L’assenza

Non c’è nulla che possa rimpiazzare l’assenza di una persona cara, né dobbiamo tentare di farlo; è un fatto che bisogna semplicemente portare con sé, e davanti al quale tenere duro; a prima vista è molto impegnativo, mentre è anche una grande consolazione: perché rimanendo aperto il vuoto, si resta da una parte e dell’altra legati ad esso. Si sbaglia quando si dice che Dio riempie il vuoto: non lo riempie affatto, anzi lo mantiene aperto, e ci aiuta in questo modo a conservare l’autentica comunione tra di noi, sia pure nel dolore. Inoltre: quanto più belli e densi sono i ricordi tanto più pesante è la separazione.Ma la gratitudine trasforma il tormento in una gioia silenziosa. Portiamo allora dentro di noi la bellezza del passato non come una spina, ma come un dono prezioso. Bisogna guardarsi dal frugare nel passato, dal consegnarsi a esso, così come un dono prezioso non lo si rimira continuamente, ma solo in momenti particolari, e per il resto lo si possiede come un tesoro nascosto della cui esistenza si è sicuri: allora dal passato si irradiano una gioia ed una forza durature.”

Dietrich Bonhoeffer – Resistenza e resa

 

Magi senza censura

epifania amazon 2014 (colored)

 

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
(dal Vangelo di Matteo 2,1-12)

Ecco che vicino alla grotta o capanna del presepe fanno la loro apparizione i famosi tre re venuti da lontano lontano. Sappiamo anche i loro nomi: Baldassarre, Melchiorre e Gasparre… i tre re magi.
Magi? Cosa sono i magi? Non è che manca una lettera? Maghi forse…
Questo piccolo dubbio linguistico ne fa nascere forse un altro: ma dove è scritto che erano re? Il Vangelo non ne parla e nemmeno dice il loro numero esatto, perché Matteo narra che erano “alcuni”…
Il sospetto che la scena che ci racconta la tradizione classica del presepe sia una specie di piccola operazione di “censura” si fa largo. E pare proprio così…
Da quel che possiamo raccogliere da questo racconto di Matteo, i personaggi che vengono da lontano sono proprio dei maghi o qualcosa di simile. Sono sicuramente personaggi lontani dalla fede ebraica e lontani anche dalla vita moralmente accettata a quel tempo (e anche dalle prime comunità cristiane). Sono infatti degli scrutatori delle stelle, degli astrologi che si dedicano ad una attività fortemente condannata dalla Bibbia (e anche dalla Chiesa oggi). Averli fatti re sembrava averli un po’ elevati ad un rango più accettabile e aver dato loro un mestiere degno per essere tra i primi a conoscere il Figlio di Dio. Ma non è così. Dobbiamo farcene una ragione. Se l’evangelista Luca mette attorno al bambin Gesù degli umili e ignoranti pastori, Matteo sembra osare di più, raccontando che vicino al Dio-con-noi ci stanno quelli che più lontani non si può… e non coloro che avrebbero avuto tutto il diritto e la dignità di essere i primi, cioè i credenti e teologi di Gerusalemme. E facendo un balzo in avanti nel racconto evangelico, sappiamo che Gesù emetterà l’ultimo respiro tra due malfattori sempre fuori dalla città di Dio, senza aver attorno nessuno dei suoi, se non Maria e Giovanni (ma solo l’evangelista Giovanni lo racconta).
Superando dunque la piccola “censura” che ha addolcito un po’ la scena dei magi, possiamo vedere in questa scena dell’Epifania un messaggio che allarga all’infinito la visione della presenza di Dio tra gli uomini. Quel luogo così distante ad oriente dal quale vengono fatti provenire i magi, non è solo una indicazione spaziale ma esistenziale. Le “periferie del mondo” dal quale provengono gli uomini e donne che cercano Dio non sono solo da cercare dall’altra parte del mappamondo, ma anche dall’altra parte della nostra porta di casa, dall’altra parte della strada che percorriamo tuti i giorni, dall’altra parte del tavolo di lavoro, dall’altra parte della nostra stessa tavola di casa…
I magi siamo tutti noi e sono tutti coloro che in qualche modo sono bisognosi di incontrare Dio, anche se provengono da situazioni di vita distanti e opposte dalle nostre.
Gesù è “Dio-con-noi”, un “noi” che include tutti.

Giovanni don

Venne la parola

È andata, siamo sopravissuti.

Ai cibi ipercalorici, ai regali meno sfavillanti del solito, alla retorica natalista e alla melassa che fa venire il diabete spirituale, agli spettacoli dei ragazzi rigorosamente senza riferimenti alla fede (politicamente corretto, mah…).

E spero siano sopravissuti i tantissimi che vivono il Natale come il peggior giorno dell’anno e che anelano all’epifania come ad una liberazione.

Prima di incontrare i magi che cercano risposta alle loro domande e alle loro curiosità, però, questa strana seconda domenica del tempo di Natale ci invita a volare in alto. So bene che in queste due settimane siamo invitati a celebrare un sacco di feste e forse questa domenica sarà sacrificata alla stanchezza per smaltire cenoni e bagordi.

Peccato però. Vi perdete il prologo di Giovanni.

Prefazioni

So per esperienza che le prefazioni ai libri vengono scritte per ultime.

Abitudine che richiama al fatto che solo quando uno ha scritto tu riesce ad avere una visione d’insieme per raccontare in sintesi cosa il lettore si appresta a leggere.

Così è successo a Giovanni.

Ma, siamo onesti, gli è proprio scappata la mano.

Perché quello che abbiamo letto è il volo di un’aquila. Un brano talmente profondo e complesso da lasciarci perplessi, come se qualcuno, molti secoli dopo, dopo estenuanti riflessioni teologiche e dispute, concili e scontri al calor bianco, eresie e condanne, persecuzioni e partigianerie, avesse distillato una teologia dell’incarnazione.

Invece no. È che Giovanni è uno che guarda con l’anima.

La Parola

Dio è ed è da sempre. E la sua Parola ha creato e continua a creare.

Già le nostre povere parole creano. Complicità, amicizia, seduzione.

Offesa, dolore, strazio.

Figuriamoci quelle di Dio.

Parole che hanno diviso il caos, all’inizio.

Parola che è diventata corpo, in Cristo.

Che, quindi, non è un brav’uomo, un uomo spirituale, un poveraccio che ha patito tanto. Ma la Parola che Dio rivolge agli uomini.

Dio si è stancato di non essere capito. E ha imparato la nostra lingua.

Da brivido.

Perché, invece di ascoltare e accogliere, ci siamo turati gli orecchi.

Preferivamo un Dio che parlava un linguaggio incomprensibile e astruso, perso fra le nuvole.

Da riverire e temere, non da accogliere.

Non sappiamo che farcene di un Dio così.

Brutte figure

Non c’è molto da celebrare a natale, ma da convertirsi e pentirsi.

L’umanità non ha rivolto una grande accoglienza alla prima venuta di Dio. C’è poco da festeggiare, insomma, quasi come se si imbastisse una festa in ritardo. Natale è dramma: Dio viene e l’uomo non c’è.

La Parola ha parlato, l’uomo non ha ascoltato.

La riflessione giovannea sembra cupa. Parla di un fallimento.

Che però non sconfigge Dio, né lo deprime.

Luce e tenebre

La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta, scrive Giovanni.

Bella storia.

In questa nuova traduzione si sottolinea non il rifiuto delle tenebre, ma l’ostinazione e la forza della luce.

Dio insiste, Dio non si da per vinto, Dio esagera, alza il tiro, offre una soluzione, si dona ancora e sempre. Bello, bellissimo.

Se fossi Dio mi sarei già stufato da un pezzo dell’umanità, credetemi.

E invece no, Dio insiste, Dio non cede, Dio vince.

Amica che sei nelle tenebre della depressione: le tenebre non vincono.

Amico prete travolto dalla fatica dell’apostolato e dalla solitudine: le tenebre non vincono.

Fratelli che cercate di portare un minimo di logica evangelica nella vostra azienda passando per fessi: le tenebre non vincono.

Discepoli che portate la logica della pace e della dignità umana nelle discariche del mondo dimenticate da tutti: le tenebre non vincono.

A chi accoglie la luce Dio dona il potere di diventare figlio di Dio, scrive Giovanni. Io sono figlio di Dio. Non m’importa essere altro.

Né premio Nobel, né grande star. Sono già tutto ciò che potrei desiderare.

Natale è la presa di coscienza della mia dignità, del fatto che Dio si racconti e che sia splendido.

Viene la Parola.

(P. Curtaz)

 

Non sono gran cosa

Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita. Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori.

Posso, però ascoltarli e dividerli con te.

Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro; però, quando serve sarò vicino a te.

Non posso cancellare la tua sofferenza; posso, però, piangere con te.

Non sono gran cosa, però sono tutto quello che posso essere.

(J. L. Borges)

Ti aspettavamo più grande

Signore, 
ti aspettavamo più grande 
e vieni nella debolezza di un bambino. 

Ti aspettavamo a un’altra ora 
e vieni nel silenzio della notte. 

Ti aspettavamo potente come un re 
e vieni uomo, fragile come noi. 

Ti aspettavamo in un altro modo 
e vieni così, semplice. 

Quasi non possiamo riconoscerti, 
così uomo. 

Avevamo le nostre idee su di te, 
e vieni rompendo tutto ciò che avevamo previsto. 

Donaci la fede 
per credere in te e riconoscerti così, come vieni. 

Rendi forte la nostra speranza 
per avere fede in te con la semplicità con cui vieni a noi. 

Insegnaci a amare come ami tu, 
che essendo forte ti sei fatto debole 
per essere la nostra forza 
in tutti i momenti e nei secoli dei secoli. 
Amen.

(Anonimo)

Buon Anno Nuovo!!!

B imbo appena nato sei tu anno nuovo che ti affacci alla vita;

Una cosa solo porti nella tua bisaccia:il futuro è nelle tue mani! vivilo attimo per attimo.

Orme indelebili ho lasciato impresse nel libro della vita nell’anno che è passato.

Non ho fatto cose grandiose,ho cercato di vivere con amore l’attimo che passa.

Achi mi chiedeva un sorriso ho insegnato dove è la Luce, a chi aveva fame dove si trova il Pane.

Nei meandri della vita dove si perde facile la strada ho visto la Via e l’ho indicata allo smarrito.

Non lo nego : camminando sono caduto e mi sono sporcato; ma tu mi hai rialzato e redento.

Ora lo so:l’anno che è passato resta per me come un libro di storia che è maestra di vita.

Nuovo libro con pagine bianche da riempire mi regala il nuovo anno che è ancora in fasce.

Una cosa è certa: dipende da me scrivere col carbone o con il sangue il futuro che mi è dato.

Ogni attimo, ogni minuto vissuto per te, mio Dio e per i fratelli sarà mia forza e mio martirio.

Vita, gioia e pace danzeranno per me tutti i giorni del nuovo anno, solo se saprò amare e morire.

Ogni secondo dell’anno che nasce sarà per me respiro di te, mio Dio e battito di cuore al fratello.

 

LORETO ANNO 2014                                 P. GIANNI FANZOLATO

 

 

Niente di rosso per Capodanno

papa a capodanno 2014 (colored)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
(dalla lettera di San Paolo ai Galati 4,4-7)

 

Qualcosa di rosso addosso…
Una cravatta? Una maglietta? Un cappello? La mutanda?…
Devo mettere qualcosa di rosso se voglio fortuna per il nuovo anno!
Non è certamente questa la mia preoccupazione nel festeggiare il passaggio da un anno all’altro. Se qualche capodanno ho avuto qualcosa di rosso addosso è stato per puro caso e non certo per scelta scaramantica.
Ma non è questa la sola tradizione legata al passaggio dal vecchio al nuovo anno: ci sono anche le lenticchie, che mangiate nel cenone, richiamano anch’esse fortuna, in questo caso buona sorte dal punto di vista economico per la loro forma che ricorda piccole monete.
Il capodanno è il compleanno collettivo, di tutti, che “obbliga” ciascuno a ripensare al tempo che passa come avviene personalmente nel proprio giorno di compleanno.
Il cambio di data che va in avanti (e che non torna indietro come vorremmo noi adulti quando vediamo aumentare la cifra dei nostri anni), è un momento di bilancio del passato e di speranza verso il futuro. Scambiandosi baci e brindando con lo spumante, si spera per se e per gli altri che il nuovo anno sia più ricco, più felice, più sereno interiormente.
San Paolo, scrivendo molti secoli fa alla piccola comunità dei Galati, parla di un tempo nel quale Dio ha cambiato la storia e ha iniziato un nuovo tempo di liberazione. Era la pienezza dei tempi, cioè il momento giusto della storia che ha iniziato un nuovo corso: è il tempo di Gesù.
Quel nuovo inizio non è stato caratterizzato da indumenti rossi, da lenticchie, baci e brindisi, ma dalla nascita di un uomo, che con tutta la sua breve vita (breve nel confronto con tutta la storia umana prima e dopo di lui) ha portato una liberazione per ogni essere umano di ogni tempo.
Gesù ha redento gli uomini, cioè li ha liberati dalla legge religiosa che aveva pian piano rovesciato il rapporto tra Dio e il mondo, facendo sentire l’uomo come uno schiavo di Dio. Molte volte anche prima di Gesù i profeti avevano cercato di riportare il giusto equilibrio tra Dio e l’umanità, ma è dovuto scendere Dio stesso con il suo Figlio fatto uomo, per farci comprendere che Dio è Padre e non padrone, e noi siamo figli di Dio e non suoi schiavi.
Questa liberazione da una falsa idea di Dio, che poi incide anche nel nostro modo di stare con gli altri, è avvenuta due millenni fa, ma per molti di noi e forse anche per noi stessi è ancora nel futuro… non è ancora pienamente avvenuta.
Il Vangelo ci racconta di questa liberazione e di questa adozione a figli nel Figlio. Nell’antichità un re poteva adottare come figlio un generale o un uomo di sua fiducia, anche se non era famigliare stretto, e così ne diventava pieno erede e ne continuava l’opera. Dio ci ha adottati come figli e affida a noi la sua creazione e la storia d’amore che vuole costruire nel mondo. Lo schiavo teme il padrone e lo guarda dal basso verso l’alto, il figlio guarda il padre negli occhi e si sente responsabile pieno e pienamente degno di fiducia.
Inizio quindi il nuovo anno 2014 con questa consapevolezza: sono amato da Dio e non devo guadagnarmi la sua benevolenza, perché lui mi ama già così come sono… perché sono suo figlio.
Inizio il nuovo anno con un compito preciso che è quello di far sì che tutti coloro incontrerò si sentano amati e sorretti nelle loro difficoltà, perché questa è l’opera di Dio. Gesù mi ricorda nel Vangelo che anche io sono figlio e posso operare il miracolo dell’amore, come lui ha fatto. Davanti a Dio non sono chiamato a sentirmi in colpa e continuamente piegato dal peso dei peccati (come fosse questo il senso della vita di fede… sentirsi in colpa), ma sono chiamato a sentirmi pieno di possibilità e capacità di amare che mi vengono da Dio, anche se riconosco di essere sempre segnato come tutti dai miei limiti.
E in questo compito non sono da solo! Non sono l’unico figlio di Dio e fratello di Gesù. Se mi guardo attorno allo scadere della mezzanotte, quelli con cui brindo e scambio baci augurali, sono quelli che con me sono lì a costruire il Regno di Dio, sono miei fratelli e sorelle da amare e con i quali collaborare.
Penso quindi che non metterò qualcosa di rosso addosso e nemmeno mangerò lenticchie (che nemmeno mi piacciono…). Allo scadere della mezzanotte metterò un vangelo in tasca, di quelli piccoli da viaggio. Non lo metto per augurarmi fortuna, ma per ricordarmi che sono già fortunato, perché amato da Dio e chiamato da lui figlio.

Giovanni don