Passato,presente,futuro

Spesso ci sentiamo insoddisfatti della nostra vita, vorremmo essere qualcun altro, fare cose diverse. Pensiamo al nostro passato, ai doni che abbiamo ricevuto ma che allora abbiamo sottovalutato, ma che ora sono cambiati. Pensiamo al futuro, che nutriamo di illusioni e che vorremmo comandare noi, abbiamo paura degli eventuali cambiamenti che non ci aspetteremmo. Ma al presente, ci pensiamo?

Quando ti senti così, pensa che l’attimo che stai vivendo è un dono di Dio. Adesso, ora, oggi, lui sta pensando a te, ha bisogno di te, vuole dirti tante cose e affidarti una missione.

Se pensi al passato: ringrazia Dio per i doni che ti ha dato, prega per chi ti ha amato e per chi ti ha ferito. Non spaventarti dei tuoi sbagli, piuttosto impara da essi. Fanne uno scalino che ti porta in alto anziché che ti fa inciampare. A volte dopo uno sbaglio capisci ciò che conta veramente nella vita, e da quella Mano che ti aiuta a rialzarti nasce un rapporto diverso, che magari prima non sarebbe stato così, perché avresti avuto un cuore troppo orgogliosi di te, per fare entrare pienamente Gesù nella tua vita.

Se pensi al futuro: affidalo a Dio. Lui è lassù in cielo, e da lassù vede più lontano di quanto vedi tu quaggiù. Lui fin dall’eternità ha pensato il meglio per te. Non ti abbandona nel momento della prova.

Se pensi al presente: vivilo! è un dono. Ovunque tu sia adesso, se sei con Gesù sei sempre la persona giusta, nel posto giusto, nel momento giusto. Perché è adesso che Gesù ha bisogno di te per portare agli altri il Suo Amore. Ne ha avuto bisogno ieri e ne avrà bisogno domani, ma in particolar modo oggi.

Ieri è passato, domani non c’è ancora, oggi è qui. E’ oggi che costruisci il tuo passato e prepari il tuo futuro.

“Non temete, Io sono con voi!” (Gesù).

(Anonimo)

Apri a noi la tua porta

Apri a noi la tua porta, Signore, 
e da te, come dal giorno, 
io sarò illuminato. 
Alla luce canterò la tua gloria. 

Al mattino mi risveglio 
per lodare la tua divinità 
e mi affretto 
per impregnarmi della tua Parola. 

Con il giorno la tua luce 
brilli sui nostri pensieri, 
e le tenebre dell’errore 
siano cacciate dalle nostre anime. 

Tu che rischiari ogni creatura, 
rischiara anche i nostri cuori 
perché ti diano lode 
lungo tutto il fluire dei giorni.

(Giacomo di Sarug)

la fede professata con l’amore

amare con i baci (colored)

Quando Giuda fu uscito , Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
(dal Vangelo di Giovanni 13,31-35)

Qualche giorno fa sono stato invitato a cena da una famiglia della parrocchia. Se non diventavo prete forse avrei intrapreso studi d’arte o achitettura, e quindi ammetto di essere sempre un po’ curioso di vedere come le persone sistemano e arredano la propria abitazione. Entrando in quella casa, come mi succede anche altre volte, mi sono guardato rapidamente attorno. Una casa normalissima, in un appartamento medio simile a tanti altri di recente costruzione. Non ricordo di aver visto grandi crocifissi o immagini religiose alle pareti o sui mobili. La famiglia che mi ha accolto è una di quelle che frequentano la parrocchia assiduamente, ma non c’era alcuna grande immagine che dicesse esplicitamente che era una famiglia cristiana. Forse osservando meglio avrei visto qualche crocifisso o quadro della Madonna appeso, ma sinceramente non me lo ricordo. Ricordo invece benissimo il calore dell’accoglienza. Fin da subito mi sono sentito parte della famiglia. Anzi l’accoglienza è iniziata fin dall’invito che ho accettato volentieri qualche giorno prima. E durante la serata ho notato un armonia tra i componenti che mi ha davvero messo a mio agio.
Sono uscito molto rasserenato e contento di avere una famiglia così a far parte attiva della comunità.
Ovviamente non è l’unica famiglia che conosco della parrocchia, e altre volte ho fatto visita a famiglie che mi hanno dimostrato una grande stima e cura nei miei confronti, ma mi è venuto in mente questo semplice episodio rileggendo le parole che Gesù rivolge ai suoi amici: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
Quale è il segno distintivo di un cristiano? Una croce al collo? Una immagine religiosa più o meno grande appesa alle pareti di casa? Dalle parole di Gesù la risposta appare semplicemente chiara: dimostro il mio legame con Gesù nella misura in cui amo il prossimo. Una comunità (quella piccola famigliare come quella grande di una parrocchia) mostra la propria fede in Gesù dalla capacità di coltivare amore reciproco al suo interno.
In quella famiglia dove sono stato a cena, forse non ho notato immagini religiose perché quasi subito sono stato “rapito” dalla loro gentilezza e accoglienza che mi ha fatto dimenticare il resto come veramente superfluo.
Gesù pronuncia queste parole, in uno dei momenti più drammatici della sua vita: l’ultima cena. Ha appena lavato i piedi dei suoi discepoli con un gesto concretissimo di servizio (quello dello schiavo che lava i piedi impolverati dei suoi padroni) e ha appena visto uscire nella notte l’amico Giuda di cui conosce il tradimento in atto. Gesù rimane fedele al suo progetto di amore, e non si lascia scoraggiare dalle durezze dei suoi amici, infatti non solo Giuda ma anche gli altri non saranno meno traditori quando lo abbandoneranno da solo sulla croce. Gesù rimane fedele ed è questo l’amore che insegna ai suoi: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.

Il “come” che Gesù insegna è proprio questa fiducia nella possibilità di amare in modo vero e pieno. Tante volte siamo tentati di non credere a questo amore. I fallimenti e le delusioni, i tradimenti e ferite ricevute, ci spingono ad una chiusura che è pericolosa. Per questo ci fa bene riascoltare le parole dette da Gesù ai suoi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”. Il comandamento di Gesù è “nuovo” nel senso che rinnova la vita personale e comunitaria. E’ il comandamento migliore e riassuntivo di tutti gli altri. San Paolo dirà che senza amore anche il più grande sforzo umano e le più grandi gesta non servono a nulla (vedi prima lettera ai Corinti capitolo 13)
Questo è dunque il vero segno distintivo del cristiano e della comunità dei credenti.
Nei secoli le comunità cristiane hanno fatto troppo spesso a gara nel costruire segni sempre più grandi e magnifici della propria identità. Questo ha prodotto opere d’arte di una bellezza smisurata, ma non è certo in queste opere materiali che possiamo confidare per continuare a trasmettere la fede e la testimonianza di Gesù.
Ce lo dice Gesù in modo molto diretto e sorprendentemente attuale: da come vi amate mostrate al mondo chi sono io e il vostro legame con me.
E l’amore davvero supera ogni barriera, anche quella a volte restringente dei simbolismi religiosi. Amando e prendendomi cura del prossimo non solo testimonio la mia fede in Gesù, ma mi fa incontrare Gesù in ogni uomo che come me cerca di amare, di qualsiasi cultura razza e religione appartenga.

Giovanni don

La vera disabilità

La vera disabilità
è quella dell’anima
che non comprende,
quella dell’occhio
che non vede i sentimenti,
quella dell’orecchio
che non sente le richieste d’aiuto.
Solitamente, il vero disabile è colui che,
additando gli altri, ignora di esserlo.

(G. Rovini)

Vorrei salire in alto

Vorrei salire molto in alto, Signore, 
sopra la mia città, sopra il mondo, sopra il tempo. 
Vorrei purificare il mio sguardo e avere i tuoi occhi. 
Vedrei allora l’universo, l’umanità, la storia, 
come li vede il Padre. 
Vorrei la bella, eterna idea d’amore del tuo Padre 
che si realizza progressivamente: 
tutto ricapitolare in te, le cose del cielo e della terra. 
E vedrei che, oggi come ieri, i minimi particolari 
vi partecipano, 
ogni uomo al suo posto, ogni gruppo ed ogni oggetto. 
Vedrei la minima particella di materia e il più piccolo 
palpito di vita; 
l’amore e l’odio, il peccato e la grazia. 
Commosso, comprenderei che dinanzi a me 
si svolge la grande avventura d’amore 
iniziata all’alba del mondo. 
Comprenderei che tutto è unito insieme, 
che tutto non è che un minimo movimento 
di tutta l’umanità e di tutto l’universo verso la Trinità, 
in te e per te, Signore.

(M. Quoist)

Cristiani terrestri

Ci sono cristiani scalatori di paradiso e ci sono cristiani “terrestri”. Questi aspettano che il paradiso discenda in loro e li scavi secondo misura.

La misura del paradiso in noi è il compimento preciso e generoso del nostro dovere quotidiano.

Questo dovere che è il contrario di ciò che si potrebbe chiamare spirito di avventura, spirito di ricerca.

Esso libera alla visita di Dio la piccola particella di umanità che noi siamo e ci stabilisce in una legge di amore.

Compiere il proprio dovere quotidiano è accettare di rimanere dove si è, perché il regno di Dio giunga fino a noi e si estenda su questa terra che noi siamo.

E’ accettare con un’obbedienza magnanima la materia di cui siamo fatti, la famiglia di cui siamo membri, la professione in cui lavoriamo, il popolo che è il nostro, il continente che ci circonda, il mondo che ci serra, il tempo in cui viviamo.

Perché il dovere di stato non è quell’obbligo meschino di cui si parla talvolta. E’ il debito del nostro stato di essere carnali, di figli o di padri, di funzionari, di padroni, di operai, di commercianti; di francesi, di europei, di “cittadini del mondo”, di uomini d’oggi.

E il saldo di questo debito, versato integralmente, soldo a soldo, ogni minuto, farebbe di noi dei giusti.

Sarebbe un lungo viaggio fare il giro del dovere così considerato.

Noi ci contenteremo di percorrerne, con lo sguardo, alcune tappe.

(M. Delbrel)

Vita comunitaria

La vita comune può diventare una vera scuola in cui si cresce nell’amore; è la rivelazione della diversità, anche di quella che ci da fastidio e ci fa male; è la rivelazione delle ferite e delle tenebre che ci sono dentro di noi, della trave che c’è nei nostri occhi, della nostra capacità di giudicare e di rifiutare gli altri, delle difficoltà che abbiamo ad ascoltarli e ad accettarli. Queste difficoltà possono condurre a tenersi alla larga dalla comunità, a prendere le distanze da quelli che danno fastidio, a chiudersi in se stessi rifiutando la comunicazione ad accusare e a condannare gli altri; ma possono anche condurre a lavorare su se stessi per combattere i propri egoismi e il proprio bisogno di essere al centro di tutto, per imparare a meglio accogliere, comprendere e servire gli altri. Così la vita in comune diventa una scuola di amore e una fonte di guarigione. L’unione di una vera comunità viene dall’interno, dalla vita comune e dalla fiducia reciproca; non è imposta dall’esterno, dalla paura. Deriva dal fatto che ciascuno è rispettato e trova il suo posto: non c’è più rivalità. Unita da una forza spirituale, questa comunità è un punto di riferimento ed è aperta agli altri; non è elitista o gelosa del proprio potere. Desidera semplicemente svolgere la propria missione insieme ad altre comunità, per essere un fattore di pace in un mondo diviso.

(J. Vanier)

Gesù o il sergente Hartman?

Signore pastore (colored)

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
(dal Vangelo di Giovanni 10,27-30)

Stavolta la forbice della liturgia ha un po’ esagerato nel ritagliare il passo del vangelo di questa domenica. Le parole di Gesù riportate dal brano che viene letto nella messa domenicale rischiano di rimanere incomprensibili se non collocate in un contesto di racconto più ampio.
E’ fondamentale conoscere che Gesù dice le cose riportate nel Vangelo mentre si trova nel Tempio, la massima espressione fisica della tradizione ebraica, luogo che Gesù più volte, da buon ebreo, frequenta con i suoi discepoli, e nel quale però avrà gli scontri più duri con i suoi avversari. In questo caso l’evangelista Giovanni racconta che Gesù sta camminando nel Tempio durante una delle feste più importanti, la festa della Dedicazione. I Giudei lo accerchiano facendogli un vero e proprio pressing, dicendogli:” Fino a quando ci terrai nell’incertezza (letteralmente “ci toglierai la vita”)? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente!”.
Gesù con il suo agire e con le sue parole sta davvero mettendo in discussione tutto il sistema religioso del suo tempo. Con segni miracolosi e parole sta mostrando una via inedita a Dio, una via che non passa dal potere e dal controllo delle persone con la paura, ma passa dall’amore, dalla misericordia, dal prendersi cura del debole e dalla non esclusione di nessuno. Questo non può non preoccupare chi invece ha invece ridotto l’adesione a Dio ad una serie infinita di regole e di criteri più di esclusione che di inclusione.
Chi è dunque Gesù? Che Dio sta predicando? In che cosa è pericoloso?
La prima cosa che Gesù fa è mettere i suoi accusatori davanti alla loro stessa durezza spirituale: pensano di difendere Dio ma in realtà lo stanno abbandonando e non lo ascoltano. Gesù invece si mostra come segno concreto di Dio Padre che raduna tutti gli uomini come un gregge di pecore, e che non seguono il pastore per paura, ma perché sanno che il loro pastore le ama e ne conoscono la dedizione totale verso di loro.
Le parole di Gesù rivolte a questi Giudei rimbalzano sulla loro durezza e arrivano a noi oggi. I Giudei infatti cercheranno di metterlo a morte come bestemmiatore (si fa uguale a Dio!). Ed è vero che Gesù bestemmia!
Gesù bestemmia e rinnega il dio finto e violento dei suoi avversari, che hanno reso il Dio onorato nel grande Tempio un dio-lupo sterminatore di pecore, e non un Dio Pastore così come lo annuncia e mostra Gesù stesso con la sua vita.
Full_Metal_Jacket
Uno dei film sulla guerra più duri e violenti è “Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick . Una delle scene più viste e riviste in internet è quella del sergente Hartman che accoglie e inizia ad istruire le giovani reclute dei marines. E’ una scena di una violenza psicologica assoluta, le parole costantemente urlate e volgari di colui che deve fare da maestro e istruttore ai giovani soldati, hanno lo scopo di far sentire questi ultimi totalmente sottomessi e umanamente degradati. Infatti lo scopo finale dell’addestramento è creare macchine umane da guerra, prive di umanità e sottomesse nella paura. Ho pensato a questa scena mentre cercavo di capire cosa significa nel Vangelo: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. La parola “pecora” non mi è mai piaciuta, perché mi fa immaginare la totale rinuncia di se e quasi la negazione del proprio valore e unicità… Ma ovviamente nel contesto del Vangelo assume tutto un altro valore e significato. Gesù non è certo il sergente Hartman del film di Kubrick, per il quale tutti per lui sono uguali, cioè non valgono niente (non dice proprio così…eheh), ma al contrario si prende cura della mia singolarità e di quella di ogni uomo riconoscendone il valore estremo. E la misura del nostro valore è data proprio dalla sua disponibilità a dare la vita per me. Quando guardo il crocifisso non vedo solo il sacrificio eroico di un uomo, ma la misura del mio valore e del valore delle persone che ho accanto, anche di quelle che secondo me valgono poco o che, sbagliando, disprezzo… Se Gesù e Dio Padre sono una cosa sola, dello stesso valore, allora anche io ho un valore immenso e anche qualsiasi uomo.
Come Chiesa siamo chiamati a continuare questo stile di reciproca cura, e a mostrare con i fatti (non solo a parole) la cura di Gesù pastore, che si fa amare dalle pecore, tutte le pecore (anche quelle nere e quelle che si perdono….) e che per loro è pronto a dare tutto se stesso.
Questo è uno stile che sembra una bestemmia nel nostro mondo (che preferisce in fondo in fondo lo stile del sergente Hartman)… ma è lo stile di Gesù, il nostro stile di cristiani.

Giovanni don

Sulla pace

E allora, o fratelli, osserviamo i comandamenti che ci danno la vita; la fraternità sia tenuta ben unita con i legami di una pace profonda; sia tenuta ben stretta con il vincolo salutare dell’amore che copre un gran numero di peccati. Noi dobbiamo abbracciare con tutti i nostri desideri l’amore che ha un premio speciale per ognuno dei suoi aspetti buoni. La pace si deve custodire più di tutte le altre virtù, perché Dio é sempre nella pace. Amate la pace e tutto sarà tranquillo. La vostra pace per noi sarà un premio, per voi una gioia e la Chiesa di Dio, fondata nell’unità della pace, potrà godere di una coesione perfetta in Cristo.

(S. Pietro Crisologo)

Mi presento: sono il Silenzio

Per favore. Lasciatemi, una volta tanto, prendere la parola. 
Lo so che è paradossale che il silenzio parli. E’ contrario al mio carattere schivo e riservato. 
Però sento il dovere di parlare: voi uomini non mi conoscete abbastanza! 
Ecco, quindi, qualcosa di me. 
Intanto le mie origini sono assolutamente nobili. 
Prima che il mondo fosse, tutto era silenzio. Non un silenzio vuoto, no, ma traboccante. 
Così traboccante che una parola sola detta dentro di me ha fatto tutto! 
Poi, però, ho dovuto fare i conti con una lama invisibile che mi taglia dentro: il rumore! 
Ebbene lasciate che ve lo dica subito: non immaginate cosa perdete ferendomi! Il baccano non vi dà mai una mano! 
Io, invece, sì. 
Io sono un’officina nella quale si fabbricano le idee più profonde, dove si costruiscono le parole che fanno succedere qualcosa. 
Io sono come l’uovo del cardellino: la custodia del cantare e del volare. Simpatico, no? 
Io segno i momenti più belli della vita: quello dei nove mesi, quello delle coccole, quello dello sguardo degli innamorati… 
Segno anche i momenti più seri: i momenti del dolore, della sofferenza, della morte. 
No, non mi sto elogiando, ma dicendo la pura verità. 
Io mi inerpico sulle vette ove nidificano le aquile. Io scendo negli abissi degli oceani. Io vado a contare le stelle… 
Io vi regalo momenti di pace, di stupore, di meraviglia. 
Io sono il sentiero che conduce al paese dell’anima. Sono il trampolino di lancio della preghiera. Sono, addirittura, il recinto di Dio!
Ecco qualcosa di me. 
Scusatemi se ho interrotto i vostri rumori e le vostre chiacchiere. 
Prima di lasciarci, però, permettete che riassuma tutto in sole quattro parole: 
Custoditemi e sarete custoditi! 
Proteggetemi e sarete protetti! 

Dal vostro primo alleato 
Il Silenzio

(P. Pellegrino)