i capi religiosi avvertono la forza destabilizzante della sua predicazione; la folla segue il vento della moda. Gesù non ha alcuna possibilità di farcela, la sua scommessa è persa. Non è servito, non è bastato, non è sufficiente tutto l’amore che ha donato.

Forse aveva ragione l’avversario, là nel deserto: troppo ingenuo questo modo di operare. Davvero Dio pensava di trattare con gli uomini alla pari? Di aprire il loro cuore col sorriso? Di presentarsi vulnerabile?

La scelta da fare, ormai, è una sola: andarsene, rinunciare, gettare la spugna.
Occuparsi – chissà – di un altro mondo. Oppure…

Il dono

Oppure lasciarsi travolgere, sparire, morire. Lasciare che le tenebre vincano, lasciare che le cose prendano la loro piega, osare. Osare fino a morire appeso ad una croce, fino all’eccesso.
Altro è dire: “Dio vi ama!”, altro morire.

Altro dire: “Il Padre vi perdona!”, altro pendere, nudo, da un palo. E perdonare.
Una cosa è parlare, un’altra morire. Urlando.

Capiranno, gli uomini? O Dio sarà uno dei tanti sconfitti della storia, dimenticati?
La posta in gioco è immensa: l’esistenza stessa di Dio.

Quanti crocefissi sono morti nella storia antica? Cinquecentomila? Un milione? Di quanti di loro ricordiamo il nome e la vita? Di nessuno.

Il rischio che Dio corre in questo gesto è quello di scomparire per sempre. L’uomo avrebbe continuato ad immaginarsi Dio con un volto proiettando in esso i propri desideri. O le proprie paure.

Gesù accetta, rischia, si dona. Forse sarà tutto inutile, come insinua l’avversario nell’orto degli ulivi.
Forse.

L’agonia di Gesù, nell’orto degli ulivi, l’agonia che lo fa sudare sangue, è tutta lì, in quella scelta. Non nel dolore che Gesù deve affrontare, non nel senso di abbandono da parte dei suoi, no.

Il dolore, inaudito, che Gesù prova, nasce dal dubbio dell’inutilità della sua scelta definitiva.

L’avversario, che torna ora che è giunta l’ora, cerca di scoraggiarlo: “è tutto inutile”.

Inutile: non vedi che ti stanno venendo a prendere per arrestarti? Inutile: i tuoi stanno dormendo, non hanno capito la gravità della situazione. Inutile, l’uomo non cambierà mai.
Gesù accetta, corre il rischio, si dona. Morirà.

Lì, appeso alla croce, Dio è evidente, inequivocabile, non vi è alcuna possibilità di ambiguità.

Il cuore della passione di Cristo è l’amore, non la violenza.

Gesù muore affidando al Padre il proprio cuore, e donando a noi lo Spirito.

Dio è evidente: osteso, mostrato, nudo. Dio è così, amici: arreso. A noi, ora, la prossima mossa.

Siateci
Un invito sommesso, a chi legge queste pagine: siateci.

Nella povertà delle nostre assemblee, ritagliando spazio e tempo ai nostri mille pressanti impegni, siateci. Giovedì sera alla Messa che ci ricorda l’istituzione dell’Eucarestia, venerdì nella grande e sofferta celebrazione della Croce, Sabato nella lunga e luminosa notte della Resurrezione. Tre giorni che ci accompagneranno, spero, a ridire la nostra fede, a riscoprire il dono, a cambiare la vita.

Abbiamo il coraggio, in questi giorni, di rimetterci in gioco, di identificarci.

(P. Curtaz)

Con Dio nel cuore

La vita, se è capace di allargarsi,
di fare posto a una nuova vita,
è vita.
Il cielo, se si lascia specchiare e guardare,
se si lascia respirare,
è cielo.
Grazie a te,
la vita e il cielo
oggi si sono incontrati.

(E. Olivero)

La peggior malattia dell’Occidente…

La peggiore malattia dell’Occidente oggi non è la tubercolosi o la lebbra, ma è il non sentirsi desiderati né amati, il sentirsi abbandonati. L’unica cura è l’amore. Una volta che comprendi quanto Dio sia innamorato di te, puoi vivere solo irradiando quell’amore. L’amore non ha senso se non viene condiviso. Ciò che conta non è quanto fai, ma quanto amore metti in ciò che fai e condividi con gli altri. Amare significa anche accettare la sofferenza con gioia. Dio ama chi dona con gioia.

(Madre Teresa di Calcutta)

Preghiera del mattino

C’è buio in me
in te invece c’è luce;
sono solo, ma tu non m’abbandoni;
non ho coraggio, ma tu mi sei d’aiuto;
sono inquieto, ma in te c’è la pace;
c’è amarezza in me, in te pazienza;
non capisco le tue vie, ma
tu sai qual è la mia strada.
Tu conosci tutta l’infelicità degli uomini;
tu rimani accanto a me,
quando nessun uomo mi rimane accanto,
tu non mi dimentichi e mi cerchi,
tu vuoi che io ti riconosca
e mi volga a te.
Signore, odo il tuo richiamo e lo seguo,
aiutami!
Signore, qualunque cosa rechi questo giorno,
il tuo nome sia lodato!
Amen.

(D. Bonhoeffer)

Preghiera per la quaresima

Adorando insieme la croce, segno della nostra salvezza,
chiediamo umilmente perdono per noi,
per le colpe di cui noi ci siamo macchiati;
chiediamo perdono anche a nome di tutti coloro che non sono qui
e non sanno chiedere perdono al Signore per le loro colpe.
Essi non sanno di quanta gioia e di quanta pace
il loro cuore sarebbe pieno se sapessero farlo.
Chiediamo perdono a nome di tutta l’umanità,
del tanto male commesso dall’uomo contro l’uomo,
del tanto male commesso dall’uomo
contro il Figlio di Dio, contro il salvatore Gesù,
contro il profeta che portava parole di amore.
E mettiamo la nostra vita nelle mani del crocifisso
perché egli, redentore buono, redima e salvi il nostro mondo,
redima e salvi la nostra vita col conforto del suo perdono.

(C.M. Martini)

La strada per Dio

Molti eremiti abitavano nei dintorni della sorgente. Ognuno di loro si era costruito la propria capanna e passava le giornate in profondo silenzio, meditando e pregando. Ognuno, raccolto in se stesso, invocava la presenza di Dio.Dio avrebbe voluto andare a trovarli, ma non riusciva a trovare la strada. Tutto quello che vedeva erano puntini lontani tra loro nella vastità del deserto. Poi, un giorno, per una improvvisa necessità, uno degli eremiti si recò da un altro. Sul terreno rimase una piccola traccia di quel cammino. Poco tempo dopo, l’altro eremita ricambiò la visita e quella traccia si fece più profonda. Anche gli altri eremiti incominciarono a scambiarsi visite.La cosa accadde sempre più frequentemente. Finché, un giorno, Dio, sempre invocato dai buoni eremiti, si affacciò dall’alto e vide che vi era una ragnatela di sentieri che univano tra di loro le capanne degli eremiti. Tutto felice, Dio disse: “Adesso si! Adesso ho la strada per andarli a trovare”.Ma com’è difficile tracciare uno di quei sentierini.

(B. Ferrero)