Sarai beato se accoglierai la luce e il buio che convivono dentro te, se busserai alla porta di chi sta soffrendo, se conterai lentamente sino a dieci prima di sbottare, se deporrai l’arma della vendetta, se eviterai le discussioni inutili, se farai felice almeno una persona al giorno, se porterai buon umore attorno a te, se inizierai per primo a dare il buon esempio, se lavorerai con passione e precisione, se ti metterai qualche volta nei panni degli altri, se offrirai sempre una possibilità a chi ha sbagliato, se rispetterai chi è diverso da te e dalle tue idee, se penserai prima di parlare, se non ricambierai il male con il male, se scoprirai nelle persone il lato migliore, se vivrai ogni giornata come se fosse la tua unica occasione per dare il meglio di te. Se vivrai così, sarai beato, non avrai vissuto inutilmente e sarai ricordato con amore.
Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macignirotolati. E’ la festa del terremoto. La mattina di Pasqua le donne, giunte nell’orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro. Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. E’ il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte. Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo. (Don Tonino Bello)
Tutte le cose che non ho capito Sono figlie di tutti i momenti in cui non ho vissuto Tutte le volte che non ho tentato Sono tutti ricordi che non ho accumulato Tutti i silenzi che non ho provato Sono padri di tante parole che non mi servivano Tutti i paesi in cui non sono stata Sono spine nel fianco a una donna che non è cresciuta Se vivere forte fa male, sognare fa male Pensarti Non me ne frega niente Se osare fa male Volare è cadere Provare è sbagliare Non me ne frega niente Continuerò ad andare controvento Comincerò a lottare contro il tempo Se vivere a volte fa male Non me ne frega niente Tutti i sorrisi che non ho indossato Sono giorni in cui ho perso il presente e ha vinto il passato Tutti gli ostacoli che ho superato Sono alibi fatti di scuse che non ho trovato Se vivere forte fa male, sognare fa male Pensarti Non me ne frega niente Se osare fa male Volare è cadere Provare è sbagliare non me ne frega niente Continuerò ad andare controvento Comincerò a lottare contro il tempo Se vivere a volte fa male Non me ne frega niente Ogni attimo di sole nuovo È un angolo in cui mi ritrovo È l’infinito che non è finito Controvento Controvento Continuerò ad andare controvento Comincerò a lottare contro il tempo Se vivere a volte fa male Io vado controvento … Io vado controvento
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
(dal Vangelo di Luca 15,1-3.11-32)
“Un cristiano che non ama è come un ago che non cuce. Punge e fa del male ma non unisce i tessuti e non serve a nulla…”
È la bellissima immagine che Papa Francesco ha usato nella sua omelia durante la celebrazione in San Pietro il 25 marzo scorso. Era la celebrazione penitenziale e di preghiera per la pace con quel gesto fortemente simbolico di consacrare al Cuore Immacolato di Maria i popoli dell’Ucraina e della Russia. Questi due popoli sono divisi da questa terribile guerra, ma hanno una comune eredità cristiana che non può e non deve dividerli.
Papa Francesco parlava di misericordia, quella che c’è in Dio e quella che è presente di riflesso nell’uomo, in noi. Senza questo amore misericordioso, che perdona e riconcilia, che unisce e ripara gli strappi, la fede diventa sterile e la religione rischia di fare inutilmente male, proprio come un ago non usato per unire ma solo per pungere.
Gesù veniva aspramente criticato dai religiosi del suo tempo perché aveva questo comportamento misericordioso con quelli che erano considerati peccatori e lontani. Farisei e scribi dicevano, come introduce Luca nel suo Vangelo, “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. La terza delle tre parabole della misericordia contenute nel capitolo quindicesimo del Vangelo di Luca, è quella più lunga e articolata, la più ricca di elementi che raccontano simbolicamente prima di tutto di Dio e poi di noi. È la storia di una famiglia che si sfalda, di strappi dovuti a separazioni e incomprensioni. Un padre apparentemente “debole” non riesce a trattenere il figlio più giovane che se ne va con la propria parte di eredità che in poco tempo butta letteralmente via per nulla. Questo figlio alla ricerca della libertà e felicità, abbandonando la casa del padre, trova alla fine miseria e infelicità. Gesù nel raccontare la sua condizione misera vuole spegnere in chi ascolta lo sguardo accusatorio verso questo figlio, e accendere la pietà. Ma anche l’altro figlio che rimane, in realtà non rimane in casa come figlio ma come servo. Anche lui ha abbandonato con il cuore la casa paterna e non riconosce più l’altro come fratello (“… ma ora che è tornato questo tuo figlio”) e non riconosce il padre come padre, rivelando che in fondo per lui è sempre stato solo un padrone da servire. La parabola racconta di tanti strappi e lacerazioni tra di noi, dentro le nostre famiglie, dentro la nostra Chiesa e anche tra le Chiese, racconta gli strappi tra i popoli, anche tra quelli fratelli per origine come lo sono quelli dell’Ucraina e della Russia. Ma al centro del racconto c’è questo padre apparentemente debole e arrendevole, che non ha vergogna di correre incontro ai figli, che rinuncia al suo potere e diritto di punire e separare. Al centro c’è questo padre “tessitore” di fratellanza, che vuole ricucire i rapporti, anche quelli più lacerati e apparentemente irrecuperabili. Il padre della parabola è un artigiano di pace che usa il suo potere non per pungere e ferire ma per amare e riconciliare.
Se noi possiamo vederci nell’atteggiamento dei due fratelli, incapaci di vera libertà e di perdono, possiamo anche vederci in quel padre misericordioso. Possiamo essere come Gesù, tessitori di fraternità, con in mano la nostra fede che ama e perdona, una fede che non ferisce e punge ma unisce e ripara.
Riprendiamo a narrare di mostre viste, ancora aperte oppure chiuse. Partiamo da una mostra divisa in due parti di cui una ancora aperta per pochi giorni e di cui vi presento il resoconto. Fino al 14 gennaio infatti, presso la sala del Cenacolo di Palazzo Valdina, oggi parte della Camera dei Deputati sarà possibile visitare la mostra “Camilian Demetrescu – Genesi 1969-2012”, retrospettiva dedicata all’artista, scrittore e storico dell’arte rumeno naturalizzato italiano, nato a Busteni il 18 novembre del 1924 e morto a Gallese il 6 maggio del 2012.
In questa sezione è possibile vedere la sua ricerca sulle tematiche del sacro, attraverso una trentina di opere divise tra arazzi e disegni, da cui emergono queste tematiche, su cui si è incentrata l’attività dell’artista soprattutto negli ultimi anni della sua vita e che hanno portato, oltre alle opere in mostra, a una serie di opere donate alla Città del Vaticano, oggi conservate nei locali attigui alla sala delle Udienze Paolo VI.
L’allestimento è semplice ed efficace, correlato da due audiovisivi, uno con una serie di video, che presentano delle interviste all’autore, e l’altro con le opere conservate al Vaticano ( visibili anche presso il seguente sito ). La mostra termina con la statua lignea della Natività esposta presso l’attigua chiesa di San Gregorio Nazianzeno, piccolo capolavoro che conserva affreschi risalenti al 1100, parti murarie realizzate con blocchi provenienti probabilmente dalle Mura Serviane e un campanile romanico del XIII secolo.
Camilian Demetrescu – Genesi 1969-2012
Sedi e date
Roma, Camera dei Deputati, Palazzo Valdina
Piazza in Campo Marzio, 42
21 dicembre 2021-14 gennaio 2022
Accademia di Romania in Roma
Piazza José de San Martin, 1
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Viale delle Belle Arti, 131
12 – 31 gennaio 2022
Ingresso libero
Obbligo di Super green pass, mascherina, documento di riconoscimento
Signore Dio, Signore del tempo e dell’eternità, tuo è l’oggi e il domani, il passato e il futuro, e, all’inizio di un nuovo anno, io fermo la mia vita davanti al calendario ancora da inaugurare e ti offro quei giorni che solo tu sai se arriverò a vivere. Oggi ti chiedo per me e per i miei la pace e l’allegria, la forza e la prudenza, la carità e la saggezza. Voglio vivere ogni giorno con ottimismo e bontà, chiudi le mie orecchie a ogni falsità, le mie labbra alle parole bugiarde ed egoiste o in grado di ferire, apri invece il mio essere a tutto quello che è buono, così che il mio spirito si riempia solo di benedizioni e le sparga a ogni mio passo. Riempimi di bontà e allegria perché quelli che convivono con me trovino nella mia vita un po’ di te. Signore, dammi un anno felice e insegnami e diffondere felicità. Nel nome di Gesù, amen.
Signore, alla fine di questo anno voglio ringraziarti per tutto quello che ho ricevuto da te, grazie per la vita e l’amore, per i fiori, l’aria e il sole, per l’allegria e il dolore, per quello che è stato possibile e per quello che non ha potuto esserlo. Ti regalo quanto ho fatto quest’anno: il lavoro che ho potuto compiere, le cose che sono passate per le mie mani e quello che con queste ho potuto costruire. Ti offro le persone che ho sempre amato, le nuove amicizie, quelli a me più vicini, quelli che sono più lontani, quelli che se ne sono andati, quelli che mi hanno chiesto una mano e quelli che ho potuto aiutare, quelli con cui ho condiviso la vita, il lavoro, il dolore e l’allegria. Oggi, Signore, voglio anche chiedere perdono per il tempo sprecato, per i soldi spesi male, per le parole inutili e per l’amore disprezzato, perdono per le opere vuote, per il lavoro mal fatto, per il vivere senza entusiasmo e per la preghiera sempre rimandata, per tutte le mie dimenticanze e i miei silenzi, semplicemente… ti chiedo perdono.
San Giovanni, giovane discepolo dal cuore pulito e dalla mente luminosa, tu che incontrando il Maestro gli hai chiesto: “Maestro, dove abiti?”, e quel giorno hai avuto la grazia di conoscerlo e di fermarti con Lui, decidendo poi di seguirlo e servirlo, fa che noi non perdiamo l’occasione dell’incontro con Gesù.
Donaci il desiderio di conoscerlo, la volontà di cercarlo e la forza di seguirlo.
Fa che nei momenti difficili sappiamo poggiare il nostro cuore sul Cuore di Cristo, come tu hai fatto durante l’Ultima Cena.
Tu che più di ogni altro hai conosciuto le profondità dell’amore di Dio e ti sei sentito il “discepolo amato” da Gesù, fa che i nostri occhi possano contemplare la presenza viva di Cristo per sentirsi in Lui, come te, “figli amati”.
La tua giovinezza vissuta nella purezza e alla scuola del Maestro, accenda in noi il desiderio di pensieri, parole e gesti puliti.
Giovanni, che hai accolto nella tua casa Maria come Madre, fa che la sua presenza non ci abbandoni mai e la sua intercessione custodisca ed accresca in noi la fede.
Aiutaci a correre perseveranti verso le mete che l’amore ci indica, per annunciare insieme a te, a tutti, la gioia della Risurrezione di Cristo.
San Giovanni, Apostolo ed Evangelista, prega per noi!
Una porta si chiude da qualche parte sulla terra, quella di un povero alloggio dove brilla il fieno in una mangiatoia. Nello stesso istante una porta si schiude nel cielo, quella di una stella che trafigge la notte. Porta doppia e unica, solstiziale. Il sole è appena entrato nella fase ascendente del suo ciclo. Un bambino che è appena nato crescerà e illuminerà il mondo. La fede è un bambino che non concede riposo, che non si adatta a nessuna abitudine, soprattutto all’indolenza, alla tiepidezza, e che prova ripugnanza per ogni compromesso. E’ un bambino ribelle, tanto vulnerabile quanto temerario, tanto meditabondo quanto avventuroso. Un bambino nato in piena notte e destinato per sempre alla prova della notte, eppure incessantemente mosso dal desiderio della luce. Un bambino più leggero di una pagliuzza – basta un nonnulla a farlo volar via, svanire -, ma anche pesante quanto il mondo. Un bambino da portare in braccio, giorno dopo giorno, fino allo stremo delle forze, fino all’ultimo respiro. Questa è la Natività: un invito a farsi carico del Bambino dalla genealogia misteriosa e stupefacente, ad assicurare di salvarlo dalla furia delle tempeste, siano esse dentro o fuori. E’ assumersi la responsabilità affidata a Giuseppe, il primo a cui spettò. Infatti, nella notte della Natività, è chiesto a ognuno di noi di dare il cambio a Giuseppe. La fede vive in un’infanzia perpetua, sicura della sua forza e della sua resistenza; richiede sempre vigilanza e lavoro.
Per fare gli auguri per la festa di Ognissanti ho scelto questa preghiera dal titolo: Santità è
L’impegno di ogni giorno vissuto con gioia. La forza di sorridere anche nei momenti più duri. Dio incontrato in ogni istante della vita. Accoglienza incondizionata di ogni fratello. Preghiera che si incarna nella vita e vita che diventa preghiera. Impegno perché la giustizia sia realtà per tutti. Dono semplice del proprio essere. Accogliere ogni minuto come dono di Dio e ringraziare di cuore. Credere che Dio accompagna e benedice ogni nostra azione, ogni nostro pensiero. E’ il coraggio della verità, della libertà, della giustizia. E’ costruire la pace attraverso i piccoli gesti di ogni giorno. E’ lasciare che la Parola di Dio illumini la nostra vita. E’ il paradiso raggiunto nel quotidiano. E’ gratuità, generosità, condivisione. E’ dare e ricevere.