Siamo pastori o mercenari?

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In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
(dal Vangelo di Giovanni 10,11-18)

Il barcone pieno di immigrati che sbandando sotto la guida di un trafficante di esseri umani, affonda senza che la quasi totalità di coloro che sono a bordo possa salvarsi, non è solo la descrizione dell’ultima terribile tragedia della povertà, ma è anche una terribile metafora della nostra società europea.
L’Europa in questi giorni appare davvero come un barcone pieno di noi europei che rischia di affondare con tutti i nostri valori e la nostra storia, nel mare di egoismo e interessi che crea onde altissime e minacciose.
Si sta facendo qualcosa per il numero sempre maggiore di profughi che schiavizzati sono ingannati e poi costretti a salire su gommoni fragili e pescherecci malandati verso l’Europa, ma è ancora troppo poco.
Nel Vangelo Gesù si autodefinisce il “buon pastore”, che tradotto meglio è “l’unico vero pastore”, che non solo si prende cura delle pecore che conosce personalmente, ma addirittura dà la sua vita per loro. Gesù non è una delle tante guide, ma è “la guida” sicura del popolo che cerca una strada che porta a Dio e verso i fratelli.
E il “buon pastore” è contrapposto al mercenario, che fa il lavoro del pastore ma non guidato da sentimenti positivi se non quelli proprio guadagno. Al mercenario non importa delle pecore e alla prima difficoltà fugge.
E qui ritorna secondo me in modo drammatico una metafora della nostra Europa, e di noi europei. Molte volte ci è stato detto che l’unità economica era solo un primo passo verso una unità più profonda e vera, ma questo passo non sembra esser stato fatto, e la nostra comunità continentale è di fatto solo sulla base degli interessi economici e non di quelli umani e di solidarietà. Le crisi internazionali, le guerre e violenze in Africa e in Medioriente, spingono migliaia di poveri uomini e donne a fuggire verso porti più sicuri, ma noi sembra siamo più preoccupati di chiudere le frontiere, bloccare i barconi e difenderci nei nostri interessi.
E’ questa l’Europa dalle radici cristiane? E’ questo il buon pastore Gesù che noi cristiani dovremmo rappresentare oggi? O piuttosto siamo come dei mercenari e con la mentalità del mercenario che fa tutto solamente se ha un guadagno immediato e tangibile?
Penso che l’immagine di Gesù buon pastore, vero pastore che dona la vita, diventi una provocazione per noi cristiani di oggi, per riscoprire la nostra vocazione alla cura del prossimo e del più debole, pronti anche a perdere qualcosa senza guadagnare nulla se non la cosa più importante, il fratello e la sorella che prendiamo sulle nostre spalle come Gesù.
Giovanni don

Testimoni prima di tutto

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In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
(dal Vangelo di Luca 24,35-48)

È davvero incredibile come i discepoli fatichino a riconoscere Gesù, il loro maestro e amico, in quell’uomo che gli appare vivo davanti mentre sono “sepolti vivi” nelle loro paure e delusioni.
Non è un fantasma, come sembrano certe promesse che ci facciamo tra noi dove prevalgono le parole sui fatti e gli slogan sulle azioni concrete. Gesù è davvero vivo e presente in modo reale e concreto. Ha ancora i segni della passione ed è ancora in grado di mangiare come un essere umano normale e vivente.
Gesù appare per testimoniare che il suo messaggio non contiene false promesse ma è un messaggio che si realizza nella storia.
Gesù è venuto a portare un cambiamento nel mondo verso il bene (conversione) e un diluvio di misericordia (perdono dei peccati). E di questo i discepoli sono testimoni.
Essere testimoni significa prima di tutto non esserne i proprietari unici ed esclusivi. Il testimone è il primo che sperimenta su di se questo cambiamento e questa misericordia che rimangono di Gesù.
Se sono testimone allora non posso che darmi da fare perché altri si sentano coinvolti in tutto questo: questo è il compito di noi cristiani nel mondo. E in particolare nel mondo di oggi dove abbiamo la tentazione di credere che la resurrezione non ci sia e prevalgano solo i segni della morte.
Noi cristiani siamo i primi a dire che Gesù è risorto diventando noi stessi segni di risurrezione.
E’ faticoso crederci alla resurrezione, e il vangelo ce lo racconta bene. Ma nello stesso tempo è essenziale che questa testimonianza di vita non si areni nelle nostre paure e chiusure, anche quando la vita diventa dura e chi ci parla di amore, di bene, di pace, sembra un pazzo che crede nei fantasmi.
Edoardo Bennato in una sua famosa canzone “l’isola che non c’è”, prendendo spunto dal racconto di Peter Pan, parla della ricerca di questa isola che apparentemente, come dice la parola, non c’è, ma in realtà esiste, basta solo non smettere di cercare e di crederci. E conclude la canzone così: “…E ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te”
I cristiani che credono nella resurrezione nella storia e in un mondo dove regna il perdono, l’amore, l’unità tra i popoli e la pace oggi sembrano davvero dei pazzi che cercano “l’isola che non c’è”, il Regno di Dio. Ma forse, come dice bene la canzone, i veri pazzi sono quelli che non ci credono, anche tra coloro che si definiscono cristiani e di solide “tradizioni” cristiane…

Giovanni don

Gesù è risorto non solo a parole

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La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
(dal Vangelo di Giovanni 20,19-31)

Un amico missionario mi ha ricordato che proprio in questi giorni ricorre il trentesimo anniversario della morte nelle Filippine di un giovane missionario del PIME (pontificio istituto missione estere), Padre Tullio Favali, originario di Mantova. Padre Favale è una delle tante vittime della violenza che in varie forme, luoghi e tempi si accanisce su chi testimonia con parole e gesti la propria fede in Gesù.
Mi ha colpito quello che ho letto di padre Tullio. Questo prete, allora poco più giovane di me adesso, aveva una grande ansia missionaria chiusa dentro, e solo dopo diversi anni di ricerca dentro e fuori dagli ambienti ecclesiali, finalmente arriva alla consacrazione come prete missionario nel mondo, specialmente verso i più poveri. E così nel 1984, prete da pochi anni, viene assegnato alla missione di Tulunan nelle Filippine, in un momento storico difficilissimo per quella regione, scossa dalle tensioni tra il regime dittatoriale alla fine e i ribelli comunisti. Padre Tullio viene ammazzato proprio mentre soccorre un catechista ferito, affrontando (come narrano le cronache nel martirio) a braccia disarmate e aperte il suo uccisore.

padre Tullio Favali, missionario (1946-1985)

In una delle ultime lettere all’amico padre Gilberto Orioli, il 27 marzo 1985, padre Tullio scrive: «… non mi resta che immergermi in questo mondo e camminare a fianco di questa gente, nella comunione fraterna e condivisione. Il lavoro è tanto e il compito affidatoci è grande: però non siamo soli, un Altro ci sorregge e viene incontro alla nostra debolezza. Coraggio, dunque. Diciamocelo reciprocamente»
Ho subito collegato queste parole a quelle che Gesù risorto dice agli impauriti discepoli barricati nel Cenacolo, dopo che il Maestro è stato preso, condannato e ucciso sulla croce. L’annuncio della resurrezione era arrivato ai suoi amici, ma sembra non esser stato efficace a sconfiggere le paure e a farli uscire per diffondere questo messaggio. Paradossalmente è proprio Tommaso, non presente nel rifugio, a dimostrare un coraggio ad uscire che agli altri mancava.
Gesù appare ai discepoli, sapendo che non si muoveranno solo con delle parole, ma solo facendo davvero esperienza viva di resurrezione. Appare e dona la pace.
Quando dice “pace a voi”, non è un banale saluto di circostanza e nemmeno una esortazione morale (dovete essere in pace…), ma è un annuncio che la pace è davvero con loro, anche se in mezzo a difficoltà e paure. Ed è questa pace-felicità profonda che li può muovere ad uscire e diventare loro stessi segno di pace per gli altri e per il mondo intero.
Il primo compito degli apostoli non è raccontare una storia del passato, ma essere segno della misericordia che è dentro quella storia, che è sempre attuale.
Sono chiamati a portare pace e perdono, ad accogliere e rassicurare il prossimo, e con tutto questo danno concretezza alle parole “Gesù è risorto”, che altrimenti diventerebbero solo parole al vento che non convincono nessuno.
Infatti i primi apostoli sono i primi a sperimentare il fallimento di un annuncio fatto solo di parole. Tommaso non crede a quello che gli dicono e dovrà fare anche lui esperienza di Gesù risorto, vedendo quel corpo segnato dalla croce e che ora è vivente.
E’ questa la via della predicazione che la Chiesa da allora ha iniziato e non ha mai concluso. E’ la predicazione fatta di atteggiamenti e gesti concreti di resurrezione. Se Tommaso è stato convinto vedendo i segni reali della passione nel corpo risorto di Gesù, a tutti gli altri venuti dopo (tra i quali anche noi) i segni sono quelli dell’amore fraterno, della vita donata per il vangelo, del servizio ai poveri, dell’impegno a costruire un mondo di pace.
Questi sono i segni con i quali si comunica oggi che Gesù è risorto, e sono segni davvero efficaci che possono convertire il prossimo.
Padre Tullio Favali, immerso in segni di morte di un popolo povero e segnato dalla paura, ha creduto che la resurrezione si annuncia con la vita e dando segni concreti di pace. Ogni missionario (non solo i preti e religiosi…ma ogni cristiano) annuncia che “Gesù è risorto” diventando lui stesso segno di amore, come i segni della passione che hanno convinto Tommaso e gli altri. Questa è la testimonianza: in Cristo la morte per amore genera vita, e l’odio non uccide mai l’amore vero.

Giovanni don

Il mio mondo non sarebbe niente senza i miei amici

Scrivendo adesso queste parole, nessuno da miei amici sa quanto li ami, forse qualcuno lo sa. Ma è delizioso che io sappia e senta che li amo, anche se non lo dichiaro e non li cerco. E a volte, quando li cerco, loro non sanno quanto voglia loro bene, perché loro fanno parte del mondo che io faticosamente ho costruito, e sono felici del mio incanto per la vita. Mentre parlo, mentre cammino, vivo tutti i miei amici, e soprattutto quelli che solo sospettano o forse non sapranno mai che sono miei amici. Il mio mondo non sarebbe niente senza miei amici.

R. Ramirez

 

Cristo risorto, signore della vita

Apriamo la radio, vediamo la tele, sfogliamo riviste e  leggiamo giornali;

la nota è la stessa, ci prende l’angoscia, orrore e disgusto non hanno uguali.

Cristiani sgozzati,bambini colpiti, donne umiliate, villaggi finiti, ,

odio e vendetta, sangue e martirio dilagan ovunque; e non ci sono limiti.

 

In nome di Dio, assetati di sangue seminan morte e inalzan barriere,

vestiti di odio, col viso coperto sprizzan veleno e dimenan bandiere.

Morte e massacri, terrore e misfatti son sempre in agguato, reali e presenti.

Non hanno rispetto, la vita non vale, han perso il cervello e smarrite le menti.

 

Ai piccoli bimbi non danno un giocattolo,ma bombe e fucili li mettono in mano,

le bimbe son prese, coperte di veli, ma sotto son piene di morte e d’inganno.

Il bimbo che sembra giocare alla guerra con quella pistola che poi era vera,

punta quell’arma quel bimbo soldato,  uccide i due grandi e cala la sera.

 

Ricordo piangendo la bimba imbottita,di morte e orrore in quel di Nigeria    

Bomba bambina in quel triste mercato,spargendo ovunque paura e miseria.

Mi metto in ginocchio, mia piccola martire, e a nome di tutti ti chiedo perdono.

In te, vedo i martiri, mio piccolo fiore, che date la vita, facendola dono.

 

Bisogna fermarli ,non più tollerarli, hanno da tempo toccato già il fondo.

Ma cosa facciamo? Come fermarli? Non può stare inerme il resto del mondo.

Siamo sconvolti,gridiamo lo scandalo, ma solo l’orrore non basta e conforta.

Gridare e non fare rimane una mossa: fra poco li avremmo davanti alla porta.

 

Gesù non ha messo  nessuno in croce; loro  ci han messo perfino i bambini.

Gesù sul calvario ha abbracciato la croce, salvando  così grandi e piccini.

Morendo innocente, straziato e perduto, risorge per noi  e ci dona la vita.

In questo mondo di odio e di morte, la Pasqua ci dice che la vita  è infinita.

 

“Di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri,

si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere,

perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre”(Isaia)

  

Loreto – S. Pasqua 2015                                       P. Gianni Fanzolato

 

Cristo risorto, signore della vita

 

Apriamo la radio, vediamo la tele, sfogliamo riviste e  leggiamo giornali;

la nota è la stessa, ci prende l’angoscia, orrore e disgusto non hanno uguali.

Cristiani sgozzati,bambini colpiti, donne umiliate, villaggi finiti, ,

odio e vendetta, sangue e martirio dilagan ovunque; e non ci sono limiti.

 

In nome di Dio, assetati di sangue seminan morte e inalzan barriere,

vestiti di odio, col viso coperto sprizzan veleno e dimenan bandiere.

Morte e massacri, terrore e misfatti son sempre in agguato, reali e presenti.

Non hanno rispetto, la vita non vale, han perso il cervello e smarrite le menti.

 

Ai piccoli bimbi non danno un giocattolo,ma bombe e fucili li mettono in mano,

le bimbe son prese, coperte di veli, ma sotto son piene di morte e d’inganno.

Il bimbo che sembra giocare alla guerra con quella pistola che poi era vera,

punta quell’arma quel bimbo soldato,  uccide i due grandi e cala la sera.

 

Ricordo piangendo la bimba imbottita,di morte e orrore in quel di Nigeria    

Bomba bambina in quel triste mercato,spargendo ovunque paura e miseria.

Mi metto in ginocchio, mia piccola martire, e a nome di tutti ti chiedo perdono.

In te, vedo i martiri, mio piccolo fiore, che date la vita, facendola dono.

 

Bisogna fermarli ,non più tollerarli, hanno da tempo toccato già il fondo.

Ma cosa facciamo? Come fermarli? Non può stare inerme il resto del mondo.

Siamo sconvolti,gridiamo lo scandalo, ma solo l’orrore non basta e conforta.

Gridare e non fare rimane una mossa: fra poco li avremmo davanti alla porta.

 

Gesù non ha messo  nessuno in croce; loro  ci han messo perfino i bambini.

Gesù sul calvario ha abbracciato la croce, salvando  così grandi e piccini.

Morendo innocente, straziato e perduto, risorge per noi  e ci dona la vita.

In questo mondo di odio e di morte, la Pasqua ci dice che la vita  è infinita.

 

“Di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri,

si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere,

perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre”(Isaia)

  

Loreto – S. Pasqua 2015                                       P. Gianni Fanzolato

 

Pasqua, comunque

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Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.
Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.
Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».
Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
(dal Vangelo di Marco 16,1-9)

La pietra inaspettatamente rotolata via dall’ingresso del sepolcro, è un segno che le attese funeree delle donne riguardo Gesù saranno presto stravolte.
Il problema per le donne ora non è più spostare una pietra ma superare la paura togliendo la pietra che chiude il cuore alla fiducia e alla speranza.
L’evangelista Marco non ci dice nulla di come e quando Gesù passa da morto a vivo, lasciando questo passaggio come un mistero, che è secondario di importanza rispetto alle conseguenze, ben più importanti.
Se Gesù, il crocifisso (quindi colui che è realmente passato attraverso la morte) è risorto allora tutto cambia, ad iniziare proprio dal luogo dove incontrarlo e sperimentare così questa vita.
Il giovane vestito di bianco, che sicuramente ai primi cristiani richiamava la veste bianca propria di chi riceveva il battesimo, annuncia che è la Galilea il luogo dove incontrare Gesù vivo. La Galilea, periferia del mondo, luogo di incroci di culture, popoli e fedi diverse, è di nuovo lo spazio dove Gesù si fa presente e luogo esistenziale dove vuole continuare la storia con i suoi discepoli.
Rimanere a contemplare un sepolcro vuoto bloccati dalle paure, non serve a niente.
Sono comprensibili le paure delle donne e forse simboleggiano le nostre paure e i nostri “blocchi” interiori.
Siamo così circondati da segni di morte che pian piano questi entrano e mettono una pietra sul nostro cuore. E così ci abituiamo a vivere, anzi a sopravvivere in piccoli recinti e spazi, dove ci stiamo noi e i pochi ai quali consentiamo di entrare.
Se lasciamo che le paure ci guidino, allora non ci apriamo più alla speranza e la religione al massimo diventa una consolazione di qualche momento, o un insieme di riti che compiamo distanti però dalla vita.
Il racconto di Marco sembra far prevalere la paura, perché si chiude con questa annotazione, cioè che le donne, ricevuto l’annuncio, non si muovono a portare il messaggio ai discepoli, ma scappano via e non dicono nulla.
Se prendiamo il testo del Vangelo di Marco così come lo abbiamo oggi, il racconto dopo il versetto 9 del capitolo sedicesimo, continua con i racconti delle apparizioni, ma molti studiosi concordano nel dire che il Vangelo di Marco, il più antico dei quattro vangeli, inizialmente si concludeva proprio in questo modo, con le donne fuggite per la paura.
Ma l’annuncio comunque alla fine è arrivato, e la notizia della resurrezione è trapelata. Gli incontri con Gesù risorto sono realmente avvenuti e da allora non si è più interrotto questo messaggio di vita.
Mi piace pensare che se anche all’inizio non è stato facile superare la paura della morte e la chiusura in se stessi, allora anche per me sono comprensibili queste fatiche di fede, e fanno parte del mio percorso come credente. Ma l’invito a non aver paura e a cercare Gesù vivente, vale anche per noi oggi.
Anche per noi, che siamo continuamente a rischio di paure e chiusure, quando vediamo la violenza del mondo, le divisioni tra gli uomini, le cattiverie di chi ci sta accanto e anche le nostre, anche per noi è possibile riaprirci alla vita e alla speranza che Gesù non è solamente “il crocifisso”, ma prima di tutto è “il Risorto” e che la vita prevale sulla morte fuori di noi e dentro di noi.

E’ Pasqua comunque, anche in questo nostro mondo così appesantito dalle guerre che sembrano rigenerarsi continuamente, e quando una finisce subito un’altra esplode. E’ Pasqua comunque, perché c’è sempre chi crede nella pace e imbraccia le armi del dialogo.

E’ Pasqua comunque, anche se facciamo i conti con le nostre debolezze ed errori o quando chi ci sta vicino ci delude nelle aspettative. E’ Pasqua comunque perché il perdono e l’amore sono capaci di cose straordinarie e sono la leva più potente per spostare le pietre più pesanti e impossibili nel cuore.

E’ Pasqua comunque, anche se la comunità dei cristiani, la Chiesa, sembra talvolta essere lontana dai valori che predica e celebra, e diventa magari spazio di potere e divisioni. E’ Pasqua comunque, perché Gesù risorto ha voluto come testimoni proprio uomini e donne normali e veri, quindi imperfetti come lo siamo anche noi oggi. E questi uomini e donne di allora pur dovendo far fronte ai loro stessi dubbi, paure e limiti, non si sono scoraggiati nel portare avanti nei secoli questo annuncio che cambia la storia umana e la storia di ogni singolo uomo sulla terra: “Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto”

Ed è Pasqua comunque proprio là in Galilea, cioè in ogni luogo del mondo anche quello apparentemente più distante da Dio, perché dove c’è un uomo o una donna che cercano la vita e si impegnano ad amare, li è Pasqua, sempre!

Giovanni don

 

 

Sabato Santo

Al contemplarti già morto, Signore,

la Madre pura piangendo esclamava:

«Non ti attardare, mia Vita, tra i morti».

 

Ti scese morto Giuseppe dal legno

ti pose, o Verbo, nel suo monumento:

risorgi, o Dio, e vieni a salvarci!

Nuovo è il sepolcro in cui t’hanno deposto

per rinnovare la nostra natura,

divinamente sorgendo da morte.

 

«Sali incorrotto dall’Ade, o mia Vita,

tu che tra i morti incedi Vivente,

del tetro inferno frangendo le porte

Ti sei nascosto sotterra, Signore,

e della morte la notte ti copre:

ma come Sole glorioso riappari.

 

Benché rinchiuso in un angusto sepolcro

tutto il creato, Gesù, ti proclama

vero Sovrano qui in terra e in cielo.

 

«Quando di nuovo potrò in te gioire,

eterna Luce, tu gioia del cuore?»

geme implorando la Madre di Dio.

 

Per tuo volere la tomba t’accoglie,

vivente Verbo, e sorgendo da morte

richiamerai dal sonno i mortali.

 

Grano sepolto in un lembo di terra,

farai fiorire abbondante la messe,

risuscitando da morte i tuoi figli.

 

Fiumi di lacrime effonde la Madre

al monumento ove giaci sepolto;

ti grida: «Sorgi, perché l’hai promesso».

 

Ritorna presto, Signore, tra i vivi,

per dissipare l’affanno profondo

di lei che, Vergine, t’ha generato.

 

«Madre, non piangere sopra di me,

pensando chiuso in un buio sepolcro

l’eterno Figlio che desti alla luce:

risorgerò con potenza e splendore

e innalzerò fino a gloria immortale

chi per amore e con fede ti canta».

(Tropario bizantino)

th(2)

 

Venerdì Santo

 

Dio Redentore, eccoci alle porte della fede,

eccoci alle porte della morte,

eccoci di fronte all’albero della croce.

Solo Maria resta in piedi

nell’ora voluta dal Padre, nell’ora della fede.

Tutto è compiuto,ma, allo sguardo umano,

a sconfitta sembra completa.

Sul ruvido legno della croce, tu fondi la chiesa:

affidi Giovanni come figlio

a tua madre, e tua madre, da questo momento

entra nella casa di Giovanni.

Tutto è compiuto. Tu hai dato la vita,

apri il nostro cuore a questo dono totale.

Sul legno hai elevato tutto a te.

O Signore,

disceso dalla croce raggiungi l’uomo in lacrime,

per dirgli che l’hai amato fino in fondo.

(Romano Guardini)

crocifissione

 

GIOVEDÌ SANTO

La cena è pronta

ti siedi e ancora speri

che il calice amaro

possa passare oltre,

le Scritture debbono compiersi

ma ancora non sei pronto

hai paura e tristezza

chi hai amato, accolto

conosciuto

ti manderà dal boia

lo sai e non vuoi

averne la certezza.

 

Con occhi soffusi di lacrime

guardi Giuda e poi Pietro

entrambi ti tradiranno

chi per denaro

chi per viltà

e tu sei lì ad attendere

un gesto

che non ti faccia capire

che hai deposto male

il tuo messaggio.

 

Le ore si consumano

come quel Pane che tu stai spezzando

vorresti che tutto fosse terminato

vorresti urlare e abbandonare

gli uomini che ti deridono

che non ti credono

che non si fidano.

 

Gesù

dopo milioni di anni

l’odio è più forte

del tuo amare incondizionato

lasciaci lì

non meritiamo la tua sofferenza

lasciaci soffrire

perchè siamo duri di cuore

e stolti e ingrati,

tu sei l’Agnello innocente

e il mattatoio ti attende

per ridarci speranza

che non meritiamo

e che troppi non desiderano.

(m. A. Mantovani) duccio-ultima-cena

Oggi ti ho incontrato

Oggi Ti ho incontrato, ma ho cambiato strada,
perché avevo fretta.
Ho sentito che avevi bisogno, ma mi sono voltato dall’altra parte,
per paura.
Ho visto i Tuoi occhi tristi, ma ho deviato lo sguardo,
per pigrizia.
Ogni giorno Ti tradiamo, Signore.
E Tu soffri per noi.
Ti preghiamo: perdonaci, e rendi i nostri cuori
capaci di sfruttare le infinite “seconde possibilità”
che ci offri nel tuo immenso Amore.
Affinché sappiamo amarTi ed esserTi amici
cominciando ad amare il fratello accanto a noi.

(Anonimo)