Il Sole di Notte

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In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
(dal Vangelo di Giovanni 3,14-21)

La notte scorsa ho vissuto anche io come gli altri preti del mio vicariato l’iniziativa lanciata dal papa di “24 ore per il Signore”, che prevede che per 24 ore ininterrotte una chiesa della zona rimanga aperta per la preghiera e il sacramento della riconciliazione.
Io ho scelto il turno tra le 2 e 3 di notte, e mi sono messo a disposizione di chiunque volesse pregare o confessarsi. Devo ammettere che non c’è stato molto giro di persone in un’ora così notturna, ma questo ha permesso a me di vivere in maniera più intensa questa occasione spirituale.
È stato bello meditare il Vangelo di domenica proprio in una vera veglia notturna. Nel Vangelo di Giovanni al capitolo 3 si parla di un dialogo profondo tra Nicodemo, un fariseo, e Gesù. Questo dialogo si svolge proprio di notte, come racconta l’evangelista, esattamente come questa mia notte in chiesa, dove ci sono io e c’è il Signore nel segno del pane eucaristico sull’altare e nel segno della sua parola del Vangelo tra le mie mani.
Le tante domande di Nicodemo a Gesù e la sua fatica a capire quello che Gesù gli dice le sento in sintonia con le mie tante domande e le mie fatiche di capire e vivere il Vangelo. E stando dentro questo confessionale mi pare di percepire anche le tante domande, dubbi e fatiche di altri che spesso qui entrano in cerca di luce, conforto e risposte…
La fede è fare, vivere…
Credere in Gesù è credere che nel vivere secondo i suoi insegnamenti abbiamo la vita eterna…
Non c’è fede senza amore, senza opere di amore. Non sono le opere a salvarci, ma è il non-amore che mi toglie la salvezza già offerta e donata.
Papa Francesco in un suo intervento in una parrocchia romana, alla domanda di un ragazzo sull’esistenza o meno dell’Inferno ha risposto che l’inferno prima di essere un luogo è una dimensione spirituale che si vive già qui adesso. Inferno è tagliare con Dio, non fidarsi delle sue parole e del suo dono. L’inferno è un mondo senza amore e senza speranza, regolato solo da egoismi e violenze.
La notte che avvolge Nicodemo e Gesù nel loro dialogo è come la nostra notte di vita, la notte di ogni uomo. Cerchiamo risposte proprio di notte perché anche la più piccola luce aiuta, come la luce di una pagina di vangelo, la luce di un pezzo di pane sull’altare, la luce di una preghiera semplice…
Leggevo in questi giorni che la Siria a causa dei tanti anni di guerra civile è ormai quasi totalmente immersa nella notte reale senza luce elettrica, che diventa simbolo di una tenebra di violenza che la avvolge e la oscura. Ma le nostre luci occidentali sono davvero più luminose? O la luce artificiale oscura quella vera?
Fede, luce, amore…
Quanto bisogno c’è di luce vera! Anche in chi sembra immerso nelle luci.
C’è bisogno di una Luce che innalza e ridona la speranza che la vita ha significato non per quel che si produce ma per quanto si è capaci di amare.
La fede è credere che la nostra vita dipende dall’amore che mettiamo dentro in tutti i gesti anche più quotidiani.
Fede è credere non tanto che Dio esiste ma che mi ama.
Fede è credere che la mia vita si illumina e diventa luminosa grazie all’amore.
Gesù è venuto a mostrare tutto questo proprio dall’alto della croce, che è segno luminoso per la storia umana! La croce è innalzamento e non abbassamento! La morte come dono diventa vita e resurrezione.
Sono stato in chiesa per l’adorazione un po’ più della mia ora prefissata, e alla fine sono uscito che erano le 5 per tornare in canonica. Posso dire che se anche il sole non era ancora sorto fisicamente, stando con il Signore e la sua Parola, il sole della fede mi ha illuminato con i suoi raggi, e ho imparato che davvero il sole di Gesù sorge anche di notte… in ogni notte.

Giovanni don

 

 

Sei casa del Padre, non fare mercato del tuo cuore

E io, come vorrei il mondo, cosa sogno per la nostra casa grande che è la terra? Che sia Casa del Padre, dove tutti sono fratelli, o casa del mercato (Gv2,16), dove tutti sono rivali?

È questa l’alternativa davanti alla quale oggi mi mette Gesù. E la sua scelta è così chiara e convinta da farlo agire con grande forza e decisione: si prepara una frusta e attraversa l’atrio del tempio come un torrente impetuoso, travolgendo uomini, animali, tavoli e monete.

Mi commuove in Gesù questa combattiva tenerezza: in lui convivono la dolcezza di una donna innamorata e la determinazione, la forza, il coraggio di un eroe sul campo di battaglia (C. Biscontin).

Un gesto infiammato, carico di profezia: Non fate della casa del Padre mio una casa di mercato! Non fare del mercato la tua religione, non fare mercato della fede. Non adottare con Dio la legge scadente della compravendita, la logica grezza del baratto dove tu dai qualcosa a Dio (una Messa, un’offerta, una rinuncia…) perché lui dia qualcosa a te. Dio non si compra e non si vende ed è di tutti.

La casa del Padre, che Gesù difende con forza, non è solo l’edificio del tempio, ma ancor più è l’uomo, la donna, l’intero creato, che non devono, non possono essere sottomessi alle regole del mercato, secondo le quali il denaro vale più della vita. Questo è il rischio più grande: profanare l’uomo è il peggior sacrilegio che si possa commettere, soprattutto se povero, se bambino, se debole, i principi del regno. «Casa di Dio siete voi, se conservate libertà e speranza» (Eb 3,6). Casa, tempio, tenda grembo di Dio sono uomini e donne che custodiscono nel mondo il fuoco della speranza e della libertà, la logica del dono, l’atto materno del dare. Tempio di Dio è l’uomo: non farne mercato! Non umiliarlo sotto le leggi dell’economia. Non fare mercato del cuore! Sacrificando i tuoi affetti sull’altare del denaro. Non fare mercato di te stesso, vendendo la tua dignità e la tua onestà per briciole di potere, per un po’ di profitto o di carriera.

Ma l’esistenza non è questione di affari: è, e non può che essere, una ricerca di felicità. Che le cose promettono e non mantengono. È solo nel dare e nel ricevere amore che si pesa la felicità della vita. I Giudei allora: quale segno ci mostri per fare così? Gesù risponde portandoli su di un altro piano: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò. Non per una sfida a colpi di miracolo e di pietre, ma perché vera casa di Dio è il suo corpo. E ogni corpo d’uomo è divino tempio: fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita. Perché con un bacio Dio le ha trasmesso il suo respiro eterno,

(P. Ermes Ronchi)

Convertire

Il padre di Mardocheo – il futuro celebre rabbi di Lechowitz – si lamentava della pigrizia del figlio nello studio. In città giunse un santo rabbino. Il padre gli condusse Mardocheo perché lo correggesse. Il rabbino, rimasto solo col ragazzo, lo strinse al cuore e se lo tenne a lungo affettuosamente vicino. Quando il padre ritornò, il rabbino gli disse: “Ho fatto a Mardocheo un po’ di morale; d’ora in poi la costanza non gli mancherà”. Quando ormai adulto e famoso, Mardocheo, raccontava questo episodio, diceva: “Ho imparato allora come si convertono gli uomini”.

(M. Buber)

 

Avvolti dalla preghiera di Gesù

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In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
(dal Vangelo di Marco 9,2-10)

Chi è Gesù?
L’amato da Dio…
Chi siamo noi?
Gli amati da Dio…
Qual è la nostra missione?
Amare come Gesù…
Questo amore che avvolge l’esistenza umana è come quella luce che avvolge Gesù e i suoi discepoli, che in una frazione di tempo, comprendono la vera identità di Gesù, e sentono una sensazione profonda di bellezza (che va oltre gli occhi e arriva all’anima) che vorrebbero fissare e trattenere come un fuoco sacro attorno al quale costruire un tempio perché lo custodisca in eterno. “E’ bello per noi stare qui…” è detto da Pietro, e interpreta sicuramente la sensazione di pace totale che coinvolge anche gli altri suoi due amici presenti con lui sul monte della Trasfigurazione di Gesù.
Ieri sera con gli adolescenti e giovani abbiamo vissuto un incontro di preghiera, che prevedeva un iniziale momento di riflessione sul Vangelo e poi un tempo di adorazione eucaristica in chiesa, curata dal nostro coro giovanile parrocchiale. Tutto è stato preparato con cura sia nei testi che nell’ambientazione in chiesa e nei canti. Ci siamo trovati in un luogo esterno alla chiesa, un’aula parrocchiale per il primo momento di lettura e condivisione del brano di Vangelo.
Poco prima di iniziare, aspettando gli ultimi ritardatari, mi sono guardato attorno e anche dentro di me. Avevo il desiderio che fosse un momento “bello” per i ragazzi, e che sentissero questa esperienza particolare di preghiera come qualcosa che alla fine li rappacificasse profondamente con se stessi e con Dio. Volevo davvero che la loro sensazione finale fosse come quella di Pietro nel Vangelo “che bello per noi stare qui…”.
Abbiamo veramente bisogno di momenti come questi, di pace, di armonia con Dio e con la nostra vita, perché sembrano essere di più le occasioni in cui diciamo “è brutto per me stare qui…” quando affrontiamo le difficoltà delle relazioni, quando sentiamo la fragilità del corpo, quando siamo delusi nelle aspettative, quando affrontiamo lutti e distacchi dolorosi…. Sono davvero tante le occasioni in cui sentiamo che “non è bello stare qui” anche nell’ambiente religioso, quando lo sentiamo lontano dalla vita, quando ci scontriamo con testimonianze contraddittorie e quando Dio ci viene testimoniato come “nemico” delle nostre libertà e delle nostre aspettative.
Gesù porta sul monte i 3 discepoli anche per noi; e loro, che avranno bisogno ancora di un lungo cammino per capire quel che succede, lo fanno arrivare a noi nel racconto del Vangelo e nella testimonianza della loro vita.
Guardando i ragazzi attorno al tavolo prima di iniziare la preghiera, ho avuto la sensazione di una distanza enorme tra le mie aspettative e le loro, tra quello che avevo in mente io per quella preghiera e quello che loro pensano del pregare e delle varie occasioni di preghiera che facciamo di solito in parrocchia, messa compresa. Era quasi tentato di lasciar perdere, anche perché erano tante le assenze e non tutte per impedimenti davvero insormontabili.
Alla fine l’incontro di preghiera lo abbiamo fatto, ed è durato quasi un paio d’ore. L’abbiamo fatto perché è stata una provocazione anche per me, che forse vivo la preghiera e in particolare la messa, con il rischio dell’automatismo sterile o solo per un obbligo che non arriva al cuore. Ho voluto scommettere con gli adolescenti e giovani che quel che avremmo vissuto avrebbe fatto sicuramente breccia almeno un po’ nella loro corazza che in fondo è anche la mia, per farci sperimentare quella bellezza spirituale profonda che ci fa conoscere Gesù come l’amato che ci ama, che ci fa sentire amati a nostra volta, e chiamati ad amare chiunque abbiamo accanto.
Nel cammino della Quaresima, con l’invito ad una preghiera più attenta e vera, ancora una volta siamo provocati a non guardare a quello che dobbiamo togliere e rinunciare, ma a quello che possiamo sperimentare di bello e guadagnare: l’amore avvolgente e luminoso di Dio per me e il prossimo.

Giovanni don