Aspetta un momento, Dio

Aspetta un momento, Dio, ora non posso pensarti.
Ho da andare al mercato per la spesa,
dal fioraio per gli addobbi,
dal pasticcere per i dolci,
in centro per i regali e fare tante altre cose che non sto qui a dirti.

Mi domando però …
…avrò, forse, dimenticato
che il «festeggiato» sei Tu?
(L.D.)

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Il ‘primato’ della benedizione. E del ringraziamento

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Un Vangelo di gioia e di donne. Santa Maria, gravida di Dio, incinta di luce, va in fretta, pesante di vita nuova e leggera di libertà, sui monti di Giuda. Origene di Alessandria (III sec.) afferma che l’immagine più vivida e bella del cristiano è quella di una donna incinta, che porta in sé una nuova vita. E non occorre che parli, è evidente a tutti ciò che accade: è viva di due vite, battono in lei due cuori. E non li puoi separare. Il cristiano passa nel mondo gravido di Dio, “ferens Verbum” (Origene) portando un’altra vita dentro la sua vita, imparando a respirare con il respiro di Dio, a sentire con i sentimenti di Cristo, come se avesse due cuori, il suo e uno dal battito più forte, che non si spegnerà più. Ancora adesso Dio cerca madri, per incarnarsi. Nell’incontro di Maria con Elisabetta, Dio viene mediato da persone, convocato dai loro abbracci e dai loro affetti, come se fosse, e lo è, un nostro familiare. Non c’è infinito quaggiù lontano dalle relazioni umane. In questa che è l’unica scena del Vangelo dove protagoniste sono solo donne, è inscritta l’arte del dialogo. Il primo passo: Maria, entrata nella casa, salutò Elisabetta. Entrare, varcare soglie, fare passi per andare incontro alle persone. Non restarsene al di fuori, ad aspettare che qualcosa accada ma diventare protagonisti, avvicinarsi, bussare, ricucire gli strappi e gli allontanamenti. E salutare tutti per via, subito, senza incertezze, per primi, facendo viaggiare parole di pace tra le persone. Bella l’etimologia di “salutare”: contiene, almeno in germe, una promessa di salute per le relazioni, di salvezza negli incontri. Il secondo passo: benedire. Elisabetta…esclamò: Benedetta tu fra le donne. Se ogni prima parola tra noi fosse come il saluto di chi arriva da lontano, pesante di vita, nostalgia, speranze; e la seconda fosse come quella di Elisabetta, che porta il “primato della benedizione”. Dire a qualcuno “sei benedetto” significa portare una benedizione dal cielo, salutare Dio in lui, vederlo all’opera, vedere il bene, la luce, il grano che germoglia, con uno sguardo di stupore, senza rivalità, senza invidia. Se non impariamo a benedire, a dire bene, non saremo mai felici. Il terzo passo allarga orizzonti: allora Maria disse: l’anima mia magnifica il Signore. Il dialogo con il cielo si apre con il “primato del ringraziamento”. Per prima cosa Maria ringrazia: è grata perché amata. L’amore quando accade ha sempre il senso del miracolo: ha sentito Dio venire come un fremito nel grembo, come un abbraccio con l’anziana, come la danza di gioia di un bimbo di sei mesi, e canta. A Natale, anche noi come lei, grati perché amati, perché visitati dal miracolo.

(padre Ermes Ronchi)

Che cosa dobbiamo fare?

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In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
(dal Vangelo di Luca 3,10-18)

Che cosa dobbiamo fare?
È la domanda che ho messo nelle orecchie dei bambini di terza elementare quando giovedì scorso abbiamo letto il Vangelo di questa domenica.
Nella pagina dell’evangelista Luca si narra di Giovanni Battista che nel fiume Giordano compie un gesto di purificazione e invita alla conversione. A lui si rivolgono persone che sono desiderose di cambiare la propria vita e convertirla al Signore, e gli chiedono “Cosa dobbiamo fare?”. Giovanni a tutti indica uno stile di condivisione e carità (“Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”), ma quando a lui si rivolgono pubblicani e poi soldati, per loro scende più nello specifico e non dà indicazioni generiche e magari inattuabili, ma indica loro qualcosa di legato alla loro vita e a quello che possono fare. La cosa significativa, che non può passare inosservata per noi credenti, è che le indicazioni date come modo di conversione al Signore non comportano principalmente un aumento di preghiere e riti, ma un deciso invito a cambiare il proprio stile di vita concreto e la relazione con il prossimo.
La condivisione dei beni, l’onestà sul lavoro e il rifiuto della violenza gratuita, sono le vie per andare al Signore. Sembra un discorso così laico da lasciare forse un po’ perplessi, e verrebbe da domandarsi cosa differenzia la vita laica da quella di un credente. Ma forse è proprio in questa non separazione netta che va cercata la vera novità del Vangelo. Dio con Gesù si è fatto uomo, vero uomo, e nella via umana ha posto la strada che porta al cielo e alla piena comunione con Dio. Per questo una vita umana vissuta in pienezza e nel bene, sia da credenti che non credenti, è sempre una strada verso il cielo. Ed è una strada possibile a tutti. E’ significativo che le due categorie di persone che pongono la domanda a Giovanni, siano per il panorama religioso del tempo, due categorie di persone ritenute escluse dalla benedizione di Dio: i pubblicani e i soldati pagani. Eppure Luca sceglie di dare spazio alla loro domanda per insegnarci che il Vangelo ci porta ad ascoltare ogni essere umano. Per il cristiano ogni uomo e donna ha dentro il desiderio di una vita umana vissuta in pienezza e orientata al bene. Per questo come cristiani non pensiamo che qualcuno sia escluso dall’amore di Dio e dal dialogo con noi.
Cosa possiamo fare? E’ un appello dentro ogni uomo che cerca quindi una risposta.
La possiamo trovare nelle parole del Vangelo e nel confronto sincero tra noi.
E nella ricerca della risposta possiamo farci aiutare anche da chi è più piccolo di noi. Per questo ai bambini di terza elementare ho chiesto di provare a dare una risposta alla domanda che la loro comunità parrocchiale gli rivolge, e che anche io come adulto gli rivolgo. Cosa possiamo fare? Cosa posso fare?
Ecco alcune delle loro semplici ma sincerissime risposte raccolte in una unica lettera indirizzata agli abitanti del paese dove i bambini abitano, Moniga del Garda…

“Cari abitanti di Moniga vi consigliamo di fare i bravi con i bambini e di non dire le parolacce. Ai bambini consigliamo di non trattare male gli amici.
Vi consigliamo di non buttare le lattine, le bottiglie e le cartacce e di riciclare i rifiuti e di non inquinare l’ambiente, e ricordate che la violenza non trionfa mai!
Vi consigliamo di non costringerci ad essere cattivi e fare cose sbagliate e di non picchiare mai nessuno.
Non picchiate mai le persone più deboli.
Se i bambini hanno un problema bisogna affrontarlo subito e se si hanno tanti vestiti bisogna donarli ai poveri.
Vi consigliamo di non inquinare l’aria che respiriamo e di non fare i bulli e a non essere maleducati.
i bambini di terza elementare

Cosa possiamo fare? Che cosa devo fare? Penso che la cosa che devo fare prima di tutto è proprio quella di mettermi in ascolto, anche di chi è più piccolo di me. Anche da lì il Signore mi parla per rendere la mia vita più umana e quindi allo stesso tempo più aperta a Dio.
Giovanni don

Immacolata concezione

In quel tempo, 26l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

“La donna che Tu mi hai messo accanto mi ha dato dell’albero e io ho mangiato.”.

Fin dalla nostra più tenera età ci difendiamo attaccando, o scaricando le nostre responsabilità sugli altri, o tutte e due… Adamo fa lo stesso: prima insinua che è stato Dio a dargli una compagnia pericolosa, e poi accusa Eva di averlo indotto a peccare…

Non s’è reso conto, il meschino, che così dicendo e facendo, (l’uomo) dichiarava e dichiara la sua inferiorità rispetto alla donna, la sua fragilità, in balia delle arti seduttorie di lei, etc. etc. Del resto, il leone è il re della foresta, tuttavia è la leonessa che provvede al sostentamento della famiglia…

Ho voluto esordire un po’ scherzosamente, presentando il punto di vista della Genesi sul rapporto uomo-donna: un punto di vista radicato nella società israelita, che si tramandò di padre in figlio per secoli e secoli. Al presente, ancora, nella nostra società emancipata e supertecnologica, la dignità della donna continua ad essere oppressa; e questo è un segno chiaro che l’uomo ancora la teme: teme che la propria mascolinità possa essere messa in discussione dalla femminilità; a questa differenza tra maschio e femmina, uomini e donne reagiscono tentando di ridurla, mascolinizzando la donna, e femminilizzando l’uomo; oppure esasperandola.

La verità è l’invidia/gelosia ancestrale per ciò che è diverso da me, per ciò che è altro da me…

Nel paradiso terrestre, il primo uomo percepì inizialmente se stesso come l’unico, fino a quella famosa notte, in cui un misterioso torpore era sceso su di lui e, al risveglio, aveva trovato la donna che gli dormiva accanto.

Ne fu immediatamente affascinato: “Finalmente essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa; finalmente è simile a me! ora non mi manca più nulla e non mi sentirò mai più solo!”. Ma poi (Adamo) cominciò a capire che la vita a due obbliga a condividere non solo il cibo, ma anche i pensieri; la mia volontà, la mia libertà devono fare spazio alla volontà e alla libertà di lei; tutto deve essere negoziato, tutto può essere messo in discussione…

E soprattutto, Adamo dovette convincersi che “diverso” non è sempre sinonimo di “sbagliato“; la verità non sta tutta da una parte sola; la verità sta sempre davanti e la si cerca insieme.

Già, la Verità! la ricerca sincera della verità mosse a compassione la misericordia di Dio Padre, fin dal primo giorno in cui Adamo confessò la sua miseria, l’essere nudo, ingenuo, schiavo dei propri istinti, incapace di elevarsi al di sopra delle sue immediate necessità, illuso di potercela fare da solo, fatalmente incline alla distruzione sua e altrui; ciò che è peggio, troppo debole e orgoglioso, per assumersi le sue responsabilità di fronte al male commesso.
Era necessario un intervento di Dio… ancora una volta.

E per ribadire – casomai ce ne fossimo dimenticati – che il gioco lo conduce Lui, Dio Padre, misericordioso, sì, ma mai indulgente, Dio mandò un angelo a comunicare il Suo progetto di salvezza. Non si tratta, tuttavia, del solito progetto caduto dal Cielo: il disegno salvifico del Padre ci interpella direttamente e chiede di essere sottoscritto da noi. In altre parole, la nostra libertà, la nostra volontà non sono bypassate, noi siamo parte attiva nella realizzazione della nostra salvezza.

Maria deve decidere se raccogliere la sfida celeste a collaborare in modo determinante, affinché la misericordia di Dio si possa realizzare, donando tutta sé stessa, oppure no.

E visto che da sempre e per sempre la differenza tra uomo e donna è vissuta come problema, prima che come opportunità preziosa, Dio la superò, rendendo fecondo il grembo della Vergine con il seme dello Spirito Santo; il frutto benedetto del grembo di Maria è vero uomo, sì, ma anche vero Dio: era dunque necessario che Dio ci mettesse, per così dire, del suo.
E il maschio? Sta a guardare?

Quale parte ha il maschio nel disegno della Misericordia celeste? Una bella domanda!

Quale posto ha il marito, nel progetto fecondo del matrimonio? Può (ancora) pensare, l’uomo, che l’istante del concepimento sia, in assoluto, ciò che fa di lui un vero uomo? Se è così, povero san Giuseppe! Destinato ad un ruolo ancillare, una pallida comparsa nel progetto di Dio.

Raffigurando la Sacra Famiglia, molti artisti collocano Giuseppe un poco scostato da Maria e il bambino; i tratti somatici di Giuseppe sono spesso quelli di un vecchio, talvolta addormentato.

È vero, la gravidanza se la deve vivere la donna: un figlio è frutto del suo grembo; il tempo delle rivendicazioni femministe è finito… Ma, che tristezza, vedere tanti papà che vivono gli anni della loro paternità come estranei, come se dormissero, mentre i figli crescono, nella ricerca, spesso vana, di un padre… “perché papà deve lavorare, perché papà è stanco…”. All’inizio, la moglie e i figli si possono illudere che queste motivazioni siano reali; poi l’illusione svanisce.
Ma la differenza rimane!

Vi prego, uomini e donne, vi prego, papà e mamme, riflettete attentamente sulle Letture che avete ascoltato in questa (ennesima) solennità dell’Immacolata; riprendetele con calma a casa vostra, rileggetele insieme. Riscoprite il vostro ruolo specifico e insostituibile, all’interno della famiglia. Ripeto, nessuno può assumerlo al posto vostro: una mamma non può fare anche da papà ai figli; né un papà può fare da madre… L’icona della Sacra Famiglia è un libro aperto per diventare una buona mamma e un buon papà…e anche un buon figlio.

Tutto il resto è ideologia, è folklore, uno stereotipo che non rende ragione del valore precipuo del matrimonio e del bene insuperabile della famiglia.

Non saremo mai abbastanza riconoscenti nei riguardi di Maria, la quale ha inaugurato la pienezza dei tempi (cfr. Gal 4,4), il giorno della salvezza, aprendo la via, perché si realizzasse la volontà di Dio: Cristo redentore del mondo, Cristo amico degli uomini, Cristo sposo della Chiesa.

Maria, nuova Eva; Cristo, nuovo Adamo: il disegno della creazione, infranto dal peccato, è tornato alla sua primitiva integrità: più nessun peccato lo può pregiudicare. Il Creatore aveva un asso nella manica, la Sua misericordia; al momento opportuno, il Padre l’ha giocato…e ha vinto.

(fr. Massimo Rossi)

Dio sceglie i grandi della Storia

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Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
(dal Vangelo di Luca 3,1-6)

Se Luca avesse scritto il Vangelo ambientandolo oggi avrebbe iniziato questo racconto in modo diverso: non avrebbe sicuramente inserito i grandi del suo tempo, iniziando dal più in alto in assoluto, cioè l’allora imperatore romano Tiberio, e via via indicando i grandi della regione in cui si trova (i vari tetrarchi e governatori) arrivando ad indicare la massime autorità religiose ebraiche, cioè Anna e Caifa. L’evangelista Luca oggi avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta nell’indicare i più potenti della terra e i vari leader che affollano la storia contemporanea, sia a livello politico che religioso.
E’ importante non trascurare questa dettagliata cornice storica che Luca mette a introduzione al suo racconto, perché proprio in questa cornice sta il primo grande messaggio della pagina del Vangelo. Questi sono i grandi della terra, potenti politicamente e religiosamente, ma non è ad essi che la parola di Dio viene, ma ad un uomo che vive nel deserto, Giovanni figlio di Zaccaria, che già fin dalla sua nascita esce dagli schemi tradizionali e dalle aspettative di tutti (basta leggere il racconto della sua nascita poche pagine prima nel Vangelo). L’elenco di personalità illustri alle quali sembrerebbe più ovvio debba comunicare il Dio onnipotente, è messo lì da Luca per evidenziare ancor più profondamente la scelta di come Dio entra nella storia umana. Dio inizia a comunicare con un quest’uomo qualunque rivestito solo della sua fede e del suo coraggio e non da titoli e privilegi.
Nella scelta di Giovanni come precursore, viene detto qualcosa di Gesù, che sta sempre al centro del racconto del Vangelo. Gesù sarà all’inizio un bambino qualunque, nato da una anonima famiglia di uno sconosciuto villaggio di Galilea, Nazareth (“…da Nazareth può venire qualcosa di buono?” in Giovanni 1,46). Questa scelta già mi impone una conversione di sguardo, come chiede lo stesso Giovanni nella sua predicazione. Se voglio sperimentare la presenza di Dio non devo uscire dalla vita normale, feriale, e andare in alto dal punto di vista sociale e religioso, ma devo credere che proprio nella mia vita e magari proprio da chi meno me l’aspetto e vive accanto a me, posso essere raggiunto da Dio che vuole comunicare con me. VI-IT-ART-44976-ansa_pope
E questo me lo ricorda proprio quello che per noi cristiani cattolici è la massima autorità e leader, il papa. Mi ha colpito la sua scelta di aprire la porta santa del Giubileo della Misericordia proprio nel centro dell’Africa, lontano dai fasti dei simboli religiosi romani, che per secoli sono stati visti come il centro della cristianità. Questo centro simbolico non viene eliminato, e Roma rimane sempre un punto di riferimento dell’esperienza comunitaria della fede, ma la porta santa aperta a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana mi ricorda proprio la scelta di Dio di iniziare a comunicare la sua presenza nuova nella storia umana a partire da un uomo che predica nel deserto e poi da un bimbo in una normale mangiatoia.
La scelta di Dio di iniziare da Giovanni dà ancor più forza alla frase finale della pagina di Vangelo, che partendo dalla profezia di Isaia, sintetizza il senso sella predicazione del Battista: Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Ogni uomo, e non solo i grandi e privilegiati della storia. Ogni uomo e donna anche oggi è chiamato a sperimentare l’amore di Dio che ama di un amore che salva, riempie, allarga la vita. Ogni uomo, indipendentemente dalla fede, dalla posizione sociale, dalle possibilità economiche, dalla salute fisica, dall’etnia e nazionalità… ogni uomo vedrà la salvezza di Dio.
In questo vedo il mio compito di cristiano, che non posso delegare mai a qualcun altro, perché proprio con il battesimo è stato affidato anche a me. Il mio compito è quello di far sperimentare al mio vicino almeno un po’ di questa salvezza di Dio, di questo amore che è per lui come lo è per me, come lo è per ogni uomo.
E come posso fare questo? Con i gesti feriali e umanamente normali della vita, ma riempiti di un amore che comunica Dio. Un saluto, un gesto di generosità, una parola di perdono e incoraggiamento… tutto questo spiana montagne di odio, riempie valli di solitudini e raddrizza le vie della pace tra gli uomini. E così attraverso questi piccoli passi si realizza la profezia che “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” senza aspettare che siano i grandi della storia a farlo per me.

Giovanni don