Dammi oggi, il pane quotidiano… Il pane della speranza, per dare speranza. Il pane della gioia, da poter spartire. Il pane dell’intelligenza, per varcare l’impossibile. Il pane del sorriso, da trasmettere agli altri. Il pane della misericordia, perché possa ricevere e dare perdono. Il pane del dolore, da condividere. Il pane della grazia, per non attaccarmi al male. Il pane della fraternità, per diventare una cosa sola con i miei fratelli. Il pane del tempo, per conoscerTi. Il pane del silenzio, per amarTi.
Ti manca una persona? Chiamala. Vuoi vedere una persona? Invitala. Vuoi che le persone ti comprendano? Spiegati. Hai delle domande? Falle. Qualcosa non ti piace? Dillo. Qualcosa ti piace? Affermalo. Vuoi qualcosa? Chiedi. Ami qualcuno? Diglielo.
Nessuno saprà cosa ti passa per la mente. È meglio esprimerlo piuttosto che aspettarselo. Hai già dei “no”, prenditi il rischio di un “sì”. Noi abbiamo questa vita… Rendiamola semplice!
Una delle più grandi provocazioni della vita spirituale è ricevere il perdono di Dio. C’è qualcosa in noi, esseri umani, che ci tiene tenacemente aggrappati ai nostri peccati e non ci permette di lasciare che Dio cancelli il nostro passato e ci offra un inizio completamente nuovo. Qualche volta sembra persino che io voglia dimostrare a Dio che le mie tenebre sono troppo grandi per essere dissolte. Mentre Dio vuole restituirmi la piena dignità della condizione di figlio, continuo a insistere che mi sistemerò come garzone. Ma voglio davvero essere restituito alla piena responsabilità di figlio? Voglio davvero essere totalmente perdonato in modo che sia possibile una vita del tutto nuova? Ho fiducia in me stesso e in una redenzione così radicale? Voglio rompere con la mia ribellione profondamente radicata contro Dio e arrendermi in modo così assoluto al suo amore da far emergere una persona nuova? Ricevere il perdono esige la volontà totale di lasciare che Dio sia Dio e compia ogni risanamento, reintegrazione e rinnovamento.
Signore da chi vuoi che andiamo?
Dove troveremo quello che ci dai tu?
Chi ci potrà accogliere senza riserve,
a braccia aperte, sempre, come fai Tu?
I soldi ci possono dare il benessere,
ma non ci possono dare la passione della vita.
La legge può condannare o assolvere,
ma solo tu Signore sai cosa c’è veramente nel cuore.
La vita di coppia può dare gioia e unione,
ma nessun affetto può spegnere la sete d’approvazione
e la ricerca infinita d’amore che ci portiamo dentro.
Lo psicologo può curare le mie ferite,
ma solo tu, Signore, mi puoi dire:
“Io ti perdono, va’ in pace, tutto è cancellato”.
Tu solo mi dici: “Va bene così, figlio mio.
Non ti preoccupare, ci sono io.
Non aver paura. Fidati di me”.
Ma da chi vuoi che andiamo, Signore?
Solo tu hai parole di vita eterna.
Dopo 9 anni, 47.600 visite, 62.000 pagine viste, 1224 post mi trovo costretto a dover migrare da splinder in altri lidi… un grazie a tutti i miei amici e ci vediamo su questa nuova piattaforma!!!!
Breve ma pieno di emozioni e di forza, di provocazione e di inviti alla conversione, per chi li vuole accogliere. E con oggi chiudiamo queste due settimane passate ad accogliere l'inaudito di Dio, a stupirci, come i pastori, che scoprono che Dio viene apposta per gli sconfitti, a interrogarci come i magi, che sono curiosi davanti alla vita, a meditare come fa Maria, che tesse la sua vita intorno alla Parola.
Archiviamo il Natale con un'ultima riflessione, densa, immensa, destabilizzante.
Quel Gesù che abbiamo lasciato nella culla, riconosciuto dai magoi, lo ritroviamo oggi adulto, penitente fra i penitenti, a farsi battezzare nel Giordano da Giovanni il predicatore.
Come ho già avuto modo di scrivere, mi piacerebbe che la Chiesa, prima di tornare al tempo ordinario, celebrasse altre due feste: la memoria della fuga in Egitto, per ricordarci che Dio è stato un clandestino trattato male dai benpensanti di tutti i tempi e la solennità della quotidianità di Nazareth, per fermarci alla soglia del mistero di un Dio che per trent'anni costruisce sgabelli.
In attesa di questa improbabile riforma liturgica, accodiamoci alla folla che scende da Gerusalemme per incontrare il battezzatore, Giovanni profeta.
Marco
Non si dilunga nei particolari, Marco, come al suo solito. Non parla della nascita di Gesù e nemmeno della sua infanzia. Lo troviamo adulto, Gesù, pronto a farsi battezzare. Anche Giovanni è descritto con pochi tratti, senza lasciare spazio alle illazioni, all'emozione.
Gesù si mette in fila per il battesimo. Non ne ha bisogno, il suo cuore non è oscurato dalla tenebra, in lui la presenza di Dio è assoluta. Eppure vuole condividere il bisogno intimo dell'uomo di liberazione e di pace.
Non fa finta, Gesù, non accetta vantaggi, in tutto è simile all'uomo. In tutto eccetto nel peccato che, appunto, è l'anti-umanità.
Questa sua vicinanza all'uomo si manifesterà ancora durante la sua vita pubblica.
Dio non approfitta del suo essere Dio: vuole fare esperienza di umanità, senza trucco.
Dopo avere ricevuto il battesimo Gesù sente il Padre che gli rivela la sua missione, la sua profonda identità.
Egli è il figlio amato, di cui Dio si compiace.
Si compiace, Dio, nel vederlo solidale con i peccatori. Si compiace, nel vederlo farsi discepolo.
Matteo e Luca dicono che tutti sentono la manifestazione di Dio, la teofania. Marco, invece, ci dice che Gesù solo la sperimenta.
Anche nella nostra vita, a volte, abbiamo bisogno di svolte, di manifestazioni, di chiavi di lettura, e Dio si rivela se il nostro agire è trasparente, se la nostra vita è retta.
Nascere in Cristo
Cristo è nato nella storia, tornerà nella gloria. Ma come farlo nascere, ora, nei nostri cuori?
Il battesimo rappresenta l'ingresso nella vita nuova in Cristo. Da sempre, da subito, i cristiani hanno capito che quello era il gesto nuovo da compiere per siglare la conversione, per suggellare la volontà di cambiamento.
Esisteva già un battesimo, quello del Battista, un gesto di purificazione, di vita, così come l'acqua lava e purifica, dà vita agli uomini e ai vegetali. Ma Gesù si battezza nello Spirito Santo e propone ai suoi discepoli di diventare tali nel battesimo.
Storicamente, lo sappiamo bene, il battesimo è stato amministrato ai bambini. Non è un abuso della volontà di Cristo: le primitive comunità battezzavano intere famiglie. Resta il fatto che siamo stati battezzati quando eravamo inconsapevoli, incapaci di cogliere la profondità del gesto che i nostri genitori compivano al nostro posto.
Gli anni del catechismo, "recupero" della preparazione battesimale, non sono serviti a raggiungere la presa di coscienza della grandezza dell'appartenere a Cristo.
Ma adesso che siamo adulti possiamo farlo, possiamo riappropriarci del battesimo.
Teologia battesimale
Col battesimo è stata messo nel nostro cuore il seme della presenza di Dio.
Non una magia, non una rito scaramantico, ma un seme. Va coltivato, il seme, per poter crescere e per portare frutto. Il padrino era colui che, nella Chiesa primitiva, aiutava il seme a crescere.
Dio è in noi, inutile cercarlo all'esterno.
Dio è in noi e tutto ciò che ci porta "dentro" ci avvicina a Dio.
Il silenzio, la musica, la natura, l'arte, la letteratura, ci portano "dentro" noi stessi, ci accompagnano alle soglie del mistero.
Col battesimo siamo diventati cristiani.
Spesso portiamo il nome di un santo. I santi sono coloro il cui seme del battesimo è diventato un albero frondoso alla cui ombra ci riposiamo. Siamo diventati concittadini dei santi e famigliari di Dio. I santi sono sugli spalti a far tifo per noi, che giochiamo nel campo la partita della vita. Non siamo soli.
Col battesimo ci è tolto il peccato originale, la fragilità che tutti portiamo nel cuore, la macchia che ci impedisce di essere liberi. Cristo ci libera da questa fragilità: diventiamo capaci di amare.
Ecco cosa è successo il giorno del nostro battesimo, anche se non ce ne siamo accorti, anche se eravamo troppo piccoli.
Ora siamo cresciuti, ora siamo consapevoli.
Come diceva sant'Ireneo: cristiano, diventa ciò che sei.
La vera gioia non ha come causa niente di visibile o tangibile;
è una gioia senza causa, che ci è data dalla sola sensazione
di esistere come anima e come spirito.
Allora, anziché attendere di possedere qualcosa
o qualcuno per potervi rallegrare, dovete fare il contrario,
ossia rallegrarvi dell’esistenza degli esseri e delle cose,
perché nella gioia che essi vi danno, avete la sensazione che vi appartengano.
Solo ciò che vi dà gioia vi appartiene,
mentre ciò che vi appartiene non necessariamente vi procura molta gioia.
Tutto ciò che vi rallegra, voi lo possedete veramente,
e più ancora che se ne foste i veri proprietari.
Omraam Mikhaël Aïvanhov,
Alle Sorgenti Inalterabili della Gioia
Ti manca qualcosa?
O forse, questa tua insensata richiesta,
è una scorciatoia,
per farmi entrare
nella logica del “voler bene”,
nel paradossale movimento del dare
che arricchisce chi dona?
Ciò che offro a te,
mi ritorna moltiplicato,
arricchito,
potenziato.
Ciò che offro a te,
è un dono per me.