Zittire il Vangelo

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In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino
(dal Vangelo di Luca 4,21-3)

Il Vangelo di questa domenica inizia dove era finito il racconto del vangelo di domenica scorsa. Anzi, viene ripetuta l’ultima riga, quando Gesù proclama che quel che è stato letto da lui dal rotolo del profeta Isaia si sta realizzando.
E’ davvero importante non dimenticare il legame profondo di tutto il brano di Gesù nella sinagoga di Nazareth, anche se la liturgia lo divide in due diverse domeniche.
Gesù sta dicendo ai suoi concittadini, che lo hanno visto crescere e ne conoscono bene la famiglia, che le parole di misericordia di Isaia (…ai poveri il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a libertà agli oppressi…) non sono parole sepolte nel passato o così lontane nel futuro da risultare inutili, ma sono parole di “OGGI” con lui, inviato da Dio per realizzare tutto questo.
La prima reazione è lo stupore, e l’evangelista sottolinea che “…tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia”.
Ma la meraviglia pian piano si trasforma in odio e violenza quanto “tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno”.
Cosa è successo tra la reazione di meraviglia a quella di sdegno?
Gesù, testimone di verità, non ha i cosiddetti “peli sulla lingua”, e oltre a rivelare che la parola antica di Isaia si realizza, svela anche la profonda ipocrisia di tutti coloro che sono in quel luogo di preghiera, così vicini fisicamente alla Parola di Dio ma nello stesso tempo così lontani. Infatti ascoltano le parole della Scrittura ma queste parole non le fanno scendere nel loro cuore e nella loro vita, che rimangono invece abitati da pregiudizi e chiusure.
Gesù svela loro questa ipocrisia, citando la stessa Scrittura e ricordando le volte in cui Dio non è riuscito a fare nulla per il suo popolo ma solo a degli stranieri “lontani da Dio” (la storia di Elia e di Eliseo…).
Gesù guarda in faccia i suoi concittadini e non dice loro che il nemico della fede è fuori da quelle pareti della sinagoga e non li incita ad armarsi e convertire il mondo “tutto cattivo e lontano da Dio”. Gesù punta il dito proprio su di loro e sul nemico di Dio che hanno dentro il loro cuore, un nemico che impedisce loro di accogliere veramente Dio mentre è li a due passi da loro.
A questo punto io non posso non sentirmi interpellato in questa provocazione di Gesù che vale per tutti coloro che erano in quella sinagoga come per me e per noi oggi.
Quale è la mia reazione allo sguardo interrogativo di Gesù?
Gesù mi sta dicendo chiaramente che il primo nemico per la mia fede sono io stesso, nella misura in cui ascolto superficialmente i suoi insegnamenti e mi chiudo nei confronti dei fratelli.
I concittadini di Gesù risposero con il rifiuto e la violenza, arrivando persino all’eliminazione fisica di colui che li interrogava e nello stesso tempo li chiamava a conversione.
Io non posso tentare di nuovo di eliminare Gesù buttandolo dal precipizio di Nazareth per metterlo a tacere, ma posso zittirlo seppellendolo in una fede superficiale e fatta di riti stanchi e abitudinari. Posso mettere a tacere Gesù, se mi chiudo in me stesso e nella mia comunità e tradizioni non ascoltando la storia che mi circonda che mi parla di Dio in modi sempre nuovi. Posso zittire il Vangelo se non lo metto in pratica in modo coraggioso e uscendo per strada, come dice spesso papa Francesco, anche a costo di sporcarmi, ma con la convinzione che le parole di Gesù sono vive e cambiano il mondo per davvero.

Giovanni don

Vangelo sempre in tasca

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Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
(dal Vangelo di Luca 1,1-4; 4,14-21)

Qualche mese fa ho conosciuto un giovane carabiniere, con il quale è nata subito una amicizia e anche un bel confronto di vita e di fede. Una sera sono andato a trovarlo in caserma dove vive, e tra una chiacchera e l’altra siamo finiti a parlare di fede e di impegno cristiano. Ad un certo punto mi dice che vuol farmi vedere una cosa a cui tiene molto. Dalla tasca dei pantaloni d’ordinanza, tira fuori un oggetto che subito non riesco a riconoscere. Sembra solo un cartoccio di carta scuro senza valore, ma poi vedo che non è altro che un piccolo vangelo tascabile tutto deformato. Ha preso la forma della tasca ed è consumato nella copertina e ai bordi delle pagine, ma è ancora perfettamente e interamente leggibile.20150919_230056 Questo giovane mi confida che lo ha sempre in tasca, e lo accompagna ovunque da anni, anche in servizio. Non è un amuleto ma una vera guida, perché sente il desiderio ogni tanto di fermarsi e leggerne una pagina.
L’evangelista Luca inizia il suo Vangelo in maniera originale rispetto agli altri evangelisti. Non parte raccontando la storia di Gesù, ma raccontando la sua storia di credente che si avvicina alla storia di Gesù e la vuole trasmettere a qualcun altro. Luca ci racconta la sua fede in questa ricerca accurata di tutto quello che riguarda Gesù Cristo, e ci dice che la storia di Gesù non nasce come una favola inventata, ma nasce da testimonianze vive di chi ha conosciuto Gesù e ne è diventato prima amico e poi annunciatore.
Ecco cos’è il Vangelo: è un ponte tra i primi testimoni di Gesù, e coloro che vengono dopo, cioè noi, chiamati a conoscere ed entrare a nostra volta in questa storia. In Teofilo, che letteralmente significa “amico di Dio”, possiamo vedere noi stessi, che con la fede siamo amici di Dio, e come tali desiderosi di sapere tutto di Lui.
La liturgia di oggi accosta a questa introduzione del Vangelo, l’episodio di Gesù che legge il profeta Isaia nella sinagoga di Nazareth. Anche Gesù legge la Sacra Scrittura, ma non lo fa come leggesse un libro antico e come pura e astratta ricerca storia. Gesù legge da credente, e sente che quel che legge si sta realizzando proprio in lui, in quel momento (“Oggi si è compiuta questa Scrittura…”)
Gesù sta leggendo un passo del profeta Isaia che parla di Dio che porta liberazione, guarigione, amore per tutti e in particolar modo per i poveri. E’ un messaggio di misericordia che non rimane sulla carta come una vuota e illusoria promessa, ma si realizza in Gesù che vede in quel passo antico la profezia della sua missione.
Questo è l’atteggiamento giusto con il quale leggere la Scrittura e in particolare il Vangelo. E’ l’atteggiamento di chi crede che ciò che legge personalmente o ascolta nella celebrazione in chiesa non è lettera morta ma è viva e attuale. Il Vangelo è vita, ad opera dello Spirito Santo e con la nostra collaborazione di testimoni di Cristo.
Quel piccolo vangelo di cui accennavo all’inizio, che ha preso curiosamente la forma del corpo del giovane che lo porta sempre in tasca, è per me un invito a modellare il vangelo sulla mia vita.
Questo piano piano mi fa scoprire che la mia stessa vita prende a sua volta la forma del Vangelo, con atti di misericordia, di perdono, di amore totale, che è la forma di vita di Gesù.

Giovanni don

No vino, no party

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In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
(dal Vangelo di Giovanni 2,1-11)

Un paio di anni fa ho avuto il dono di poter celebrare le nozze di due giovani amici e di partecipare alla loro festa di nozze che mi è tornata in mente meditando sulla festa di nozze di cui si parla nel Vangelo. Lo sposo, mio amico, è uno dei più grandi produttori di vino della Valpolicella, e la qualità del vino è conosciuta in tutto il mondo. Elemento forte quindi della festa non poteva che essere il vino, e per sottolineare l’evento così eccezionale della loro vita, gli sposi hanno voluto creare un momento speciale per tutti. Mi ricordo che a metà del pranzo, gli sposi hanno chiesto a tutti di andare in una sala preparata appositamente dove al centro di una tavolata di formaggi speciali campeggiava un’enorme bottiglia del miglior vino della loro produzione. La bottiglia era così grande che era difficile da sollevare, ma alla fine tutti hanno potuto assaggiare il vino buono che per me rappresentava la bontà dell’amore di questi due amici che iniziavano una nuova tappa della loro storia d’amore benedetta dall’amore di Dio.
Nella tradizione ebraica, gli sposi sanciscono la loro unione bevendo del vino da una sola coppa. Si può quindi immaginare che la mancanza del vino alle nozze di Cana, sia il drammatico segno che in quella unione manca l’elemento centrale, cioè l’amore. Maria, la madre di Gesù, che con lui è presente alle nozze, non dice semplicemente “non abbiamo…“, ma “non hanno vino”, sottolineando così che non è tanto il vino della festa a mancare per tutti, ma il vino del rito di unione…
Questo che sta raccontando l’evangelista non è una semplice storiella di un miracolo, ma un vero e proprio racconto carico di simboli che vogliono prima di tutto dire chi è Gesù e svelarne sempre più l’identità e la missione. La mancanza del vino buono alle nozze di Cana è chiaramente il segno della mancanza di amore vero dentro la religione quando manca unione vera tra Dio e l’uomo. Una religione, fatta di simboli, riti, strutture… corre sempre il rischio di essere priva dell’amore vero. Se questo rischio era possibile per l’istituzione religiosa ai tempi di Gesù, così è possibile anche per noi oggi, nella nostra esperienza religiosa, sia a livello della Chiesa intera, che nella nostra esperienza comunitaria e personale. Una vita religiosa con il marchio e i simboli cristiani ma senza amore è un rischio possibile e magari non ce ne accorgiamo neppure.
Ho trovato molto significativa la continuità di un elemento nei vangeli di queste due ultime domeniche, anche se non appartengono allo stesso evangelista. Questo elemento è l’acqua. Domenica scorsa, ricordando il battesimo di Gesù, il luogo dell’azione sono le acque del fiume Giordano, dove Giovanni il battista compie il gesto di purificazione e conversione e dove Gesù stesso si immerge. In questo racconto dell’evangelista Giovanni sono proprio le acque usate per purificare, secondo il rituale ebraico, ad essere usate da Gesù per il segno del vino buono.
Se nel giorno in cui si ricorda il Battesimo del Signore abbiamo meditato sul nostro battesimo, che nell’acqua rituale viene celebrato, questa volta non possiamo non pensare al rischio che la nostra vita cristiana manchi alla fine di vino buono, cioè dell’elemento fondamentale per la vita di fede, che è l’amore. Senza la presenza di Gesù la nostra vita cristiana rischia di esserlo solo di facciata e quindi morta in se stessa, proprio come quelle nozze di Cana, dove c’è tutto, ma manca il tutto, cioè l’amore. E la madre di Gesù diventa per noi credenti di oggi un esempio di attenzione perché è proprio lei ad accorgersi e a dirigere verso Gesù il problema gravissimo di quella festa. Maria in quel brano sembra domandare al mio cuore e al cuore di tutti noi cristiani “c’è il vino buono?” nella tua vita, nella tua comunità, nella Chiesa intera? Se manca quel vino buono, allora non dobbiamo far altro che ritornare al Vangelo di Gesù, al suo amore, che è sempre capace di riportare il vero amore, che in questo anno speciale vogliamo ribadire con il nome di misericordia, dentro la nostra esperienza personale e di Chiesa, e attraverso di noi nel mondo intero che ha più che mai bisogno del vino buono dell’amore di Dio

Giovanni don

Un Battesimo indimenticabile

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In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
(dal Vangelo di Luca 3,15-16.21-22)

In una catechesi sul Battesimo durante un’udienza generale di un paio di anni fa, papa Francesco ha rivolto una domanda provocatoria a coloro che ascoltavano: “ve lo ricordate la data del vostro Battesimo?”
Leggendo quella domanda sono stato provocato anche io, e mi sono accorto che non ricordo la data precisa del mio battesimo, pur avendo richiesto il certificato di battesimo alla mia parrocchia per ricevere l’ordine presbiterale, come è anche richiesto a tutti per poter ricevere la Cresima e il sacramento del Matrimonio.
Ovviamente conosco la data del mio compleanno e quella dell’ordinazione presbiterale, ma per quanto riguarda il Battesimo non ho fissato nella mente la data precisa.
Questo penso dipenda dal fatto che non è usanza da noi celebrare questo anniversario, mentre ha molta più rilevanza celebrare la data di nascita. Eppure quando si celebra una data è perché si ritiene che quel fatto è fondamentale per la propria vita, sia a livello personale che comunitario. Se domandiamo ad una persona che ha ricevuto il Battesimo da adulto quando è stato battezzato, sicuramente quella data è bene impressa nella mente e nel cuore.
La provocazione del papa nel chiedere di conoscere la data del Battesimo, non è certamente per una questione superficiale di calendario, ma è l’invito a ripensare il significato di ciò che abbiamo ricevuto e di ciò che siamo diventati a partire da quell’evento.
In un rito molto semplice la nostra vita interiore cambia, ancora prima che noi stessi ne siamo consapevoli, perché i nostri genitori lo hanno scelto per noi e in questa linea ci crescono.
Mi aiuta a ripensare il Battesimo proprio l’episodio del battesimo di Gesù nel fiume Giordano. Nella liturgia questo giorno non è collocato in una data particolare della storia di Gesù (come la data di nascita che è fissa il 25 dicembre), ma in genere la terza domenica dopo il Natale, e conclude quello che si chiama “tempo di Natale”.
Con questa immersione purificatrice (battesimo significa immersione) Gesù completa la sua manifestazione al mondo e rende chiaro il suo progetto di azione tra gli uomini. Lui è venuto ad immergersi nella realtà umana, specialmente quella che riconosce il proprio limite e ha bisogno di conversione a Dio. Ed è proprio in questo “abbassamento” totale (significato dal suo immergersi e riemergere dall’acqua) che il cielo si apre su di Lui e Padre e Spirito Santo si uniscono al Figlio, unendo cielo e terra, realtà umana e divina.
Questo uomo Gesù nella sua piena umanità è indicato al mondo come luogo in cui lo Spirito di Dio trova casa. L’immagine della colomba richiama un detto popolare che diceva che ogni colomba cerca sempre il proprio nido, e così lo Spirito Santo ha la propria casa nell’umanità di Gesù. E la voce potente che scende dal cielo entra nelle orecchie di Gesù ma è destinata a toccare il cuore: “Tu sei il Figlio mio, l’amato…”
Questo è il Battesimo cristiano, ed è così che vorrei ricordarlo e viverlo.
Il Battesimo ricevuto in quel giorno particolare in cui i miei genitori mi han portato nella chiesa del mio paese, ho ricevuto un dono speciale di grazia che mi rende come Gesù, cioè amato da Dio e da Lui inviato ad amare sullo stile di Gesù.
Tutti gli uomini sono figli di Dio e amati da lui, ma il Battesimo ricevuto me lo ricorda nel profondo, e mi invia in modo speciale nel mondo a far sì che tutti sentano questo amore, così come ha fatto Gesù, pronto anche a donare la vita pur di non fallire questa missione. E in questo il Vangelo rimane il punto di riferimento indispensabile perché la memoria del Battesimo non sia spazzata via…
Se non ricordo la data esatta del Battesimo, spero però di non dimenticare mai il senso profondo di questo evento che ha avuto un giorno e un luogo particolari come inizio, ma che vivo ogni giorno e ovunque mi trovo.

Giovanni don

A Natale c’è posto per tutti

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Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
(dal Vangelo di Matteo 2,1-12)

La tradizione del presepe napoletano è conosciuta in tutto il mondo. In una zona ben specifica del centro storico di Napoli, via San Gregorio Armeno, ci sono un infinità di piccole e piccolissime botteghe artigianali che producono ogni anno le statuette che vanno poi ad arricchire i presepi della città partenopea e di tutto il mondo.
Accanto ai personaggi principali, la sacra famiglia, pastori e angeli, si trovano esposte di volta in volta nuove statuine con personaggi diversissimi, legati alla storia e all’attualità. E’ proprio questo che ha reso così famosa questa via di Napoli, perché ogni anno gli artisti del presepe aggiungono personaggi presi dalla cronaca e dall’attualità, dai più disparati ambienti di vita: lo sport, la politica, il cinema, la musica, la religione… Sembra che un indice di popolarità attuale dei personaggi pubblici passi proprio da queste botteghe del presepe.

bottega del presepe in via Gregorio Armeno, Napoli


E’ davvero singolare e potrebbe sembrare una cosa quasi blasfema accostare alla Natività di Gesù tanti dei personaggi rappresentati che sembrano avere non nulla a che fare con il messaggio del presepe.
Eppure dietro questa tradizione popolare si nasconde un messaggio molto evangelico.
Se ci allontaniamo da questa via di Napoli e andiamo sulle pagine del racconto evangelico, vediamo che la scelta operata dall’evangelista Matteo non è meno strana e sorprendente.
L’evangelista Luca aveva raccontato di pastori come primi adoratori di Gesù, Matteo invece fa apparire in scena questi personaggi davvero strani, i Magi, che stando letteralmente al racconto rappresentano tutto quello che di più lontano ci può essere con il Messia atteso dal popolo d’Israele.
Sono pagani, venuti da un posto distante e quindi fuori dalla terra promessa, luogo ritenuto unico dalla benedizione di Dio. Il loro mestiere è quello della magia, che dal punto di vista della religione ebraica era segno di maledizione e paganesimo da condannare. E’ quindi molto comprensibile lo sconcerto di Erode e dei rappresentanti religiosi di Gerusalemme quando questi maghi pagani si presentano con il loro messaggio («Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo»). Che cosa c’entrano questi con il Messia, con la nostra tradizione e con la nostra religione? Che diritto hanno di essere qui?
Sconcerto, paura e alla fine violenza (il racconto che segue narra della strage degli innocenti ad opera di Erode) si impadroniscono di coloro che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere la venuta di Gesù, ma che in realtà sono bloccati e irrigiditi entro le mura difensive della città santa.
Ed ecco allora che i primi ad arrivare a Dio sono proprio i più lontani ed esclusi, e in questo si vede anticipata tutta la storia successiva di Gesù. Infatti Gesù da lontano (da Dio) scende per radunare il mondo intero, annullando lontananze fisiche e relazionali, annunciando il messaggio luminoso (come la sua stella) della misericordia di Dio.
E’ questa misericordia che dona una gioia profonda agli “indegni” maghi pagani che si ritrovano faccia a faccia con la bontà universale di Dio. Sembrava che non c’entrassero nulla con Dio e ora si ritrovano in prima fila.
Per questo quando guardo le bizzarre statuine dei laboratori di Napoli, mi ricordo che Gesù è davvero per tutti, e che il suo messaggio di misericordia non va smorzato ma amplificato dalla mia condotta personale che si deve rivestire di misericordia e accoglienza senza limiti.
Le statuine napoletane rappresentano solo personaggi famosi, ma attorno al cuore di Gesù c’è posto anche per chi è sconosciuto e dimenticato, per chi è lontano e nascosto, per chi è uomo e donna indipendentemente da cultura, religione, situazione di vita…

Giovanni don

Vertigine del Natale: il potere di diventare figli di Dio

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Giovanni inizia il suo Vangelo con un volo d’aquila, un inno immenso che ci impedisce di pensare piccoli pensieri, che opera come uno sfondamento sulle pareti dei nostri giorni verso l’eterno, verso l'”in principio”, verso il “per sempre”.

Per assicurarci che c’è come un’onda immensa che viene a infrangersi sui nostri promontori, che siamo raggiunti da un flusso continuo che ci alimenta, e che non abbiamo in noi la nostra sorgente.

La fede è l’esperienza che in gioco nella nostra vita c’è una forza più grande di noi, un bene grande che alimenta il nostro amore, una vita piena che può riempire la nostra piccola vita. «A quanti l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». Il potere, non solo la possibilità o l’opportunità; ma una energia, una vitalità, una forza: il Verbo viene nel mondo e in noi come una forza di nascite.

Cristo nasce perché io nasca. Nasca nuovo e diverso. Nasca dall’alto. Il Verbo di Dio è un seme che genera secondo la propria specie. Dio non può che generare Figli di Dio. Tutte le parole degli uomini ci possono solo confermare nel nostro essere carne, realtà incompleta, fragile e inaffidabile.

Ma il salto, l’impensabile accade con il Natale, con la Parola che entra nel mondo e porta la vita stessa di Dio in noi. Ecco la vertigine: la vita stessa di Dio in noi. Questa è la profondità ultima del Natale. Dio in me. Destino di ogni creatura è diventare sillaba di Dio, carne intrisa di cielo, figlio. «Il cristianesimo non è rinuncia, è ingrandimento sconfinato del nostro essere» (Giovanni Vannucci). «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini».

La vita stessa è luce per gli uomini, e chi ha passato un’ora sola a vivere amore oppure ad addossarsi il pianto di un sofferente è più vicino al mistero di Dio di chi ha letto tutti i libri. Chi sa della vita sa di Dio. «E il Verbo si fece carne». Dio ricomincia da Betlemme. Il grande miracolo è che Dio non plasma più l’uomo con polvere del suolo, dall’esterno, come fu in principio, ma si fa lui stesso polvere plasmata, bambino di Betlemme e carne universale. E se tu devi piangere, anche lui imparerà a piangere. E se tu devi morire, anche lui conoscerà la morte. Da allora c’è un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo.
C’è santità e luce in ogni vita. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. E nessuno potrà dire: qui finisce l’uomo, qui comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e in quel neonato, a Betlemme, uomo e Dio sono una cosa sola.

(p. Ermes Ronchi)

Il cuore grida pace

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Venerdì 1 gennaio 2016 Maria Madre di Dio Giornata della pace Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio. (Dalla lettera di San paolo ai Galati 4,4-7)

Non voglio la pace! Quando questa mi rende indifferente al fratello Quando rende sordo il mio orecchio al grido di aiuto di chi soffre Quando chiude le mie mani per trattenere le mie cose senza condividere Quando orienta i miei occhi solo dove mi interessa e dove non ho fastidi. Non voglio la pace se significa che posso starmene in pace, pensando che siano altri a doversi occupare delle ingiustizie, delle guerre, dei mali del mondo. Voglio allora che il grido dello Spirito Santo che Dio ha impiantato nel mio cuore si metta ad urlare il nome di Dio Padre e il nome degli uomini di tutto il mondo, per svegliarmi dal pacifico sonno nel quale mi sono lasciato addormentare. Gesù è venuto nella storia degli uomini per svegliare in loro l’amore per i fratelli. Non è venuto per portarci una tranquilla pace, ma per farci collaborare con lui nella rivoluzione dell’amore dove non c’è posto per coloro se ne stanno pacifici a guardare dalla finestra la storia del mondo. Lo Spirito Santo urla nel cuore dell’uomo, di ogni uomo. Grida al cuore che è figlio amato da Dio e che è chiamato a vivere in armonia con il cielo e con la terra e con tutti coloro che vivono in terra. E se qualcuno non sente questo grido di Dio, allora spetta a me dare un aiuto a sentirlo, cercando di far tacere i rumori di armi e violenze, in modo che tutti alla fine possano dire “Dio è Padre” e “tu sei mio fratello”, in un unico grido che in una sola parola è “PACE!” Giovanni don