La mela

Ogni mattina, il potente e ricchissimo re di Bengodi riceveva l’omaggio dei suoi sudditi. Aveva conquistato tutto il conquistabile e si annoiava un po’.

In mezzo agli altri, puntuale ogni mattina, arrivava anche un silenzioso mendicante, che porgeva al re una mela. Poi, sempre in silenzio, si ritirava.

Il re, abituato a ricevere ben altri regali, con un gesto un po’ infastidito, accettava il dono, ma appena il mendicante voltava le spalle cominciava a deriderlo, imitato da tutta la corte.

Il mendicante non si scoraggiava.

Tornava ogni mattina a consegnare nelle mani del re il suo dono.

Il re lo prendeva e lo deponeva macchinalmente in una cesta posta accanto al trono.

La cesta conteneva tutte le mele portate dal mendicante con gentilezza e pazienza. E ormai straripava.

Un giorno, la scimmia prediletta del re prese uno di quei frutti e gli diede un morso, poi lo gettò sputacchiando ai piedi del re. Il sovrano, sorpreso, vide apparire nel cuore della mela una perla iridescente.

Fece subito aprire tutti i frutti accumulati nella cesta e trovò all’interno di ogni mela una perla.

Meravigliato, il re fece chiamare lo strano mendicante e lo interrogò.

“Ti ho portato questi doni, sire – rispose l’uomo -, per farti comprendere che la vita ti offre ogni mattina un regalo straordinario, che tu dimentichi e butti via, perché sei circondato da troppe ricchezze. Questo regalo è il nuovo giorno che comincia”.

(B. Ferrero)

Da domani sarò triste, da domani.
Ma oggi sarò contento,
a che serve essere tristi, a che serve.
Perché soffia un vento cattivo.
Perché dovrei dolermi, oggi, del domani.
Forse il domani è buono, forse il domani è chiaro.
Forse domani splenderà ancora il sole.
Da domani sarò triste, da domani.
e ad ogni amaro giorno dirò,
da domani, sarò triste,
Oggi no.

(Poesia di un ragazzo trovata in un Ghetto nel 1941)

3664902

L’arcobaleno

Nella nostra vita non c’è niente di preconfezionato, ogni cosa ce la dobbiamo costruire con i vari colori che formano la realtà.

Il BIANCO è il colore principale che servirà come base. È la quotidianità, il voler costruire, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, la tua vita, che è unica e insostituibile.

Poi c’è il ROSSO che ci ricorda il sangue, la lotta, la passione, la sofferenza, i sacrifici… Sì, lo so, che quest’ultima parola non va di moda, ma è comunque essenziale.

Ecco L’AZZURRO che ricorda il cielo, la serenità, la gioia, la condivisione… l’allegria dello stare insieme agli altri.

Il giallo è il colore del successo, del benessere del pane abbondante che ci viene donato ogni giorno.

Il VIOLA è il colore della riflessione, del silenzio, della meditazione… del trovare noi stessi.

Poi c’è il VERDE il colore della natura, della speranza, dei passaggi, dell’attesa, della risurrezione… della vita.

L’ ARANCIONE è la capacità di rinnovarsi, di affrontare le cose in modo nuovo, vincendo la noia e la ripetitività di ogni giorno.

Ecco, prendi tutti questi colori e con essi vedi di dipingere l’affresco della tua vita. Non pensare che sarà un lavoro semplice, e nemmeno che te la caverai facilmente. L’affresco finirà solo con la tua vita; ma è nelle sapiente combinazione di questi colori che troverai ciò che hai sempre desiderato.

Come in natura i colori si uniscono formando un unico arcobaleno, così il Dio della vita, fedele alle sue promesse di alleanza, ci invita a divenire UNO in Lui armonizzando le nostre ricchezza doni, diversità e carismi. Questo è l’affresco che siamo chiamati a dipingere.

(anonimo)

20140818_10_21_47

la donna cananea che <> Gesù

La straniera delle briciole, uno dei perso­naggi più simpatici del Vangelo, mette in scena lo strumento più potente per cam­biare la vita: non idee e nozioni, ma l’incontro. Se noi cambiamo poco, nel corso dell’esisten­za, è perché non sappiamo più incontrare o in­contriamo male, senza accogliere il dono che l’altro ci porta.

Gesù era uomo di incontri, in ogni incontro rea­lizzava una reciproca fecondazione, accendeva il cuore dell’altro e lui stesso e ne usciva tra­sformato, come qui. Una donna di un altro pae­se e di un’altra religione, in un certo senso, «con­verte» Gesù, gli fa cambiare mentalità, lo fa scon­finare da Israele, gli apre il cuore alla fame e al dolore di tutti i bambini, che siano d’Israele, di Tiro e Sidone, o di Gaza: la fame è uguale, il do­lore è lo stesso, identico l’amore delle madri. No, dice a Gesù, tu non sei venuto per quelli di I­sraele, tu sei Pastore di tutto il dolore del mondo.

Anche i discepoli partecipano: Rispondile, così ci lascia in pace. Ma la posizione di Gesù è mol­to netta e brusca: io sono stato mandato solo per quelli della mia nazione, per la mia gente. La donna però non molla: aiutami! Gesù replica con una parola ancora più ruvida: Non si toglie il pane ai figli per gettarlo ai cani. I pagani, dai giudei, erano chiamati «cani». E qui arriva la ri­sposta geniale della madre: è vero, Signore, ep­pure i cagnolini mangiano le briciole che cado­no dalla tavola dei loro padroni. È la svolta del racconto. Questa immagine illumina Gesù. Nel regno di Dio, non ci sono figli e no, uomini e ca­ni. Ma solo fame e figli da saziare, anche quelli che pregano un altro Dio.

Donna, grande è la tua fede! Lei che non va al tempio, che prega un altro Dio, per Gesù è don­na di grande fede. La sua grande fedesta nel cre­dere che nel cuore di Dio non ci sono figli e ca­ni, che Lui prova dolore per il dolore di ogni bambino, che la sofferenza di un figlio conta più della sua religione. Non ha la fede dei teo­logi, ma quella delle madri che soffrono. Cono­sce Dio dal di dentro, lo sente all’unisono con il suo cuore di madre, lo sente pulsare nel profondo delle sue piaghe. E sa che Dio è felice quando vede una madre, qualsiasi madre, ab­bracciata felice alla carne della sua carne, finalmente guarita.

Avvenga per te come desideri. Gesù ribalta la do­manda della madre, gliela restituisce: Sei tu e il tuo desiderio che comandate. La tua fede è co­me un grembo che partorisce il miracolo: av­venga come tu
desideri. Matura, in questo racconto, un sogno di mon­do da far nostro: la terra come un’unica grande casa, una tavola ricca di pane, e intorno tanti fi­gli. Una casa dove nessuno è disprezzato, nes­suno ha più fame .

(E. Ronchi)

 

la can2

i due abeti

Una pigna gonfia e matura si staccò da un ramo di abete e rotolò giù per il costone della montagna, rimbalzò su una roccia sporgente e finì con un tonfo in un avvallamento umido e ben esposto. Una manciata di semi venne sbalzata fuori dal suo comodo alloggio e si sparse sul terreno. “Urrà!” gridarono i semi all’unisono. “Il momento è venuto!” Cominciarono con entusiasmo ad annidarsi nel terreno, ma scoprirono ben presto che l’essere in tanti provocava qualche difficoltà. “Fatti un po’ più in là, per favore!”. “Attento! Mi hai messo il germoglio in un occhio!”. E così via. Comunque, urtandosi e sgomitando, tutti i semi si trovarono un posticino per germogliare. Tutti meno uno. Un seme bello e robusto dichiarò chiaramente le sue intenzioni: “Mi sembrate un branco di inetti! Pigiati come siete, vi rubate il terreno l’un con l’altro e crescerete rachitici e stentati. Non voglio avere niente a che fare con voi. Da solo potrò diventare un albero grande, nobile e imponente. Da solo!”. Con l’aiuto della pioggia e del vento, il seme riuscì ad allontanarsi dai suoi fratelli e piantò le radici, solitario, sul crinale della montagna. Dopo qualche stagione, grazie alla neve, alla pioggia e al sole divenne un magnifico giovane abete che dominava la valletta in cui i suoi fratelli erano invece diventati un bel bosco che offriva ombra e fresco riposo ai viandanti e agli animali della montagna. Anche se i problemi non mancavano. “Stai fermo con quei rami! Mi fai cadere gli aghi”. “Mi rubi il sole! Fatti più in là…”. “La smetti di scompigliarmi la chioma?”. L’abete solitario li guardava ironico e superbo. Lui aveva tutto il sole e lo spazio che desiderava. Ma una notte di fine agosto, le stelle e la luna sparirono sotto una cavalcata di nuvoloni minacciosi. Sibillando e turbinando il vento scaricò una serie di raffiche sempre più violente, finché devastante sulla montagna si abbattè la bufera. Gli abeti nel bosco si strinsero l’un l’altro, tremando, ma proteggendosi e sostenendosi a vicenda. Quando la tempesta si placò, gli abeti erano estenuati per la lunga lotta, ma erano salvi. Del superbo abete solitario non restava che un mozzicone scheggiato e malinconico sul crinale della montagna. Dio non ha creato “io”. Ha creato “noi”. rosso

Maria la donna che corre con l’umanità

Assunta 2014 (colored)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua
(dal Vangelo di Luca 1,39-56)

Maria corre da Elisabetta per verificare il segno che l’angelo le ha dato la notte dell’annunciazione. Maria probabilmente è spinta da sentimenti contrastanti, che il racconto di Luca ci fa intravedere e che noi, lettori di oggi, possiamo immaginare cercando di immedesimarci in lei.
Corre con un sentimento di smarrimento, perché quello che le è stato annunciato è davvero più grande di lei. Ha accettato di diventare madre terrena del Figlio di Dio che entra nel mondo, ma non senza dubbi, paure e fatiche interiori. Maria dunque si alza e da Nazareth corre in questa misteriosa città di Giuda.il fatto che questa città sia così indeterminata sembra rappresentare le molteplici mete che tutti gli uomini e donne del mondo e della storia cercano di raggiungere, carichi anch’essi dello smarrimento e paura di Maria.
Maria ha sicuramente paura, perché la paura non è un peccato ed è un sentimento umanissimo. La paura è anche quell’istinto che ci preserva da tanti pericoli e ci fa essere cauti e attenti nell’affrontare l’ignoto. Maria ha paura di non trovare nulla di tutto quello che le è stato dato come prova di Dio. Ma insieme alla paura ha anche sentimenti di speranza e coraggio, senza i quali non sarebbe uscita dalla porta della sua sicura casa della Galilea.
In questi giorni abbiamo visto attraverso i mezzi di comunicazione le migliaia di uomini, donne e bambini cristiani e anche di altre minoranze religiose, che dalle regioni più interne dell’Iraq corrono via spaventati dalla terribile minaccia di morte degli estremisti islamici. E sappiamo che questa corsa per moltissimi di loro è stata inutile, perché la morte più terribile li ha raggiunti. Abbiamo visto anche la corsa degli abitanti di Gaza stretti nella morsa della guerra tra Hamas e Israele, e che non sanno davvero dove fuggire per evitare morte e distruzione. E non finisce la corsa di migliaia di profughi e stranieri che si imbarcano su fragili imbarcazioni per fuggire dalla fame e dalle guerre cercando rifugio sulle nostre coste europee.
Ma anche più distante in Africa e in Asia, altre migliaia di persone non fermano la loro corsa di sopravvivenza, tra guerre, povertà, epidemie.
La nostra umanità è segnata da questa corsa piena di paura e smarrimento, come Maria, ma anche con voglia di vivere e la speranza di un futuro migliore.
La corsa di Maria termina nell’incontro gioioso con Elisabetta, che le conferma con un semplice saluto, che tutte le sue paure, incertezze e dubbi possono scomparire. “Benedetta tu fra le donne”, si sente dire alle orecchie e al cuore.
E dalla certezza interiore che davvero Dio l’ha riempita della sua grazia, Maria pronuncia un inno che va oltre la sua situazione personale e attraversa i secoli.
Il canto del Magnificat vede un mondo nuovo, libero da ingiustizie, povertà, e odio e pieno dell’amore di Dio e della felicità e solidarietà tra i popoli.
Il Magnificat di Maria è pronunciato per la nostra umanità di oggi, specialmente quella segnata dalle violenze e sofferenze più grandi.
Noi cristiani che ascoltiamo e preghiamo con queste parole di Maria, ci impegniamo a far sì che non siano parole vane e promesse inutili scritte su antichi libri.
Noi cristiani crediamo che davvero il Signore guarda l’umiltà dei più piccoli e che vuole rivoluzionare il mondo, dando da mangiare agli affamati, innalzando gli umili, soccorrendo ogni uomo e donna….
Noi cristiani non possiamo non impegnarci a cambiare il mondo così come Maria, ispirata da Dio, ha pronunciato quella sera nella città di Giuda insieme con Elisabetta.

Giovanni don

Un padre ai suoi figli…

Un padre orientale, ormai al passo supremo della vita, così si rivolse ai suoi figli:

“Figli cari, abbiate un sogno! Abbiate un bel sogno, il sogno di tutta la vita.

La vita umana che ha un sogno è lieta. Una vita che segue un sogno si rinnova di giorno in giorno.

Figli miei cari, abbiate un sogno, passate la vita cercando di realizzare quest’unico sogno, senza distogliervi lo sguardo, senza sostare, avanzando sempre sulla stessa strada.

Ma ricordate: se questo sogno sarà piccolo, anche il frutto della vostra vita sarà piccolo; se questo sogno sarà basso, anche la vostra vita sarà meschina.

Ma se il vostro sogno sarà bello, sarà grande, sarà originale, anche la vostra vita sarà bella, grande, originale.

Un sogno così non può avere di mira l’interesse egoistico; il vostro dev’essere un sogno che mira a rendere liete non soltanto le persone tutte, ma l’intera umanità, anche quelli che verranno dopo di voi.

Se il vostro sogno sarà cosa che fa gioire tutta l’umanità, farà gioire anche il Signore”.

(anonimo)

l’imperatore e il tempo

Un imperatore, in punto di morte, convocò i suoi fidati generali, per dettare loro le sue ultime volontà.

Ho tre precisi desideri da esprimervi, disse:

1) che la mia bara sia trasportata a spalle, da nessun altro se non dai medici che non hanno saputo guarirmi;

2) che i tesori, gli ori e le pietre preziose conquistate ai nemici vengano sparse e disseminate a vantaggio del popolo, lungo la strada che porta alla mia tomba;

3) che le mie mani siano lasciate penzolare fuori della bara, alla chiara vista di tutti.

Uno dei generali, scioccato da queste strane ed inaudite ultime volontà del grande condottiero, chiese: Sire, qual è mai il motivo di tutto questo?

L’imperatore, con la voce ormai bassa e tremula, gli rispose:

1) voglio solo i medici a portarmi all’ultima mia dimora, per dimostrare a tutti che non hanno alcun potere di fronte alla malattia e alla morte;

2) voglio il suolo pubblico ricoperto dai miei tesori, perché la gente umile ne tragga qualche vantaggio, ma soprattutto per ricordare a tutti che i beni materiali, qui conquistati, qui restano;

3) voglio le mie mani penzolanti al vento, perché la gente capisca che a mani vuote veniamo e a mani vuote andiamo via.

Questo episodio ci ricorda e ci insegna che il regalo più prezioso che abbiamo nella nostra vita è il tempo. Possiamo conquistare, possiamo costruire case e palazzi, possiamo dipingere più quadri e scrivere più romanzi, possiamo accumulare più ricchezze, ma non possiamo produrre più tempo.

E’ per questo che, quando dedichiamo quel po’ di tempo che abbiamo e quel po’ che ci rimane a un animale, a un’idea, a una persona che amiamo, alla gente che comprendiamo e rispettiamo… facciamo una grande opera.

Il miglior regalo che possiamo fare a qualcuno è, dunque, quello di dedicargli il nostro tempo.

(anonimo)

image 1 25566619

Vivere di felicità

Vivere di felicità, ricercare la felicità è cosa bella e saggia, ma ricercare e vivere una felicità raddoppiata è cosa ancora più grande. Se non la condividi la tua felicità è una felicità sola. Se condividi la tua felicità con un’altra persona è una felicità raddoppiata, triplicata, insomma amplificata. Se si è felici in due tutto si accende, tutto raddoppia in bellezza, sapori, odori, suoni, emozioni.

(F. Marinaro)

L’amore vero

Conquistare un amore dietro un fragile equilibrio rimane sempre difficile. Bisogna essere delle colonne robuste, perché l’amore offre infinite occasioni e milioni d’impatti inarrestabili e decisamente forti per il cuore, e se si è fragili sarà difficile vivere con serenità. Ogni viaggio inizia con un primo passo, ed è il primo passo che si deve conoscere, dal primo passo si deve capire dove si vuole andare. Il bello della nostra esistenza è che viviamo ogni giorno alla ricerca di un amore che sia la copia identica della nostra anima, ci svegliamo ogni giorno con la speranza d’incontrare quegli occhi che ci trapassano l’anima, di sfiorare la sua presenza anche solo per un attimo e sentire che forse era lei, che per un millesimo di secondo l’amore vero ti è apparso come un raggio di sole in una giornata di pioggia. Insomma l’amore esiste e per strani casi della vita ti si siede accanto in un ristorante o su un metrò, e sai che finalmente l’hai incontrato, ti basta sapere che la tua esistenza si è riempita di gioia vivendo un minuto forse il più lungo al mondo accanto a lei dei tuoi sogni.

(A. Puliani)

Verso il Signore nella bellezza della fede

Subito dopo costrinse i discepoli a sa­lire sulla barca e a precederlo sull’al­tra riva, finché non avesse congedato la folla. Un passaggio commovente: Gesù fa fatica a lasciare la gente, non vuole andarse­ne finché non li ha salutati tutti, così come noi facciamo fatica a lasciare la casa di ami­ci cari dopo una cena in cui abbiamo con­diviso il pane e l’affetto.

Era stato un giorno speciale, quello, il labo­ratorio di un mondo nuovo: un fervore di so­lidarietà, un moltiplicarsi di mani, di cuori, di cure per portare il pane a tutti, la fame dei poveri saziata, era il suo sogno realizzato.

Ora, profumato di abbracci, desidera l’ab­braccio del Padre: congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare, a condividere con lui la sua gioia: sì, Padre, si può! Portare il tuo regno sulla terra si può! Un colloquio festoso, un abbraccio che dura fino quasi al­l’alba. Ora sente il desiderio di tornare dai suoi. Di abbraccio in abbraccio: così si muo­veva Gesù.

Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare… Pietro allora gli dis­se: Signore se sei tu, comandami di venire ver­so di te sulle acque. Ed egli gli disse: Vieni!

Se sei figlio di Dio… notiamo che pronuncia le stesse parole del tentatore nel deserto: se sei figlio di Dio, buttati e verranno gli ange­li. Se vuoi fare il Messia devi essere potente, conquistare gli uomini con i miracoli, di­menticare la follia della croce.

Pietro nella sua richiesta, coraggiosa e scri­teriata insieme, domanda due cose: una giu­sta e una sbagliata. Comanda che io venga verso di te, richiesta bella, perfetta: andare verso Dio! Ma poi sbaglia chiedendo di an­darci camminando sulle acque. A che cosa serve questa esibizione di potenza fine a se stessa, clamorosa ma sterile, questo inter­vento divino che non ha come scopo il be­ne delle persone? Che è all’opposto di ciò che si era verificato la sera prima, con i pani e i pesci? E infatti è un miracolo che fallisce, che non va a buon fine, e Simone inizia ad affondare. Pietro si rivela uomo di poca fede non quando è travolto dalla paura delle on­de, del vento e della notte, ma prima, quan­do chiede questo genere di segni per il suo cammino di fede.

Pietro tu andrai verso il Signore, ma non cam­minando sul luccichio illusorio di acque mi­racolose, bensì sulla strada polverosa del buon samaritano; andrai verso Gesù, ma prolungando il suo modo di vivere, di acco­gliere, di inventare strade che conducano al cuore dell’uomo. Pietro, emblema di tutti i credenti, imparerà a camminare verso un mondo nuovo contando non sulla forza di imprevedibili miracoli ma sulla forza prodi­giosa di un amore quotidiano che non si ar­rende, sulla bellezza di una fede nuda.

(P. E. Ronchi)