IO credo, noi Crediamo

Credo in Dio che ama ogni persona,
che per essa ha creato ogni cosa
e gli ha affidato la cura del mondo,
per il bene di tutti.

Credo che questo Dio, unico e buono,
desidera svelare a ciascuno
il senso e la gioia di vivere
confidando in tutti
per costruire un mondo migliore,

Credo in Gesù,
liberatore e salvatore di tutti,
morto per vincere il male
e risorto per dare inizio
a nuovi rapporti di fraternità e di giustizia.

Credo nello Spirito Santo,
donato da Gesù per farci crescere
nella fede e nella libertà,
nell’amore e nel servizio,
nel perdono e nell’impegno.

Credo nella Chiesa,
la famiglia di Dio,
segno del suo progetto
di riunire attorno a Gesù tutti i popoli
superando ogni differenza.

Credo che la vita è bella
e ho fiducia nel domani,
perché so di non essere solo,
ma di avere al mio fianco
il Padre, Cristo, lo Spirito Santo
e la Chiesa.

Amen.

(anonimo)

Ama i tuoi amici

Signore, cos’è l’amicizia?

Amicizia significa stima, aiuto, confronto e conforto.

Significa capire, arrabbiarsi, abbracciare, comprensione.

Amicizia vuol dire gioire insieme, piangere insieme,

pregare, parlare e crescere insieme.

Però a volte amicizia significa anche usare,

assecondare, mentire, piegare e tacere.

Signore cammina sempre al fianco della nostra “Amicizia”,

perché ogni litigio e pianto abbia come risultato

uno scalino in più nella scala della crescita umana.

Proteggi la nostra amicizia e rendila forte

anche davanti ai pericoli del mondo in cui viviamo.

(T. Lasconi)

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Deserto: crash-test per la fede

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In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
(dal Vangelo di Marco 1,12-15)

Stavolta il taglio operato dai redattori del libro delle letture della domenica rischia di non farci comprendere il significato del racconto che l’evangelista Marco ha pensato tutto unito e consequenziale.
Facciamo qualche passo indietro del testo…

“Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».” (Marco 1,11)

E al posto della frase generica messa all’inizio (“in quel tempo”) bisogna lasciare quello che Marco ha scritto “Subito dopo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto….”
L’evangelista Marco, a differenza dei suoi due colleghi Luca e Matteo, dedica pochissime righe nel raccontare quello che Gesù ha passato nel deserto all’inizio della sua vita adulta da Maestro, ma vuole sottolineare lo strettissimo legame tra il Battesimo nel Giordano e questa esperienza.
Possiamo dire che nei versetti 11 e 12 del primo capitolo del Vangelo, abbiamo la sintesi dell’esperienza di Gesù e la sua identità, che verrà poi spiegata e approfondita in tutto il resto del racconto.
Gesù chi è? E’ l’amato da Dio suo Padre… Questa è la rivelazione fatta in modo solenne proprio nel momento in cui Gesù si manifesta insieme ai peccatori nel fiume Giordano con Giovanni il Battista.
Lo Spirito Santo, cioè l’amore totale di Dio, scende su quest’uomo della Galilea, e lo avvolge totalmente con una investitura che non verrà mai meno, anche nei momenti più bui della sua missione.
Lo stesso Spirito di Dio lo spinge ancor più radicalmente dentro l’esperienza umana: il deserto
Il deserto ricorda l’esperienza di liberazione del popolo di Israele, che nel deserto ha imparato a conoscere la libertà e ad essere popolo di Dio, in mezzo alle tante prove e alla continua tentazione di tornane alla schiavitù d’Egitto.
Gesù nel deserto manifesta la sua totale adesione e solidarietà con l’umanità, che vive le aridità e le prove del deserto ogni giorno, in ogni luogo della terra e in ogni tempo.
Marco non ci descrive in modo dettagliato quali sono le tentazioni che deve affrontare Gesù in quei quaranta giorni. Possiamo quindi benissimo metterci le nostre prove di vita, le nostre tentazioni e fatiche, e le fatiche di vivere di ogni essere umano: sono anche quelle di Gesù. E Gesù sceglie liberamente di affrontarle tutte con noi e per noi.
Gesù in tutta la sua esperienza umana fino alla morte in croce affronterà molte prove e la continua tentazione di lasciar perdere, di scegliere la via facile del potere e della ricchezza e di pensare solo a se stesso.
I quaranta giorni nel deserto mettono a dura prova la sua fede nell’essere l’amato da Dio, che ha sentito con le orecchie e soprattutto con il cuore il giorno del Battesimo nel fiume Giordano.
Con un linguaggio poco biblico, possiamo davvero dire che il deserto è per Gesù come il crash-test che viene fatto ai nuovi modelli di automobili, per vedere come affrontano le varie situazioni limite della guida: è il suo “crash-test” della fede, dell’abbandono in Dio.
E come le case automobilistiche fanno per noi i vari crash-test ai modelli di auto prima di vendercele, così Gesù ha sperimentato le prove per noi, per darci questo annuncio, cioè che siamo vincitori sul male, su tutto ciò che potrebbe allontanarci da Dio e dalla vera vita. Gesù ci mostra che “l’anti-Dio” non ha l’ultima parola e che il nostro deserto alla fine non cancella l’amore di Dio che è stampato nel nostro essere più profondo.
Questi quaranta giorni di deserto simbolico che sono la quaresima, sono una buona occasione per sentire Gesù non solo alla fine di un percorso fatto di pratiche religiose, rinunce e digiuni, ma per sperimentare che Gesù è già con noi nel deserto della nostra vita e accanto a noi affronta le nostre prove e tentazioni.

Giovanni don

 

 

In Quaresima, il digiuno che tocca il cuore di Dio

Digiuna dal giudicare gli altri:
scopri Cristo che vive in loro.

Digiuna dal dire parole che feriscono:
riempiti di frasi che risanano.

Digiuna dall’essere scontento:
riempiti di gratitudine.

Digiuna dalle arrabbiature:
riempiti di pazienza.

Digiuna dal pessimismo:
riempiti di speranza cristiana.

Digiuna dalle preoccupazioni inutili:
riempiti di fiducia in Dio.

Digiuna dal lamentarti:riempiti di stima
per quella meraviglia che è la vita.

Digiuna dalle pressioni e insistenze:
riempiti di una preghiera incessante.

Digiuna dall’amarezza:
riempiti di perdono.

Digiuna dal dare importanza a te stesso:
riempiti di compassione per gli altri.

Digiuna dall’ansia per le tue cose:
compromettiti nella diffusione del Regno.

Digiuna dallo scoraggiamento:
riempiti di entusiasmo nella fede.

Digiuna da tutto ciò che ti separa da Gesù:
riempiti di tutto ciò che a Lui ti avvicina.

(Anonimo)

LA PREGHIERA PER LA QUARESIMA 2015

Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio vivente,
che Ti sei ritirato nel deserto, per quaranta giorni,
a pregare e a fare penitenza,
in vista dell’annuncio del tuo Regno
e dell’invito alla conversione della gente,
fa che questo tempo di Quaresima che Tu ci doni,
porti nel nostro cuore il rinnovamento spirituale
di cui abbiamo tutti quanti bisogno.

Allontana da noi ogni male
e donaci la forza di superare ogni tentazione
che l’antico e sempre nuovo accusatore
provoca in noi per allontanarci dal tuo amore.

Dona a noi, in questi santi giorni
di preghiera, conversione e carità sincera,
di essere coerenti con il santo vangelo
della misericordia e dell’amore,
senza offendere la dignità di nessuno,
ma tutti protesi verso il bene assoluto, che sei Tu.

Sostienici nella nostra sincera volontà
di pentirci da tutti i nostri peccati
della vita presente e dei tempi passati,
perché nulla possa ostacolare il nostro cuore
e la nostra mente
nello sperimentare la vera gioia del pentimento,
della riconciliazione con Dio e con i fratelli.

Fa di questo tempo di penitenza il momento favorevole,
per vivere la solidarietà fraterna
come segno distintivo di ogni buon cristiano,
incamminato sulla via della santità.
Nulla e nessuno turbi il nostro cuore
ed i nostri propositi di bene
che intendiamo mantenere
non solo in questo tempo,
ma per tutta la nostra esistenza terrena.

Maria, la Madre della vera e perpetua Quaresima,
con il suo esempio ed il suo insegnamento
di silenzio, ascolto e penitenza
ci indichi la strada per incontrare Gesù
nel cammino verso il doloroso Calvario
e il Cristo Risorto nella gioia della Santa Pasqua. Amen

(P. Antonio Rungi)

La strada che non presi

Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata;
Sebbene il passaggio le avesse rese
quasi simili

ed entrambe quella mattina erano lì uguali
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io –
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.

(R. Frost)

 

 

 

Dio è guarigione contro ogni nostro male

Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte”.

Un lebbroso. Il più malato dei malati, di malattia non soltanto fisica, un rifiuto della società: «porterà vesti strappate, velato fino al labbro superiore… è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento» (Lv 13,46). E Gesù invece si avvicina, si oppone alla cultura dello scarto, accoglie e tocca il lebbroso, l’ultimo della fila. Tocca l’intoccabile. Ama l’inamabile: per la legge mosaica quell’uomo era castigato da Dio per i suoi peccati, un rifiutato dal cielo.

Il lebbroso non ha nome né volto, perché è ogni uomo. A nome di ciascuno geme, dalla sua bocca velata, una espressione bellissima: «Se vuoi, puoi guarirmi». Con tutta la discrezione di cui è capace dice: «Se vuoi».

E intuisco Gesù felice di questa domanda grande e sommessa, che gli stringe il cuore e lo obbliga a rivelarsi: «Se vuoi». A nome di ogni figlio della terra il lebbroso chiede: che cosa vuole veramente Dio da questa carne piagata, che se ne fa di queste lacrime? Vuole sacrifici, una pedagogia di sofferenze per provare la nostra pazienza, o vuole figli guariti?

E Gesù felice di poter rivelare Dio, di poter dire una parola ultima e immensa sul cuore di Dio risponde: «Lo voglio: guarisci!». Ripetiamocelo, con emozione, con pace, con forza: eternamente Dio altro non vuole che figli guariti.

A me dice: «Lo voglio: guarisci!». A Lazzaro grida: «Lo voglio: vieni fuori!». Alla figlia di Giairo: «Talità kum. Lo voglio: alzati!». È la buona novella: un Dio che fa grazia, che risana la vita, a cui importa la mia felicità prima e più della mia fedeltà.

A ogni pagina del Vangelo Gesù mostra che Dio è guarigione! Non conosco i modi e i tempi, ma so che adesso lotta con me contro ogni mio male, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte.

Il lebbroso guarito disobbedendo a Gesù si mise a proclamare e a divulgare il fatto. Ha ricevuto e ora dona, attraverso gesti e parole e carne di primavera, la sua esperienza felice di Dio. L’immondo diviene fonte di stupore, il rifiutato è trasformato dall’accoglienza.

Ciò che è scritto qui non è una fiaba, funziona davvero, funziona così. Persone piene di Gesù oggi riescono a fare le stesse cose di Gesù. Pieni di Gesù fanno miracoli. Sono andati dai lebbrosi del nostro tempo: barboni, tossici, prostitute, li hanno toccati, un gesto di affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori.

Prendere il vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo.

E tutti quelli che l’hanno preso sul serio e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano che fare questo dona una grande felicità.

(p. E. Ronchi)

 

La passione delle pazienze (Delbrel)

La passione, la nostra passione, sì, noi l’attendiamo. Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo viverla con una certa grandezza.

Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che ne scocchi l’ora.

Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover essere consumati. Come un filo di lana tagliato dalle forbici, così noi dobbiamo essere separati. Come un giovane animale che viene sgozzato, così noi dobbiamo essere uccisi.

La passione, noi l’attendiamo. Noi l’attendiamo, ed essa non viene.

Vengono, invece, le pazienze.

Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria, di ucciderci senza la nostra gloria.

Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:

sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,

è l’autobus che passa affollato;

il latte che trabocca,

gli spazzacamini che vengono,

i bambini che imbrogliano tutto.

Sono gli invitati che nostro marito porta in casa

E quell’amico che, proprio lui, non viene;

è il telefono che si scatena;

quelli che noi amiamo e non ci amano più;

è la voglia di tacere e il dover parlare,

è la voglia di parlare e la necessità di tacere;

è voler uscire quando si è chiusi

e rimanere in casa quando bisogna uscire;

è il marito al quale vorremmo appoggiarci

e che diventa il più fragile dei bambini;

è il disgusto della nostra parte quotidiana,

è il desiderio febbrile di tutto quanto non ci appartiene.

 

Così vengono le nostre pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana, e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.

 

E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando – per dare la nostra vita – un’occasione che ne valga la pena.

Perché abbiamo dimenticato che come ci son rami che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.

Perché abbiamo dimenticato che se ci sono fili di lana tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di quelli che l’indossano.

Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso: ce ne sono di sgranati da un capo all’altro della vita.

È la passione delle pazienze.

M. Delbrel

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Nella casa di Pietro

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In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
(dal Vangelo di Marco 1,29-39)

 

Una signora anziana malata e a letto, a cui ho visitato in questi giorni, mi ha detto che la cosa che le pesa di più della sua condizione è proprio quella di sentirsi inutile e impotente. Non può più prendersi cura dei figli e dei nipoti, e questa è davvero la cosa che la fa soffrire di più. Questa sofferenza è quella che probabilmente prova anche la suocera di Pietro, anziana che Gesù visita e guarisce nella casa dell’apostolo. E’ significativo che appena guarita la donna si rimette al servizio, facendo del dono della guarigione ricevuta da Gesù un dono che restituisce ad altri.
Per raccontarci di questa guarigione l’evangelista Marco ci fa entrare in una casa importante, quella di Simon Pietro e di suo fratello Andrea a Cafarnao, sulle rive del lago di Galilea.

resti della casa di Pietro sotto la moderna Chiesa in ricordo di Pietro Cafarnao, Galilea


La casa di Simone c’è ancora, e gli archeologi hanno più di un elemento per dire che quelle quattro pareti, poste sotto la chiesa costruita sul sito archeologico dell’antica Cafarnao, sono proprio dell’apostolo. Infatti sono state trovate tracce piccole ma determinanti che fanno capire che proprio in quella casa di pescatori si ritrovava una primitiva comunità legata al ricordo di Pietro. Questa casa si trova poco distante dalla sinagoga della città, anch’essa conservata, da dove Gesù e gli apostoli si muovono subito dopo il culto del sabato per andare proprio in questa casa dove giace malata la suocera di Pietro.
E’ sabato, e in quel giorno sacro non è permesso altro che pregare e fare il minimo indispensabile, ma soprattutto nessun lavoro, per non offendere Dio e la sua Legge.
Ma è proprio di sabato che Gesù opera questa guarigione, coinvolto dai suoi discepoli che hanno intuito che il Maestro va oltre le regole religiose, con una autorità riguardo le cose di Dio che nessun altro ha.
Gesù trova una donna che è immobilizzata da una febbre che le impedisce di vivere e di trovare un senso alla sua esistenza. Possiamo immaginare quelle quattro pareti domestiche immerse in un clima di immobilità e dolore, come spesso accade nelle nostre case quando la malattia di anche uno solo dei componenti della famiglie costringe lui o lei all’immobilità.
Gesù, che è appena uscito dalle pareti “sacre” della sinagoga, entra nelle pareti altrettanto “sacre” della vita umana, e possiamo davvero affermare che per lui non c’è differenza e separazione tra sacro e profano, tra tempio e vita, tra l’essere rivolti a Dio e l’essere rivolti all’essere umano. Questo si vede benissimo in tutto quel che accade dentro la casa di Pietro: Gesù, proprio nel giorno in cui si dovrebbe essere tutti solamente per Dio, prende per mano questa donna e la risolleva (termine che richiama nel greco la resurrezione). Compie un gesto apparentemente “impuro” toccando una donna malata, ma in realtà per Gesù è proprio nel prendersi cura delle ferite fisiche e interiori della suocera di Pietro che santifica il sabato e rende gloria a Dio.
E la donna finalmente può ritrovare la sua dignità non solo perché guarita e capace di darsi da fare, ma soprattutto perché non è segno di maledizione ma di benedizione, e Dio le fa visita proprio nel momento della sua massima debolezza.
Ancora una volta Gesù sta istruendo i suoi discepoli e attraverso loro istruisce anche noi oggi, e la casa di Pietro diventa modello di come può e deve essere la comunità cristiana.
La Chiesa è la casa dove ci si prende cura gli uni degli altri e dove nell’amore reciproco si rende culto a Dio. I cristiani guardando al povero e prendendosene carico arrivano direttamente a Dio, proprio come Gesù ha fatto.

Giovanni don

 

Salutare è rispettare

Rispettare gli altri è anche rispettare se stessi. È tanto facile un saluto, ancora più facile un ringraziamento: buon giorno, buona sera, grazie, scusa, per favore, sono belle parole trascurate, sostituite dal silenzio, per la presunzione di credere che tutto sia dovuto, tranne il rispetto.

(S.  Tassone)