Dio ci ascolta

Se senti vacillare la fede per la violenza della tempesta, calmati: Dio ti
guarda. Se ogni cosa che passa cade nel nulla, senza più ritornare,
calmati: Dio rimane. Se il tuo cuore è agitato e in preda alla tristezza,
calmati: Dio perdona. Se la morte ti spaventa, e temi il mistero e
l’ombra del sonno notturno, calmati: Dio risveglia. Dio ci ascolta,
quando nulla ci risponde; è con noi, quando ci crediamo soli; ci ama,
anche quando sembra che ci abbandoni. (Sant‘Agostino)

Scemi di soldi

abbondanza inutile (colored)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
(dal Vangelo di Luca 12,13-21)

Per Gesù ogni forma di ricchezza (denaro, beni materiali e anche potere) per il discepolo è come la zavorra per una mongolfiera, più ce n’è e più tiene a terra, impendendo di far salire in alto.
Questa specie di incompatibilità tra la ricchezza e il legame con Gesù è particolarmente rimarcata nel racconto dell’evangelista Luca, che sottolinea molto i discorsi nei quali Gesù se la prende con i ricchi e i potenti.
Il tizio anonimo della folla che chiede a Gesù un aiuto in una questione di eredità, non necessariamente è disonesto. Anzi sembra che sollevi un problema di giustizia tra fratelli, di cui lui sembra essere la parte lesa, perché il fratello non vuole fare la giusta divisione di un’eredità.
E anche nell’esempio parabolico che fa Gesù, l’uomo ricco che accumula beni e progetta di goderseli in santa pace, non è detto che sia disonesto nel suo accumulare, anzi appare come un buon amministratore dei propri beni.
Ma il problema per Gesù non è nel come uno accumula ricchezza e non sta nell’avere pochi o tanti beni materiali. Il problema è in quello che dice in una frase semplice ma fondamentale che ci aiuta a capire Gesù stesso e i suoi amici e il progetto di vita che propone loro: “anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede”
La mia vita non dipenda da ciò che possiedo in tasca e nemmeno da quello che non possiedo.
Penso che in un tempo di crisi economica come quello attuale, dove cresce per molti giustamente l’ansia dell’avere almeno il minimo per vivere, una visione come questa è davvero rivoluzionaria, perché offre un punto di vista diverso della vita e anche della stessa crisi.
Gesù nella parabola mette in bocca a Dio la parola “stolto” rivolto al ricco che accumula tanto ma che poi muore senza potersi godere, come progettato, i suoi beni. Potremmo tradurre tranquillamente la parola con un bel “scemo”, che nel linguaggio colloquiale è più forte e rende meglio l’idea di cosa voglia dire Gesù.

L’uomo che accumula e fa dipendere tutta la sua vita dai beni accumulati e tenuti stretti solo per se stesso, è proprio uno scemo! E’ scemo perché ha cambiato la prospettiva della propria vita incentrandola solo su se stesso e dimenticando Dio e il prossimo (che di Dio è l’immagine più vicina a noi).
Io che scrivo queste cose non sono certo fuori pericolo dall’essere scemo come l’uomo della parabola, perché mi rendo ben conto di quanto sono attaccato ai beni, e da come faccia dipendere la mia felicità delle sicurezze materiali. Siamo tutti un po’ scemi da questo punto di vista, e credo che al nostra società sia in gran parte programmata a renderci scemi e rimanere tali.
Il tizio anonimo della folla che vuole da Gesù una parola sulla sua eredità, si sente sicuramente colpito dal quel “scemo” ricco della parabola, ed è invitato a riconoscersi.
Questo vale per me, per tutti noi.
La mia vita non dipende dai beni (pochi o tanti) che riesco ad accumulare. Anzi, il Vangelo sembra proprio dire che più sono ricco e più è facile che diventi scemo del tutto, dimenticando che il vero baricentro della mia vita e la vera fonte della mia felicità li trovo in Dio.
Grazie Gesù se oggi mi sento un po’ scemo… forse ho iniziato a capire che sei tu il vero bene da accumulare, e che nella condivisione dei miei beni con il prossimo trovo la via per diventare veramente ricco e felice… e meno scemo!

Giovanni don

 

L’uomo che piantava gli alberi

Questa è una storia realmente accaduta. Molti anni fa, un giovane studente intraprese una lunga passeggiata in una regione desolata e triste del Sud della Francia. Si presentava come un deserto fustigato dal vento, screpolato dall’arsura, tra i 1200 e i 1300 m. d’altitudine. Vi cresceva soltanto qualche cespuglio di lavanda selvatica. Lo studente si accampò nei pressi di un villaggio abbandonato, che sembrava un vecchio nido di vespe. Il vento sibilava tra i muri in rovina con una brutalità insopportabile. Non c’era la minima traccia d’acqua. Il giovane dovette riprendere la marcia. 
Dopo cinque ore di quel desolante deserto, scorse una piccola sagoma nera, sul profilo di una collina. Poteva anche essere un tronco solitario, ma il giovane si diresse da quella parte. Era un pastore. Una trentina di pecore si riposavano sulla terra bruciata intorno a lui. Il pastore porse al giovane la sua borraccia e, un po’ più tardi, lo condusse nella sua baita. Estraeva la sua acqua, eccellente, da un pozzo naturale, molto profondo. 
Quell’uomo parlava poco. La sua era una vera casa di pietra, non una baracca. I tetti erano ben fermi e il vento lottava con essi invano. L’interno era in ordine e pulito; il fucile ingrassato a dovere; sul fuoco bolliva la zuppa. Anche il cane, silenzioso come il padrone, era cordiale ma non servile. Lo studente passò la notte in quella casa sulle colline. Fu un invito tacito. Il villaggio più vicino era a due giorni di marcia. Inoltre, tutti e due conoscevano perfettamente il carattere dei rari villaggi della regione. Ce n’erano quattro o cinque dispersi lontani gli uni dagli altri sui fianchi delle alture. Erano abitati da boscaioli che fabbricavano carbone di legna. Erano posti in cui si viveva male. Le famiglie, in quel clima esasperante, d’estate come d’inverno, erano chiuse in un egoismo allucinante. Non avevano che un desiderio: andarsene da quel posto. Il vento che non cessava mai irritava i nervi. La gente era piena di rancori. Esplodevano spesso epidemie di suicidio ed erano numerosi i casi di follia, quasi sempre cruenti. 
Lo studente era affascinato dalla figura dell’uomo che l’aveva ospitato. Dopo cena, il pastore andò a prendere un sacchetto e rovesciò sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise ad esaminarle una dopo l’altra con molta attenzione, separando le buone dalle cattive. 
Compiuto 85 anni, la regione era cambiata. Quasi tutti i villaggi erano stati ricostruiti. Le case, dipinte di fresco, erano circondate da orti e giardini. Gli abitanti non pensavano più a scappare e altri venivano a cercare casa. Uomini, donne, e bambini avevano ripreso a ridere e a sperare. 
Contandoli tutti, più di diecimila persone dovevano la felicità a Elzéard Bouffier. Anche se nessuno di loro lo seppe mai.

(j. Giono)