Basta

Basta un fiocco di neve per far nascere un fiume. 
Basta una goccia d’acqua per forare una pietra. 
Basta una stella per illuminare il cielo. 
Basta un fiore per rallegrare il deserto. 
Basta un sorriso per dar vita all’amicizia. 
Basta un “sì” per consegnarsi alla persona amata. 
Basta una lacrima per cancellare una montagna di peccati. 
Basta uno spicciolo per far grande il tesoro. 

Tu sei un Dio straordinario, Signore, 
perché giudichi grande e meraviglioso 
ciò che è piccolo e ordinario; 
perché niente misuri con il metro e con la stadèra, 
ma solo e sempre 
in base al silenzioso e nascosto battito del cuore. 

Aiutami, Signore, ogni giorno 
a donarti sempre il meglio di me, 
anche se è poco, 
dal momento che non mi chiedi di fare cose straordinarie 
ma soltanto che faccia le cose ordinarie 
con un cuore straordinario.

(A. Dini)

Credo che un giorno

Credo, sì io credo che un giorno, 
il tuo giorno, o mio Dio, 
avanzerò verso di te 
coi miei passi titubanti, 
con tutte le mie lacrime 
nel palmo della mano, 
e questo cuore meraviglioso 
che tu ci hai donato, 
questo cuore 
troppo grande per noi 
perché è fatto per te… 
Un giorno io verrò, 
e tu leggerai sul mio viso 
tutto lo sconforto, tutte le lotte, 
tutti gli scacchi 
dei cammini della libertà. 
E vedrai tutto il mio peccato. 
Ma io so, mio Dio, 
che non è grave il peccato, 
quando si è alla tua presenza. 
Poiché è davanti agli uomini 
che si è umiliati, ma davanti a te, 
è meraviglioso essere così poveri, 
perché si è tanti amati! 
Un giorno, il tuo giorno, mio Dio, 
io verrò verso di te. 
E nella autentica esplosione 
della mia resurrezione, 
saprò allora 
che la tenerezza sei tu, 
che la mia libertà sei ancora tu. 
Verrò verso di te, mio Dio, 
e tu mi donerai il tuo volto. 
Verrò verso di te 
con il mio sogno più folle: 
portarti il mondo fra le braccia. 
Verrò verso di te, 
e griderò a piena voce 
tutta la verità della vita sulla terra. 
Ti griderò il mio grido 
che viene dal profondo dei secoli: 
“Padre! Ho tentato di essere 
un uomo, e sono tuo figlio”.

(J. Leclerq)

La Parola di Dio, parola di vita eterna

Giovanni mette in scena il resoconto di una cri­si drammatica. Dopo il lungo discorso sul pane dal cie­lo e sulla sua carne come cibo, Gesù vede profilarsi lombra del fallimento: molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. E lo motivano chiaramente: questa parola è dura. Chi può ascoltarla? Dura era stata an­che per il giovane ricco: vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri. Dure le parole sulla montagna: ama i tuoi nemici, se uno ti colpisce porgi laltra guancia. Ma ciò che Gesù propone a­desso non è una nuova mora­le più o meno ardua, ma una visione ancora più rivoluzio­naria, una fede ancor più dura da comprendere e da accetta­re: io sono il pane di Dio; io trasmetto la vita di Dio; la mia car­ne dà la vita al mondo. Nessu­no aveva mai detto io con que­sta pretesa, questa autorità. E poi nessuno aveva mai parla­to di Dio così: un Dio che non versa sangue, versa il suo san­gue; un Dio che va a morire damore, che si fa piccolo co­me un pezzo di pane, si fa cibo per luomo. Finita la religione delle prati­che esterne, dei riti, degli ob­blighi, questa è la religione del corpo a corpo con Dio, fino a diventare una cosa sola con lui. Ed ecco la svolta del racconto: forse volete andarvene anche voi? Cè un velo di tristezza in Gesù, consapevole della crisi in atto. Ma cè anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libertà di ciascuno: siete li­beri, andate o restate, ma sce­gliete seguendo quello che sen­tite dentro! Sono chiamato an­chio a scegliere di nuovo, an­dare o restare. E mi viene in aiuto la stupenda risposta di Pietro: Signore da chi andre­mo? Tu solo hai parole di vita eterna. Tu solo. Dio solo. Un inizio bel­lissimo. Non ho altro di meglio. Ed esclude un mondo intero. Tu solo. Nessun altro cè su cui poggiare la vita. Tu solo hai pa­role: Dio parla, il cielo non è vuoto e muto, e la sua parola è efficace e tagliente, spalanca la pietra del sepolcro, vince il ge­lo, apre strade e nuvole e in­contri, apre carezze e incendi. Tu solo hai parole di vita. Pa­role che danno vita, la danno ad ogni parte di me. Danno vi­ta al cuore, allargano e purifi­cano il cuore, ne sciolgono la durezza. Danno vita alla mente perché la mente vive di libertà altri­menti patisce; vive di verità al­trimenti si ammala. Vita allo spirito, a questa parte divina deposta in noi, mantengono vivo un pezzetto di Dio in me, una porzione di cielo. Parole che danno vita anche al corpo perché in Lui siamo, viviamo e respiriamo: togli il tuo respiro e siamo subito polvere. Parole di vita eterna, che fanno viva per sempre la vita, che porta­no in dono leternità a tutto ciò che di più bello abbiamo nel cuore.

(p. Ermes Ronchi)

Dio, quel Pane che si fa lievito in noi

In questo breve Vangelo di otto versetti, Gesù per ot­to volte ci parla di un Dio che si dona: «Prendete la mia carne e mangiate». Farsi pane è un bisogno incontenibile di Dio.

Qui emerge il genio del cri­stianesimo: non più un Dio che domanda agli uomini of­ferte, doni, sacrifici, ma un Dio che offre, sacrifica, dona, perde se stesso dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo. «Mangiate e bevete di me»: mangiare e bere Cristo significa diventare luce da lu­ce, Dio da Dio, della stessa sua sostanza. Per farlo occorre co­gliere il segreto vitale di Gesù, assimilarne il nocciolo vivo e appassionato.

Gesù ha scelto il pane come simbolo dell’intera sua vita. Perché per arrivare ad essere pane c’è un lungo percorso da compiere, un lavoro tenace in cui si tolgono cortecce e gusci perché appaia il buono na­scosto di ogni cuore: spiga dentro la paglia, chicco den­tro la spiga, farina dentro il chicco. Il percorso del pane è quello di coloro che amano senza contare le fatiche. Se­mini il grano nella terra oscu­ra, marcisce, dice il Vangelo, e nascono le foglioline. È bello a gennaio vedere le foglioline tremare mentre si alzano so­pra la neve. Ma se ti fermi lì, hai vinto il nero della terra e il bianco della neve, ma non di­venti pane. Per diventarlo de­vi andare su, salire, e a giugno la spiga gonfia si piega verso la terra, quasi a voler ritornare lì, a dire: «ho finito». Invece vie­ne la mietitura, e se lo stelo di­ce «basta, ho già patito la vio­lenza della falce!» non diven­ta pane. Poi viene la battitura, la macina, il fuoco, tutti pas­saggi duri per il chicco. A co­sa serve alla fine tutto questo? Serve a saggiarci il cuore. Dio ci mette alla prova perché sa che dentro di noi c’è del buono, vuole soffiare via la pula perché appaia il chicco, to­gliere la crusca perché appaia la farina. Al buono di ciascu­no Dio vuole arrivare.

Cristo si fa pane perché o­gnuno di noi prima di mori­re deve diventare pane per qualcuno, un pezzo di pane che sappia di buono per le persone che ama. E goccia di sangue, che è il simbolo di tutto quanto abbiamo di buono e di caldo e di vivo, che mettiamo a disposizione di chi amiamo e, ancor più, di chi ha bisogno di essere a­mato. Dio è pane incammi­nato verso la mia fame. Sa­permi cercato, nonostante tutte le mie distrazioni, no­nostante questa mia vita su­perficiale e le risposte che non do, sapere che io sono il desiderio di Dio è tutta la mia forza, tutta la mia pace.

(p. Ermes Ronchi)

Buona festa dell’Assunzione della B.V. Maria!

O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini,

noi crediamo nella tua assunzione in anima e corpo al cielo,

ove sei acclamata da tutti i cori degli angeli e da tutte le schiere dei santi.

E noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore che ti ha esaltata sopra

tutte le creature e per offrirti l’anelito della nostra devozione e del nostro amore.

Noi confidiamo che i tuoi occhi misericordiosi si abbassino sulle nostre miserie

e sulle nostre sofferenze; che le tue labbra sorridano alle nostre gioie

e alle nostre vittorie; che tu senta la voce di Gesù ripeterti per ciascuno di noi:

Ecco tuo figlio.

E noi ti invochiamo nostra madre e ti prendiamo, come Giovanni, per guida,

forza e consolazione della nostra vita mortale.

Noi crediamo che nella gloria, dove regni vestita di sole e coronata di stelle,

sei la gioia e la letizia degli angeli e dei santi. 

E noi in questa terra, ove passiamo pellegrini, guardiamo verso di te,

nostra speranza; attiraci con la soavità della tua voce per mostrarci un giorno,

dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del tuo seno, o clemente,

o pia, o dolce Vergine Maria.

(Pio XII)

THE SUN: Onda perfetta

Consiglio musicale per l’estate… loro sono i The sun esempio di una christian music molto orecchiabile e piacevole:

Mi sento come se aspettassi qualcosa
Tu chiamala svolta
Mi faccio mille viaggi ma li tengo nascosti bene
che forse conviene
Ho desideri un po’ comuni e un po’ folli
si danno il cambio tra virtù e vizi

Ma questo è il mio viaggio
un’ onda perfetta
dove tutto combacia
anche quando non sembra
dove ogni mattino
è una pagina bianca
di un nuovo destino
di un nuovo cammino

Accolgo più dubbi di un tempo
punto in alto e li sfido
Nel caso le prendo
ma almeno vivo
Cammino più svelto
Voglio qualcosa che non vedo
Ma Dio, come lo sento
Ho tutto un mondo di speranze e di sogni
Sono illusioni solo se non ci credi

E questo è il mio viaggio
un’onda perfetta
dove tutto combacia
anche quando non sembra
dove ogni mattino
è una pagina bianca
di un nuovo destino
di un nuovo cammino

E’ questo il mio viaggio
si, adesso lo sento
e il senso lo trovo
in ogni momento
anche quando non voglio
c’è sempre un motivo
mi fido e lo seguo
con Fede lo vivo

Ho tutto un mondo di speranze e di sogni
Sono illusioni solo se non ci credi

Dio si fa pane per la vita del mondo

La storia di Elia ci aiuta a interpretare il Vange­lo di oggi. Dio stesso si fa pane e vicinanza, angelo e carezza perché noi, profe­ti troppe volte stanchi, non ci arrendiamo al deserto che ci assedia.

Io sono il pane disceso dal cielo. Io sono il Pane della vi­ta. La mia carne è per la vita del mondo. Tre affermazio­ni che riassumono il brano. Io sono pane: pane indica tutto ciò che ci mantiene in vita, Cristo fa vivere. Fa vive­re con la Parola, con le per­sone, con il giorno che ci do­na, con pane e acqua, un’in­tima luce e angeli che non ci aspettavamo, con se stesso. Pane disceso: il movimento decisivo della storia è di­scendente, è Lui che si in­carna e vuole la comunione con me; è Lui che attraversa deserti e crea sorprese di pa­ne e di carezze, è Lui che invita. È disceso dal cielo per­ché la terra non basta, per­ché a nessun figlio prodigo basteranno mai le ghiande contese ai porci. Ogni figlio ha nostalgia del pane di ca­sa: la nostra casa è il cielo, il nostro pane è Dio.

La mia carne è per la vita del mondo. Tre sole lettere «per» ed è il senso della storia di Gesù, dichiarazione d’amo­re da parte di Dio: per te, mondo, per tutte le tue vite, vale la pena vivere e morire; tu prima di me; la tua vita prima della mia. Neanche Dio vive per se stesso; vive, regna e ama «per noi e per il mondo», seme di fuoco in o­gni cosa, per sempre.

La nervatura di tutto il bra­no è il verbo mangiare. Men­tre le religioni orientali si concentrano sul respiro, il cristianesimo ha come gesto centrale il mangiare: entra in me Pane buono, che rag­giunge e alimenta anche la cellula più lontana. Dio vicino a me, Dio in me, Dio sot­to la mia pelle, che si insedia al centro della mia povertà come un re sul trono. Dio in ogni vena, Dio che mi abita: medicina, guarigione, pro­tezione, salvezza dell’anima e del corpo. Questa è la vita eterna, promessa per circa cento volte nei vangeli. Cer­tezza di una realtà senza prove. Tralcio e vite, una co­sa sola. «Siate imitatori di Dio». O­biettivo impossibile, se l’Amato non diventa la vita di chi lo ama, se non dà forma Lui al nostro sentire, pensa­re, parlare, dare. Siate imita­tori di Dio, fatevi voi stessi pane e angelo, acqua e vici­nanza. Cercate Qualcuno che doni il coraggio di non vivere per se stessi, di diven­tare dono e pane, di diven­tare tutti, gli uni per gli altri, carezza e angelo, compagnia nel deserto, compagnia ol­tre il deserto, su fino al mon­te di Dio.

(p. Ermes Ronchi)

Arrivederci mare

Arrivederci fratello mare
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.

(H. Hikmet)

La nuvola e la duna

Una nuvola giovane giovane (ma, è risaputo, la vita delle nuvole è breve e movimentata) faceva la sua prima cavalcata nei cieli, con un branco di nuvoloni gonfi e bizzarri. 
Quando passarono sul grande deserto del Sahara, le altre nuvole, più esperte, la incitarono: “Corri, corri! Se ti fermi qui sei perduta”. 
La nuvola però era curiosa, come tutti i giovani, e si lasciò scivolare in fondo al branco delle nuvole, così simile ad una mandria di bisonti sgroppanti. 
“Cosa fai? Muoviti!”, le ringhiò dietro il vento. 
Ma la nuvoletta aveva visto le dune di sabbia dorata: uno spettacolo affascinante. E planò leggera leggera. Le dune sembravano nuvole d’oro accarezzate dal vento. 
Una di esse le sorrise. “Ciao”, le disse. Era una duna molto graziosa, appena formata dal vento, che le scompigliava la luccicante chioma. 
“Ciao. Io mi chiamo Ola”, si presentò la nuvola. 
“Io, Una”, replicò la duna. 
“Com’è la tua vita lì giù?”. 
“Bé… Sole e vento. Fa un po’ caldo ma ci si arrangia. E la tua?”. 
“Sole e vento… grandi corse nel cielo”. 
“La mia vita è molto breve. Quando tornerà il gran vento, forse sparirò”. 
“Ti dispiace?”. 
“Un po’. Mi sembra di non servire a niente”. 
“Anch’io mi trasformerò preso in pioggia e cadrò. E’ il mio destino”. 
La duna esitò un attimo e poi disse: “Lo sai che noi chiamiamo la pioggia Paradiso?”. 
“Non sapevo di essere così importante”, rise la nuvola. 
“Ho sentito raccontare da alcune vecchie dune quanto sia bella la pioggia. Noi ci copriamo di cose meravigliose che si chiamano erba e fiori”. 
“Oh, è vero. Li ho visti”. 
“Probabilmente io non li vedrò mai”, concluse mestamente la duna. 
La nuvola rifletté un attimo, poi disse: “Potrei pioverti addosso io…”. 
“Ma morirai…”. 
“Tu però, fiorirai”, disse la nuvola e si lasciò cadere, diventando pioggia iridescente. 
Il giorno dopo la piccola duna era fiorita. 

Una delle più belle preghiere che conosco dice: “Signore, fa’ di me una lampada. Brucerò me stesso, ma darò luce agli altri”

(B. Ferrero)

Uno strano giovane

Il padrone di una grossa fattoria aveva bisogno di un aiutante che badasse alle stalle e al fienile. Come voleva la tradizione, il giorno della festa del paese, cominciò a cercare. Scorse un ragazzo di 16-17 anni che si aggirava tra i baracconi. Era un tipo alto e magro, che non sembrava molto forte.

«Come ti chiami giovanotto?».

«Alfredo, signore».

«Sto cercando qualcuno che voglia lavorare nella mia fattoria.. Ti intendi di lavori agricoli?».

«Sissignore. Io so dormire in una notte ventosa!».

«Che cosa?» chiese il contadino sorpreso.

«Io so dormire in una notte ventosa».

Il contadino scosse la testa e se ne andò.

Nel tardo pomeriggio, incontrò nuovamente Alfredo e gli rifece la proposta. La risposta di Alfredo fu la medesima: «Io so dormire in una notte ventosa!».

Al contadino serviva un aiutante non un giovanotto che si vantava di dormire nelle notti ventose.

Provò ancora a cercare, ma non trovò nessuno disposto a lavorare nella sua fattoria. Così decise di assumere Alfredo che gli ripeté: «Stia tranquillo, padrone, io so dormire in una notte ventosa».

«D’accordo. Vedremo quello che sai fare».

Alfredo lavorò nella fattoria per diverse settimane. Il padrone era molto occupato e non faceva molta attenzione a quello che faceva il giovane.

Poi una notte fu svegliato dal vento. Il vento ululava tra gli alberi, ruggiva giù per i camini, scuoteva le finestre.Il contadino saltò giù dal letto. La bufera avrebbe potuto spalancare le porte della stalla, spaventare cavalli e mucche, sparpagliare il fieno e la paglia, combinare ogni sorta di guai.

Corse a bussare alla porta di Alfredo, ma non ebbe risposta. Bussò più forte.

«Alfredo, alzati! Vieni a darmi una mano, prima che il vento distrugga tutto!».

Ma Alfredo continuò a dormire.

Il contadino non aveva tempo da perdere. Si precipitò giù per le scale, attraversò di corsa l’aia e raggiunse la cascina.

Ed ebbe una bella sorpresa.

Le porte delle stalle erano saldamente chiuse e le finestre erano bloccate. Il fieno e la paglia erano coperti e legati in modo tale da non poter essere soffiati via. I cavalli erano al sicuro, e i maiali e le galline erano quieti. All’esterno il vento soffiava con impeto. Dentro la cascina, gli animali erano calmi e tutto era al sicuro.

D’improvviso il contadino scoppiò in una sonora risata. Aveva capito che cosa intendeva dire Alfredo quando affermava di saper dormire in una notte ventosa.

Il giovane faceva bene il suo lavoro ogni giorno. Si assicurava che tutto fosse a posto. Chiudeva accuratamente porte e finestre e si prendeva cura degli animali. Si preparava alla bufera ogni giorno. Per questo non la temeva più.

Tu, riesci a dormire in questa lunga notte di vento che è la tua vita?

(B. Ferrero)