Famiglie di Dio

È difficile parlare di famiglia, oggi.

Ciò che per tutti, fino a poco tempo fa, era scontato, la famiglia come un uomo e una donna che si si amano, che generano ed educano figli conducendo una vita comune, oggi è messo radicalmente in discussione.

Siamo passati da una visione della famiglia idilliaca, patriarcale, che ruota intorno al focolare domestico alla negazione stessa della famiglia che viene proposta come un fenomeno culturale e, perciò, ampiamente superata da altre forme.

Abbiamo raggiunto il paradosso dei paradossi: chi ha una famiglia non la vuole, chi non può averla la pretende.

Spesso, troppo spesso, si banalizza e si presente la famiglia secondo il modello cattolico come una specie di macchietta ottocentesca in cui il padre lavora duramente e la moglie si occupa della casa e dei figli. Modello certamente legato ad un periodo storico inevitabilmente superato da molti cambiamenti sociali, dal ruolo della donna, alle pari responsabilità educative. Ma non è questa la proposta cristiana sull’amore di coppia!

Eppure, nel bene e nel male, la famiglia da cui proveniamo, la famiglia che vorremmo formare, la famiglia che avremmo voluto avere e che non siamo riuscito a realizzare influenzano enormemente la nostra cultura, le nostre aspirazioni, i nostri desideri.

La Chiesa, durante questi giorni, sente l’esigenza di riflettere brevemente proprio sul tema della famiglia. Forse non è il momento più indicato, presi come siamo a smaltire il Natale e a prepararci al Capodanno, ma tant’è…

E la riflessione che esce dalla Parola di oggi ci indica un percorso nuovo per considerare la famiglia.

La famiglia di Dio

Fa sorridere che Dio abbia voluto sperimentare l’esperienza famigliare.

Fa riflettere che, per farlo, abbia scelto una famiglia così anomala e complicata.

Stupisce che la Chiesa si ostini a proporre questa famiglia come modello, dove la coppia vive nell’astinenza, il figlio è la presenza del Verbo di Dio, e i coniugi si ritrovano a scappare a causa della improvvida notorietà del neonato…

Ma non è nella diversità che vogliamo seguire Maria e Giuseppe, ma nella loro concretezza di coppia che vede la propria vita ribaltata dall’azione di Dio e dal delirio degli uomini, nella loro capacità di mettersi da parte, sul serio, senza ricatti, senza patemi, per inserirsi in un progetto più grande, quello che Dio ha sul mondo di oggi. Che tenerezza trovare due genitori in difficoltà col figlio in piena crisi adolescenziale!

Dura realtà

Matteo, con un racconto dai forti tratti teologici in cui Gesù viene equiparato a Mosè, ci racconta dei primi anni di vita di Gesù costretto a scappare in Egitto, il territorio nemico, per un ebreo. Possiamo solo immaginare la durezza di una vita condotta da clandestini, in un paese straniero. La fatica a farsi accettare, di trovare un qualche lavoro in mezzo a gente dalla cultura diversa. Così come vediamo fare dai tanti, sempre troppi, fratelli che fuggono dalle guerre nel disperato tentativo di trovare condizioni di vita migliori.

Oggi molte famiglie sono in difficoltà.

Economiche, organizzative, motivazionali: la prima vittima della crisi è la speranza. Le energie che dedichiamo alla sopravvivenza tolgono tempo allo stare insieme, al progettare, al sognare.

Quest’anno, in maniera particolare, troviamo una santa famiglia alle prese con le nostre stesse dinamiche, con le nostre stesse difficoltà. Ma con Dio in mezzo.

E così sarà per trent’anni.

Quotidianità

Siamo abituati a considerare il tempo diviso in feriale e festivo. Altro è lo scorrere ripetitivo e noioso dei giorni, altro è l’evento cui ci prepariamo con gioia intensa; altra la fatica del lavoro altra l’ebbrezza delle ferie estive. Così nella fede: la domenica, se riusciamo, ritagliamo cinquanta minuti di Messa e poi, in settimana, siamo travolti dagli impegni.

Nazareth ci insegna che Dio viene ad abitare in casa, che nella quotidianità e nella ripetitività dei gesti possiamo realizzare il Regno, fare un’esperienza mistica, crescere nella conoscenza di Dio.

Possiamo (sul serio!) elaborare una teologia del pannolino, un trattato mistico dei compiti dei figli, una spiritualità del mutuo da pagare.

La straordinaria novità del cristianesimo è – appunto! – la sua assoluta ordinarietà.

Dio ha deciso di abitare la banalità, di colmare lo scorrere dei giorni.

Il Mistero per casa

Maria e Giuseppe vedono il Mistero di Dio che gattona e bordeggia, che passa le notti piangiucchiando per la nascita di un dentino…

Mi sono chiesto cento volte quanta fede hanno dovuto avere questi genitori per dirsi che quel bambino, identico a tutti i bambini, era davvero il Figlio di Dio. Giuseppe spesso guardava, alla fine della giornata, la sua verginale sposa, imbarazzato per l’immensità della sua fede, sentendosi un poco inadatto a tanta meravigliosa tenacia.

Maria, quando portava il caffè a metà mattinata a Giuseppe con i capelli ricci pieni di trucioli, benediceva in cuor suo il Signore per avergli dato un compagno così semplice e vero.

La Santa Famiglia ci invita a guardare gli altri membri della famiglia con uno sguardo di fede e di luce, scovando il Mistero nascosto nelle persone che pensiamo statiche e immutabili.

Affidiamo a Dio le nostre famiglie concrete, quelle che abbiamo o che avremmo voluto avere, con tutta la fatica e la gioia, le contraddizioni e le povertà, le emozioni e il bene che ci sappiamo dare.

Dio ci abita.

(P. Curtaz)

 

Due modi di pregare

Ci sono due modi di pregare: lasciar gridare il proprio cuore, lasciarlo chiedere a Dio con semplicità di bambino ciò che esso desidera; una qualche grazia per sé o per un altro, il ristoro da un qualche dolore per sé o per il prossimo: si lancia in tutta semplicità questo grido verso il Padre celeste e lo si fa seguire sempre da questa frase: “Non la mia volontà, ma la tua”. Laltro modo di pregare è quello di dire semplicemente la frase finale, e cioè: “Padre, sia fatta in questa circostanza la tua volontà, qualunque essa sia!”. Tali due preghiere sono perfette, divine. Gesù ci dà lesempio della prima sulle sponde del Cedron e nel Getsemani. Ci dà lesempio della seconda nel “Padre nostro”, che raccoglie tutto quanto in queste poche parole… Questi due generi di preghiera sono ugualmente perfetti, poiché Dio ci dà lesempio di ambedue: lo Spirito Santo, secondo le circostanze, ha ispirato a Gesù sia luna sia laltra.

(C. De Foucauld)

Signore, quando…

Signore nostro Dio! 
Quando la paura ci prende, 
non lasciarci disperare! 
Quando siamo delusi, 
non lasciarci diventare amari! 
Quando siamo caduti, 
non lasciarci a terra! 
Quando non comprendiamo più niente 
e siamo allo stremo delle forze, 
non lasciarci perire! 
No, facci sentire 
la tua presenza e il tuo amore 
che hai promesso 
ai cuori umili e spezzati 
che hanno timore della tua parola. 
E’ verso tutti gli uomini 
che è venuto il tuo Figlio diletto, 
verso gli abbandonati: 
poiché lo siamo tutti, 
egli è nato in una stalla e morto sulla croce. 
Signore, 
destaci tutti e tienici svegli 
per riconoscerlo e confessarlo.

(K. Barth)

La culla vuota

Natale 2013 di crisi (colored)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
(dal Vangelo di Luca 2,1-14)

Questa mattina mentre rientravo in sagrestia dopo il tempo dedicato alle confessioni natalizie, mi sono soffermato un attimo davanti alla scena di Natale che i nostri presepisti hanno preparato, come tradizione da alcuni anni, davanti all’altare. E’ la classica scena formata dalle grandi statue di Maria e Giuseppe, alcune pecorelle e un fondale di finte pietre con paglia e muschio. Al centro è pronta la mangiatoia che questa notte accoglierà, all’inizio della Messa, l’immagine di Gesù bambino. Tutto secondo tradizione…
Guardavo la culla vuota e pensavo che in fondo nessun presepe, per quanto fatto con arte, può raccontare fino in fondo ciò che è successo in quella notte di Bethleem. E nessuna statua del bambino messa in quella culla mi saprà restituire il vero volto del Salvatore, chi è per me e per il mondo…
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Il racconto dell’evangelista Luca è talmente noto alla nostra tradizione religiosa che rischia di non avere più quella carica di novità che voleva invece trasmettere.
Dio ha rotto tutti gli schemi comunicativi del passato e della mentalità religiosa di allora (e sicuramente anche quella di oggi). Dio si mette a comunicare con dei pastori, cioè ad una categoria di persone certamente la meno adatta a capire le parole stesse che vengono pronunciate “…è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore…”. Non sono dei teologi e nemmeno degli esperti del sacro, non sono suore o preti, come diremmo noi oggi. Eppure proprio a loro per primi viene proclamata la Buona Notizia, il Vangelo, e sono chiamati a diffondere quello che hanno visto.
E in quale modalità concreta si comunica Dio per salvare l’umanità? Sceglie un bambino appena partorito, la situazione di maggiore fragilità nella quale si può trovare un essere umano.
Questo è Dio! Ammetto che se mi siedo e ci penso davvero un po’ non posso non provare un certo senso di paura… Sarebbe questo il salvatore del mondo? Sarebbero questi ignoranti pastori i suoi primi testimoni scelti? Assomigliano più a quello che non vorrei essere, alle mie ignoranze e peccati, più che all’ideale del buon cristiano…
L’angelo del Signore pronuncia le parole anche per i miei orecchi spirituali e il mio cuore: “non temete…”, non temere, non avere paura. Questo è davvero Dio, e questo è davvero il modo con il quale Dio comunica con l’uomo e a me!
C’è un bel film di qualche anno fa, dal titolo “un ponte per Terabithia”, tratto dal romanzo di Katherine Paterson, che narra dell’amicizia tra due ragazzi, Jess e Leslie, che con l’aiuto della fantasia costruiscono un mondo di giochi fantastico dove imparano però a vedere in modo diverso la dura realtà famigliare e sociale nelle quali sono inseriti.
“Chiudi gli occhi e apri bene la mente”, è l’insegnamento che dà la giovane Leslie all’amico Jess quando iniziano a giocare. E facendo così riescono pian piano a vedere dentro le persone e le loro storie, non fermandosi alle apparenze e alla superfice spesso ingannatoria.
E’ quello che ci insegna Dio a Natale, quando invita i pastori e anche noi a guardare il cielo e la terra con una mente rinnovata e un cuore aperto.
Si, in quel bambino fragile e poveramente adagiato in una mangiatoia c’è il Salvatore del mondo! E i pastori, con tutti i loro limiti e povertà, possono benissimo diventarne i primi testimoni, come lo sono stati la giovanissima madre Maria con Giuseppe il suo sposo sognatore.
E lo posso essere anche io, anche tutti noi. Possiamo essere testimoni che il mondo non è lasciato solo nelle sue crisi di tutti i tipi, economiche, sociali, di guerra e fame. Il mondo è quella culla che Dio ha scelto di abitare per portare un messaggio di salvezza.
Mi piacerebbe quindi lasciare vuota quella culla sotto l’altare, con le sole statue di Maria e Giuseppe e le pecorelle a ricordarci che stiamo parlando di Natale. Una culla vuota allo sguardo fisico ma non-vuota nello sguardo dello spirito. Chi ci vedo dentro?

Giovanni don

La rivoluzione di Dio

Natale a Lampedusa (colored)

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
(dal vangelo di Matteo 1,18-24)

Nei 9 giorni che precedono il Natale, i Vangeli letti nella Messa sono presi dai primi capitoli dei vangeli di Matteo e Luca, che danno molto spazio agli avvenimenti prima della nascita di Gesù.
Viene raccontato l’annuncio dell’angelo a Maria e anche quello a Zaccaria padre di Giovanni il Battista, così come viene raccontata la visita di Maria ad Elisabetta e il cantico del Magnificat. Viene anche raccontato l’episodio di questo Vangelo, che ci parla del coinvolgimento non facile di Giuseppe nel piano di Dio. Uno dei brani più interessanti è quello che viene letto proprio il primo giorno della novena di Natale, il 17 dicembre, e che precede nello scritto dell’evangelista Matteo il passo ascoltato in questa domenica. E’ un brano molto “strano” perché si tratta di una lunga serie di nomi. Matteo fa la genealogia di Gesù partendo da Abramo fino a Giuseppe, sposo di Maria, indicando il legame che si trasmette di padre in figlio dall’inizio fino a Gesù: “Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar…” e così via, fino ad arrivare a “…Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù…”
In questo elenco di nomi c’è tutta la storia di Israele, e Gesù fa parte di questa lunga storia tessuta da Dio e dagli uomini insieme a Lui. Ma anche la supera, rompendo questa lunga scia di generazione in generazione legata dal sangue del padre nel figlio. L’evangelista infatti racconta di un legame che va oltre il sangue. Gesù non viene da Giuseppe, perché lui trova la sua sposa in attesa di un bambino che viene da un altro… un “Altro” che non conosce ancora, e cioè Dio stesso.
Giuseppe, così come sottolinea Matteo, è un uomo irreprensibile secondo la legge, e dovrebbe accusare pubblicamente questa donna che è degna di lapidazione. Ma non lo fa, e medita di sciogliere segretamente il legame. E’ una piccola crepa che si apre nel cuore di Giuseppe e che fa spazio al piano di Dio.
A Dio basta questo per parlare a Giuseppe e coinvolgerlo in prima persona nel suo piano di salvezza, che passa proprio da questa gravidanza inaspettata.
Giuseppe comprende che Gesù è “il Dio con noi”, che rovescia in modo definitivo il rapporto tra il cielo e la terra, tra Dio e l’umanità. Se tutta la storia di Israele, raccontata in modo molto sintetico dalla genealogia del primo capitolo di Matteo, ci parlava di Dio che guida l’uomo rimanendo superiore a tutto e nell’alto dei cieli, con Gesù Dio si mette accanto all’uomo, partendo proprio dallo scalino più basso, quello di un bimbo fragile e inerme che esce dal grembo di una giovane donna.

Non più “Dio sopra di noi” ma “Dio con noi”. Giuseppe comprende che in quel bambino inatteso si realizza la profezia di Isaia “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele”, che letteralmente significa proprio Dio-con-noi. E’ in atto una vera e propria rivoluzione.
Questa rivoluzione di Dio, iniziata con Giuseppe e Maria, avviene anche oggi per noi che spesso continuiamo a mettere Dio nei cieli e lontano e non siamo disposti a sentirlo accanto a noi. Eppure è proprio questa la differenza fondamentale della nostra fede che vuole cambiare in noi le consuetudini e insegnarci un nuovo modo di stare con Dio e anche tra di noi.
Tutta la storia di Gesù, raccontata nei Vangeli, ci dice questo definitivo abbassamento di Dio a livello umano.
E’ nella realtà umana che possiamo cercare e trovare i segni di questa presenza di Gesù che salva (il nome Gesù indica proprio “Dio salva”).
Come Giuseppe possiamo anche noi metterci a disposizione di Dio che non va pensato nell’alto irraggiungibile dei cieli, cioè distaccato dall’uomo a cui sembra mandare solo leggi da rispettare e minacce di giudizi e punizioni, ma Dio va pensato come compagno di viaggio, come maestro di tutti i giorni, come fratello da amare.
Nella tranquilla stalla di Betlemme inizia la rivoluzione di Dio, ancora in atto… con noi.

 

Giovanni don

Vieni e rinasci in noi

Vieni e rinasci in noi, 
sorgente della vita; 
vieni e rendici liberi, 
principe di pace. 

Vieni e saremo giusti, 
seme della giustizia; 
vieni a risollevarci, 
figlio dell’Altissimo. 

Vieni ad illuminarci, 
luce di questo mondo: 
vieni a rifare il mondo, 
Gesù, figlio di Dio!

(D. Rimaud)

E’ avvento

È Avvento. Ricordiamo che Gesù è venuto sulla terra. Dio ha detto: «Basta! Non voglio stare così solo, voglio scendere a contatto con l’uomo». Si è fatto uomo. Ha sposato una ragazza bellissima che è l’umanità.

Dio si è innamorato di questa ragazza e le ha detto: «Ti voglio sposare». E dinanzi alle resistenze della sua creatura: «Ma non ti preoccupare, ti purifico io. Anche se hai delle macchie sul volto, te le tolgo io. Anche quando sarai molto grande, e vecchia, appesantita dagli anni e dal peccato, ogni giorno verrò a toglierti una macchia e una ruga dal volto; ogni giorno diventerai più giovane, ti farò splendente, gli occhi tuoi saranno più profondi delle notti d’inverno».

Ci vuole bene il Signore, da morire! Nell’Avvento si ricorda tutto questo.

Gesù è venuto e non si è stancato di venire. Gesù viene anche adesso. Ogni giorno.

Viene nella comunità. È presente in mezzo a noi tutte le volte che ci uniamo in nome suo. Perciò la domenica facciamo in modo di non mancare alla sua chiamata, perché vuol dirci che ci vuole bene e basta. Non vuole niente da noi. Vuole soltanto dare tutto l’amore che porta nel cuore. Per questo non vi preoccupate del fatto che se non venite a messa fate peccato, ma preoccupatevi perché vi sottraete a un flusso di grande amore.

Il Signore viene anche nella Parola. Facciamo il proposito, in questo Avvento, di leggere ogni giorno un brano del Vangelo perché non conosciamo abbastanza la parola di Gesù Cristo. Ci ha mandato una lettera d’amore, bellissima, e noi l’abbiamo messa nel cassetto senza aprirla. Se invece viviamo quello che ci ha detto, la vita cambierà, acquisterà un senso diverso.

Il Signore è venuto, viene e verrà.

(D. Tonino Bello)

Il mio Dio è diverso…

papa Francesco e Giovanni Battista (colored)

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
(dal Vangelo di Matteo 11,2-11)

Quale tempo fa mi è capitato di intraprendere sulla pagina di Facebook una discussione piuttosto accesa con alcuni altri iscritti. Era una discussione che riguardava il perdono di Dio e la necessità di convertirsi. Il nodo della discussione più o meno era questo: viene prima il perdono di Dio o viene prima il pentimento e la conseguente conversione dell’uomo? In sintesi: Dio perdona prima del nostro pentimento o dopo? Non è certo una questione da poco, perché c’è in gioco la stessa identità e missione di Gesù e il senso della nostra fede.
Io sostenevo che il perdono precede sempre il pentimento e la conversione, mentre altri sostenevano che per ottenere il perdono bisogna prima pentirsi e convertirsi agli insegnamenti di Dio.
Mi ricordo che ad un certo punto, ad uno che sosteneva con determinazione che Dio non può perdonare se non c’è un vero pentimento da parte dell’uomo, risposi con un pizzico di ironia: “Beh, il mio Dio è diverso…”, parafrasando lo slogan di una pubblicità di qualche tempo fa di una banca.
Più discutevo e cercavo di argomentare la mia posizione e di capire quella degli altri, mi rendevo conto che sotto sotto avevamo un’idea di Dio profondamente diversa.
E’ forse quello che più o meno accade nel brano del Vangelo di questa terza domenica di avvento, che liturgicamente viene della “la domenica della gioia”.
Giovanni Battista è in carcere per la sua coerenza e fermezza nella predicazione e nell’annuncio della volontà di Dio, e manda a porre a Gesù, che lui aveva indicato come il Messia tanto atteso, la domanda “sei tu quello che deve venire o è un altro?”.
E’ una domanda che rivela un profondo disagio in Giovanni, una sofferenza spiritale più forte delle catene che lo imprigionano. Possiamo dire che Giovanni è scandalizzato da Gesù e dal suo modo di fare.
Lui aveva predicato che la “scure è posta alla radice della pianta” e che la punizione di Dio per i peccatori è vicina. Aveva predicato nel deserto la necessità di convertirsi per sfuggire all’ira di Dio, e nelle sue parole riecheggiava tutta la predicazione profetica del passato che indicava che con la venuta del Messia finalmente si sarebbero separati i cattivi dai buoni, i peccatori dai santi, i condannati e i redenti…
Gesù invece non sta facendo tutto questo, ma mangia con i peccatori, tocca gli impuri, si mette spesso contro le tradizioni religiose del suo tempo e non sembra abbia portato quella rivoluzione finale di Dio da tutti attesa. Gesù in fondo sembra un debole difronte ai problemi del mondo, e più passa il tempo più sembra allontanarsi la definitiva vittoria terrena del Regno di Dio che scaccia gli occupanti romani e ristabilisce la sovranità del popolo eletto.
Questo scandalizza Giovanni e gli fa dubitare di Gesù. Ma non ferma la sua ricerca e lo interroga ancora con quella domanda che a me sembra la domanda profonda di ogni uomo di ogni tempo, ed è anche la mia domanda spirituale profonda: sei tu Gesù la vera soluzione della mia vita? Sei tu Gesù con le tue parole e i tuoi gesti la direzione vera che mi salva fin da adesso? Davvero è il tuo Vangelo quello che salva l’umanità e al quale dedicare gli sforzi della mia vita e del mio ministero?…
Anche io, ammetto, sono scandalizzato a volte da Gesù e dal suo stile.
Io che vorrei trovare una soluzione più rapida ai problemi miei e del mondo, sento la mia fede come troppo fragile e piccola. Sento anch’io la tentazione a volte di cercare una dottrina e un leader più forte e decisivo di Gesù…
Penso che anche come Chiesa siamo stati tentati lungo la storia di affrettare i tempi del Regno di Dio decidendo subito e rapidamente chi era buono e cattivo e separando il bene dal male, pensando che un po’ di forza e imposizione fossero necessari per stabilire il Regno di Dio sulla terra.
Ma non è così. Gesù ha presentato un Dio “diverso” da quello della forza, della condanna e della punizione. Ha presentato Dio come Padre misericordioso che ama prima di essere amato, perdona prima del pentimento, e salva gratuitamente.
E ha mostrato soprattutto che la strada della vittoria dell’amore passa dalla sconfitta umana e proprio dalla scandalosa debolezza di chi dona se stesso anche a costo di morire.
Il mio Dio è diverso… diverso dalle immagini spesso false che proponiamo noi stessi come cristiani, veloci più a condannare che a usare misericordia.
Teniamo dunque viva la domanda in noi: “sei tu Signore? … Sei tu la risposta alla mia vita? … Trovo davvero nel tuo Vangelo il senso di ogni mia giornata?”, e il Signore Gesù ci darà risposta, come l’ha data a Giovanni Battista: “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”. E’ la risposta che Dio è prima di tutto misericordia e amore gratuito, non solo a parole ma con i fatti e la vita.

Giovanni don

Dio ci vuole liberi

Poiché tu li vuoi liberi, dicono che non parli.
Poiché prendi un volto umano, dicono che ti nascondi.
Poiché punti sui deboli, dicono che sei morto.
Poiché sei un Dio paziente, dicono che dormi.
Poiché il tuo Spirito è inafferrabile, dicono che tutto va male. Poiché non accetti di essere complice, dicono che non servi a niente.
Poiché non schiacci nessuno, dicono che non ti hanno offeso. Poiché non sei un Dio qualsiasi, dicono di te qualsiasi cosa.
Poiché ci hai creati a tua immagine, sei anche tutto ciò che dicono. Mio Dio, non avrai pietà di me?

(P. Fertin)

Di sogni e di meraviglia

Tante volte si sogna con gli occhi aperti, con la carta e la penna in mano, scrivendo, organizzando i pensieri, immaginando i passi per arrivare a concretizzare quello che non è solo un sogno, ma è una chiamata a fare del bene, ad andare incontro alla pecora smarrita, alle persone bisognose, alle popolazioni che si trovano nella fame, nella guerra, nella sventura. 
I sogni sono belli, perché si trasformano tante volte in realtà. 
C’è qualche cosa in più. 
Diceva Helder Camara che il sogno che si sogna da solo non è altro che sogno, ma quello che sogniamo insieme è il sogno che si fa realtà. Proprio perché nell’essere condiviso con gli altri crea unione e collaborazione, porta frutto di vita e di fraternità.

(L. Mendes de Almeida)