BUONA PASQUA!

LA TOMBA VUOTA

 

La terra in ogni parte del pianeta è in fermento:L’Europa freme 

mentre l’Africa dal Mali,
Nigeria alla terra d’ Egitto si agita.

Corea del nord è povera,
ma ricca di armi di distruzione,

America latina sussulta tra narcotraffici,guerriglie e speranze.

Ma la tomba di Gesù è rimasta vuota!

 

L’Umanità vive lo scossone di grandi cambiamenti culturali,

crisi economiche:c’è chi soccombe, chi arranca,e chi risorge.

Da una parte la ricchezza fa l’occhiolino malizioso al povero,

dall’altra la povertà si fa sfida
per chi soffoca di cose e di niente.

Ma la tomba di Cristo è rimasta vuota!

 

Due sono le grandi malattie
che devastano l’uomo oggi:

l’amnesia di eternità,
per cui  profonde affonda le radici qui in terra;

l’egoismo che lo rende cieco
per gli altri e vedente solo se stesso.

Così i valori son spariti
e l’uomo si riscopre nella sua nudità.

Ma la tomba del Pastore è rimasta vuota!

 

Anche la Barca di Pietro è in balia
dei marosi e sembra perduta;

Gesù dorme e pare
che la nave affondi, travolta dal destino.

Fatta di uomini, fragile  e peccatrice,
ma santa e solida roccia,

vive il dramma di un mondo sconvolto
da una crisi tragica e perduta.

Anche il Papa ha lasciato,
ma per dirci che è Cristo il vero Pastore! 

Ma ci ha dato Papa Francesco,
umile icona della tenerezza di Dio.

E la tomba del Risorto è vuota:
Sì,è Pasqua e Cristo vive Vittorioso.
                                                                                                                 

                       P  Gianni Fanzolato       

                                           resurrezione 16      

Maria, donna del Sabato Santo

Santa Maria, donna del Sabato santo, estuario dolcissimo nel quale almeno per un giorno si è raccolta la fede di tutta la Chiesa, tu sei l’ultimo punto di contatto col cielo che ha preservato la terra dal tragico blackout della grazia. Guidaci per mano alle soglie della luce, di cui la Pasqua è la sorgente suprema.

Stabilizza nel nostro spirito la dolcezza fugace delle memorie, perché nei frammenti del passato possiamo ritrovare la parte migliore di noi stessi. E ridestaci nel cuore, attraverso i segnali del futuro, una intensa nostalgia di rinnovamento, che si traduca in fiducioso impegno a camminare nella storia.

Santa Maria, donna del Sabato santo, aiutaci a capire che, in fondo, tutta la vita, sospesa com’ è tra le brume del venerdì e le attese della domenica di Risurrezione, si rassomiglia tanto a quel giorno. È il giorno della speranza, in cui si fa il bucato dei lini intrisi di lacrime e di sangue, e li si asciuga al sole di primavera perché diventino tovaglie di altare.

Ripetici, insomma, che non c’è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c’è amarezza umana che non si stemperi in sorriso. Non c’è peccato che non trovi redenzione. Non c’è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi festosi dell’alleluia pasquale.

Santa Maria, donna del Sabato santo, raccontaci come, sul crepuscolo di quel giorno, ti sei preparata all’incontro col tuo figlio Risorto. Quale tunica hai indossato sulle spalle? Quali sandali hai messo ai piedi per correre più veloce sull’erba? Come ti sei annodata sul capo i lunghi capelli di nazarena? Quali parole d’amore ti andavi ripassando segretamente, per dirgliele tutto d’un fiato non appena ti fosse apparso dinanzi?

Madre dolcissima, prepara anche noi all’appuntamento con lui.

Destaci l’impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti.

Perché qui le ore non passano mai.

(D. Tonino Bello)

Passaggio

“Da mezzogiorno alle tre si fece buio su tutta la terra (Mt 27,45)

Nella notte più nera entra la luce.
Tenebra e luce,
notte e giorno,
Buio ed aurora:
tutta la nostra esistenza
si gioca intorno a questi binomi,
tutto gira intorno
a questo passaggio.

Passai attraverso una galleria oscura,
per un bel po’ di chilometri;
solo lì dentro,
nella sua mancanza,
potei gustare la luce.

Passai anche io il guado,
nella notte oscura;
affrontai la lotta,
solo così fui benedetto.

Passai i vicoli ciechi
e sentii gli odori acri delle morti;
trascinai con me
il solitario di turno,
solo così gustammo insieme la vita.

Passai giorni interi,
annaspando nella nebbia;
solo al tramonto compresi
che dietro ad ogni raggio che scalda
c’è un sole che brilla.

Anche nella notte più nera
entra la luce,
perché le tenebre a Dio
non sono sconosciute;
anche Lui passo di lì,
ma non si fermò:
la vita lo aspettava.

(A. M. Clemenza)

Giovedì santo

Questa sera capisco Pietro e la sua riluttanza 
senza mezzi termini: “Tu non mi laverai mai i piedi!”. 
Nella sua frase intravedo 
il rispetto e l’amore per te, Gesù: 
non voglio che ti inginocchi qui davanti a me, 
non posso tollerare che tu, il Maestro, 
ti comporti in questo modo. 
Nelle parole di Pietro io riconosco la mia vergogna 
nell’apparire come sono, 
nella mia nudità, con le mie ferite, 
nella mia sporcizia, con i miei sbagli, 
nella mia piccineria, con le mie ambiguità. 
Non mi piace, Gesù, che tu mi veda così come sono veramente… 

Ma tu mi ripeti le stesse parole che hai detto a Pietro, 
tu mi inviti ad abbandonarmi, a lasciarmi andare, 
a lasciarmi accogliere da te così come sono: 
non c’è nessun bisogno di fingere… 

Non è facile lavare i piedi a qualcuno, 
ma è ancor più difficile lasciarseli lavare. 
Non è sempre facile amare, 
ma è ancor più difficile lasciarsi amare. 
Questa sera intendo quello che tu vuoi da me: 
non cerchi il discepolo perfetto, 
ma solo un essere che si lasci amare da te, 
che si lasci purificare dalla tua bontà, 
guarire e salvare dalla tua misericordia.

(Anonimo)

04 Tintoretto - la lavanda dei piedi

 

E la pace tornerà

La pace tornerà se credi che il sorriso è più di un’arma, che quanto unisce è più di quanto divide, che la diversità è un arricchimento.
La pace tornerà se preferisci la speranza al sospetto, se fai tu il primo passo verso l’altro, se ti rallegri per la gioia del vicino.
La pace tornerà se stai dalla parte del povero e dell’oppresso, se l’ingiustizia che colpisce questi ti ferisce quanto quella che subisci tu.
La pace tornerà se sai donare con amore un po’ del tuo tempo, accettare il servizio che l’altro ti offre, condividere con cuore il tuo pane.
La pace tornerà se rifiuti di battere la tua colpa sul petto degli altri, se accetti la critica e ne trai profitto; se valorizzi l’opinione diversa dalla tua.
La pace tornerà se ritieni la collera una debolezza e non una forza; se vedi nell’altro anzitutto un fratello, se credi che la pace è possibile.
…Allora la pace tornerà.

(anonimo)

Desiderio e peccato

Il peccato non è mai nel desiderio preso in sé, che è sempre fondamentalmente buono. Ora, se il male provvisorio consiste quaggiù nel travestimento o nella distorsione del desiderio, sarà importante sbarazzare quest’ultimo dal suo travestimento, raddrizzare questa distorsione che lo snatura. Se una tale operazione potesse riuscire – non lo è mai interamente -, ciò che resta allora del desiderio si confonderebbe con il bene. Or dunque, il bene che si nasconde dietro il desiderio apparentemente “cattivo”, questo bene merita sempre di essere preso in considerazione e onorato nel suo giusto valore. Di più: ciò che vi è di bene in questo desiderio merita di essere esaudito, in tutta la misura in cui è ancora possibile.

Lo Spirito è la fonte e l’ordine dei nostri desideri, perché è Amore. Non ci sono desideri essenzialmente cattivi o che sarebbero unicamente il risultato di un’azione diabolica. Se i desideri si presentano a volte sotto forme un po’ strane o spingono a comportamenti che con tutta evidenza hanno qualche legame con il cosiddetto peccato, è semplicemente perché non sono bene “a posto”, è perché sono “male ordinati” (direbbe Bernardo). Ora, l’insieme dei desideri non può essere ordinato e messo a posto – potremmo dire anche: “strutturato” – se non dall’amore. Solo un amore vero ordina i desideri. E se la maggior parte delle persone, per non dire all’incirca tutte, soffrono di desideri che ritengono “disordinati”, è perché noi siamo degli esseri più o meno feriti, degli handicappati dell’amore.

Ogni desiderio può diventare pericoloso unicamente nella misura in cui non è stato ordinato da un grande amore o non è stato sufficientemente esaudito nel più profondo dell’essere umano.

viaL’angolo dei Ritagli – QUMRAN NET – Materiale pastorale online.

il dolore non ha un perchè, ma è una via

via crucis politica (colored)

…Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»….
(dal racconto della passione di Gesù Cristo secondo Luca 22,14-23,56)

Il dolore è davvero un mistero!
Perché soffrire? Perché Dio, infinitamente buono e giusto (almeno così ci hanno insegnato) permette che la gente soffra? E mentre penso questo, non guardo la sofferenza in astratto, come dato filosofico, ma penso a persone concrete che stanno soffrendo nel corpo e anche nell’animo.
Quando si pensa alla sofferenza non si rimane mai sul teorico, ma vengono alla mente e al cuore situazioni che abbiamo vissuto o che stiamo ancora vivendo… e soffrendo.
La sofferenza è davvero la prima vera “nemica” di Dio, perché è prima di tutto lei a mettere in crisi la nostra idea di Dio, di Bene, di Amore, molto più dei ragionamenti filosofici o scientifici…
Di tutto il lungo racconto della passione secondo l’evangelista Luca, ho voluto evidenziare questo breve passaggio.
Siamo nel momento più drammatico di tutta la vicenda di Gesù. Già il nascere nel corpo umano è stato per il Figlio di Dio una grande sofferenza e abbassamento. San Paolo nella lettera ai Filippesi al capitolo secondo lo descrive bene: “svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”. Ora sulla croce Gesù è uomo fino in fondo, fino all’esperienza umana più dura e “lontana da Dio”, o almeno da una certa idea di Dio.
I due malfattori messi accanto a Gesù crocifisso non sono solamente un contorno scenografico alla crocifissione del Signore, ma sono li perché ci sentiamo anche noi al centro della scena, e non distratti spettatori pronti a fuggire (come faranno in tanti sotto la croce)
I due malfattori, che non hanno nome, sono inchiodati anche loro e non possono fuggire da quella situazione.
Solo Luca riporta un diverso atteggiamento dei due, mentre negli altri vangeli i due hanno lo stesso atteggiamento di insulto nei confronti di Gesù.
Il dialogo che si svolge tra le tre croci è davvero carico di dolore, quel dolore infinito nel quale possiamo riconoscere i tanti dolori e sofferenze che conosciamo nel mondo.
Penso che solo chi è vicino alle croci può sentire il dialogo tra i tre, perché solo chi è toccato realmente dall’esperienza della sofferenza può capire quello che si dicono.
Il malfattore che insulta Gesù ha ragione! Non possiamo dargli frettolosamente torto. Se Dio è Dio, perché dobbiamo soffrire? Non è Lui l’amore infinito? Non è Lui l’Onnipotente?
Gesù sulla croce non cerca minimamente di controbattere alle affermazioni di colui che lo sta rimproverando, perché non basterebbero in quel momento nemmeno tutte le parole del mondo per dare un senso ad una morte simile. Gesù risponde rimanendo sulla croce! E’ proprio questa la sua prima risposta al mistero del dolore.
Il nostro Dio è un Crocifisso come noi… per noi.
E la comprensione più grande di Gesù non viene dai dottori della legge e nemmeno dai discepoli di Gesù, che in questo momento sono fuggiti o guardano da lontano. Gesù è compreso proprio dall’altro uomo inchiodato sulla propria croce. E’ proprio lui, che nell’infinità della sua sofferenza, riesce a capire Dio e il Suo modo di fare, e a Lui si affida (“ricordati di me…”)
Se la sofferenza rimane un mistero, in questo quadro che ci viene offerto dal racconto della Passione, la sofferenza diventa però un occasione di luce e una porta che apre alla comprensione di Dio.

Sembra proprio che nella sofferenza si diventi più capaci di capire l’Amore vero e a trovare la strada della Vita vera.
Allora comprendo bene le tante storie di persone che proprio nel momento di massima sofferenza hanno capito Dio e in Lui sono diventati persone nuove.
Mi ricordo la testimonianza di Chiara Luce Badano, la ragazza morta nel 1990 a 19 anni per un gravissimo tumore osseo. Proprio negli anni della sofferenza che pian piano la “inchiodavano” sempre più nel suo letto, ha saputo diventare una luce di paradiso per tutti coloro che la incontravano.
Ma di testimonianze simili a queste ce ne sono tante, anche se le conosciamo spesso poco, e poco ne andiamo in cerca, perché la sofferenza fa sempre paura e la si esorcizza anche non nominandola.
Entriamo quindi nella Settimana Santa con questo sentimento spirituale di ricerca, senza la pretesa di dare un perché al dolore, ma con la speranza che proprio nel misterioso dolore possiamo conoscere meglio Gesù e con lui Risorgere.

Giovanni don

 

La necessità del silenzio

Non c’è solitudine senza silenzio.

Il silenzio è talvolta tacere, ma è sempre ascoltare. Un’assenza di rumore che fosse vuota della nostra attenzione alla parola di Dio non sarebbe silenzio. Una giornata piena di rumori, piena di voci, può essere una giornata di silenzio se il rumore diventa per noi l’eco della presenza di Dio, se le parole sono per noi messaggi e sollecitazioni di Dio.

Quando parliamo di noi stessi, quando parliamo tra noi, usciamo dal silenzio.

Quando ripetiamo con le nostre labbra gli intimi suggerimenti della Parola di Dio nel profondo di noi stessi, lasciamo il silenzio intatto.

Il silenzio non ama la confusione delle parole.

Sappiamo parlare o tacere, ma non sappiamo accontentarci delle parole necessarie. Oscilliamo senza posa tra un mutismo che affossa la carità e una esplosione di parole che svia la verità.

Il silenzio è carità e verità.

Esso risponde a colui che chiede qualcosa, ma non dà che parole cariche di vita. Il silenzio, come tutti gli impegni della vita, ci induce al dono di noi stessi e non ad un’avarizia mascherata. Ma esso ci tiene uniti per mezzo di questo dono. Non ci si può donare quando ci si è sprecati. Le vane parole di cui rivestiamo i nostri pensieri sono un continuo sperpero di noi stessi.

“Vi sarà chiesto conto di ogni parola”.

Di tutte quelle che bisognava dire e che la nostra avarizia ha frenato.

Di tutte quelle che bisognava tacere e che la nostra prodigalità avrà seminato ai quattro venti della nostra fantasia o dei nostri nervi.

(M. Delbrel)

Non credo

Non credo 
al diritto dei più forti, 
al linguaggio delle armi, 
alla potenza dei potenti. 

Voglio credere 
ai diritti dell’uomo, 
alla mano aperta, 
alla potenza dei non-violenti. 

Non credo alla razza o alla ricchezza, 
ai privilegi, all’ordine della forza e dell’ingiustizia: 
è un disordine. 
Non credo di potermi disinteressare 
a ciò che accade lontano da qui. 

Voglio credere che il mondo intero 
è la mia casa e il campo nel quale semino, 
e che tutti mietono ciò che tutti hanno seminato. 

Non credo 
di poter combattere altrove l’oppressione, 
se tollero l’ingiustizia qui. 

Voglio credere che il diritto è uno, 
tanto qui che altrove, 
che non sono libero finché un solo uomo è schiavo. 

Non credo che la guerra e la fame siano inevitabili 
e la pace irraggiungibile. 

Voglio credere all’azione semplice, 
all’amore a mani nude, 
alla pace sulla terra. 

Non credo che ogni sofferenza sia vana. 
Non credo che il sogno degli uomini resterà un sogno 
e che la morte sarà la fine. 

Oso credere invece, sempre e nonostante tutto, 
all’uomo nuovo. 
Oso credere al tuo sogno, o Dio, 
un cielo nuovo, una terra nuova dove abiterà la giustizia.

(Dorothee Solle)

Il coraggio e la certezza dell’amore

Dammi il supremo coraggio dell’amore. 
Questa è la mia preghiera: 
coraggio di parlare, 
di agire, di soffrire, 
di lasciare tutte le cose, 
o di essere lasciato solo. 
Temprami con incarichi rischiosi, 
onorami con il dolore, 
e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò. 

Dammi la suprema certezza dell’amore. 
Questa è la mia preghiera: 
la certezza che appartiene alla vita nella morte, 
alla vittoria nella sconfitta, 
alla potenza nascosta nella più fragile bellezza, 
a quella dignità nel dolore, 
che accetta l’offesa, 
ma disdegna di ripagarla con l’offesa. 
Dammi la forza di amare 
sempre e ad ogni costo.

(R. Tagore)