FAMMI CAMMINARE VERSO DI TE

Dio, a volte mi sento
come nel deserto
dove la vita e’ difficile,
dove domina il dubbio,
dove regna l’oscurita’,
dove manchi tu.

Il deserto e’ un passaggio per chi ti ha scelto,
un passaggio per chi ti ama,
un passaggio necessario alla vita,
un passaggio che mette alla prova.

Dio, tu mi dai la prova
ma anche la forza di superarla,
mi dai il deserto
ma anche la forza di proseguire.
Ho paura del deserto, Signore,
ho paura di mancare, ho paura di tradirti.
E’ facile sentirti nella gioia,
e’ semplice scoprirti nella natura,
ma e’ difficile amarti nel deserto.
Dio, nella notte del dolore,
nell’oscurita’ del dubbio,
nel deserto della vita,
non farmi dubitare di te.

Non ti chiedo di liberarmi dal deserto
ma di aiutarmi a camminare con te,
non ti prego di togliermi il de! serto
ma di farmi camminare verso di te.
(P. Maior).

Il perdono..

        Chi non sa perdonare non sa amare…è vittima del proprio orgoglio! Chi ha un cuore duro come può sperare di essere perdonato da Dio? 

scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi.
(Col 3,13)

L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona.
(Is 55,7)

Egli perdona tutte le tue colpe,
(Sal 103, 3)

…rimetti a noi i nostri debiti nella stessa misura con la quale noi li rimettiamo ai nostri debitori…
(Mt 6, 12)

"Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?" E Gesù rispose:"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
(Mt 18,21-22)

Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati…
(At 3,19)

Se un tuo fratello pecca, rimprovalo; ma se si pente, perdonagli.
(Lc 17,3)
 

PER TUTTI GLI INNAMORATI

L’AMORE
Quando l’amore chiama, seguitelo
anche se ha vie sassose e ripide.
E quando vi parla credete in lui
benche’ la sua voce possa
disperdere i vostri sogni
come il vento del nord devasta il giardino.
Poichè come l’amore vi esalta allo stesso modo
vi crocifigge e come vi matura allo stesso modo vi poterà.
E vi consegna al suo sacro fuoco
perche’ voi siate il pane santo
della mensa di Dio.
Tutto cio’ compie l’amore in voi
affinche’ conosciate il segreto del vostro cuore
e possiate diventare un frammento
del cuore della Vita.
L’amore non da’ nulla fuorche’ se stesso
e non coglie nulla se non in se stesso.
L’amore non possiede
ne’ vorrebbe essere posseduto
perche’ l’amore e’ sufficiente all’amore.
E non pensate di dirigere l’amore
perche’ se vi trova degni e’ lui che vi conduce.
L’amore non desidera che consumarsi!
Se amate davvero siano questi i vostri desideri:
destarsi all’alba con un cuore alato
e ringraziare per un altro giorno d’amore;
addormentarsi a sera
con una preghiera per l’amato nel cuore
e un canto di lode sulle labbra.
(G. Kahlil Gibran).

SIGNORE LIBERAMI DAL MUSO LUNGO

Signore, liberami dal muso lungo.
Tu non sei lagnoso.
Tu non sei noioso.
Tu non sei piagnoso.
Oh, Signore,
fa’ che, una buona volta, mostri Chi sei:
Tu sei la Festa!
Ed allora,
anche se mi hai fatto spilungone,
fa’ che non senta il magone;
anche se mi hai fatto damigiana,
fa’ che scacci via ogni lagna!
Insomma, Signore,
conservami il buon umore.
Così, un giorno
(il più lontano possibile, per favore!)
Ti sentirò dire:
“Ero malinconico, ma tu
mi hai rallegrato con il tuo sorriso:
entra nella eterna gioia

del mio paradiso”. Amen.

29 ANNI NELLA CHIESA!

Oggi per me è un giorno particolare che si ripete però ogni anno… festeggio  l’anniversario del mio battesimo, del giorno di 29 anni fa in cui sono diventato cristiano ed entrato a far parte della Chiesa!!! ๐Ÿ™‚ Volevo condividere questa gioia e la bellezza del ricordo con tutti voi amici miei!

IN RICORDO DI DON ANDREA SANTORO

Don Santoro spiegava così la sua missione «Ci tirano sassi, non me ne vado: è Vangelo»
E si era inventato il calendario triconfessionale

Da sei anni don Andrea Santoro viveva da solo a Trabzon, che una volta chiamavamo Trebisonda, città turca sul Mar Nero. Unico cristiano in un ambiente totalmente musulmano: solo la domenica aveva con sé una decina di cattolici, che per raggiungerlo dovevano percorrere decine e centinaia di chilometri. Viveva da solo tra i musulmani come Charles de Foucauld all’interno del Sahara e come Annalena Tonelli nel Somaliland e come loro è stato ucciso in circostanze che forse non verranno mai chiarite. «Potrebbe essere considerato un martire del dialogo interreligioso », dice il vescovo Vincenzo Paglia che l’aveva avuto compagno di studi. Sessant’anni, originario di Priverno in provincia di Latina, entrato in seminario a 11 anni dopo la morte del padre Gaetano, don Andrea aveva maturato lungamente, negli anni, la «vocazione» a farsi «ponte» e finestra» verso l’Islam.
Nel 1968, inquieto sulla sua «vocazione», era andato in Terra Santa e vi era restato per quasi un anno, decidendosi infine a chiedere al cardinale Poletti di essere mandato «missionario» in Medio Oriente. Poletti gli rispose che anche l’Italia era ormai «terra di missione» e gli affidò la parrocchia di Gesù di Nazareth, in un quartiere della periferia romana ancora senza chiesa. Nel Duemila è tornato a bussare alla porta del cardinale vicario Ruini, che infine l’ha autorizzato a partire per la Turchia. Anche la Turchia per lui era una Terra Santa, «perché vi sono passati gli apostoli e vi è scorso il sangue dei martiri ». Gli amici romani che l’avevano aiutato a restaurare la chiesa dove è morto, ultimamente l’avevano chiamato a tenere una conferenza il 22 gennaio alla Sapienza. Lì don Andrea aveva «narrato» la sua idea di «fare da finestra, cioè da luogo di comunicazione e di incontro tra mondi lontani, tra Islam, Ebraismo e Chiese cristiane ».
Così, non a caso, aveva fondato l’associazione «Finestra per il Medio Oriente» (www.finestramedioriente.it). Apriva la sua chiesa ai visitatori musulmani due volte la settimana. Non si spaventava se i ragazzi del quartiere entravano di corsa a sputare sul pavimento e di corsa fuggivano e se la sera, quando scriveva agli amici lontani, sobbalzava al botto di un sasso o di una bottiglia di plastica piena d’acqua che qualche «bullo» lanciava contro la sua porta. «È gente buona», diceva ai visitatori. E ancora: «Stare qui è difficile ma è Vangelo. Dobbiamo essere come agnelli, seguendo l’insegnamento di Gesù». In una lettera dell’anno scorso alla diocesi di Roma, che si può leggere nel sito del Vicariato (www.vicariatusurbis.org), aveva scritto: «Il lievito, come dice il Vangelo, ha una sua capacità misteriosa di fermentare la pasta, se viene messo in contatto con essa. Che la nostra vita sia la cera che si consuma in totale disponibilità». Maddalena Santoro, la sorella più piccola, sceglie parole semplici: «Mio fratello era un missionario nel vero senso della parola. Per lui l’uomo era uno solo, gli uomini, cristiani o musulmani, sono uguali».
Sulla via del dialogo, il sacerdote aveva deciso un anno fa di aprire dalle 10 alle 11 di mattina e poi dalle 15 alle 16 le porte della chiesa anche ai musulmani. «Era per far vedere — spiega Maddalena — che le religioni sono uguali: i cristiani pregano ad un’ora e i musulmani ad un’altra, così come alcuni popoli parlano una lingua e altri un’altra. Ma l’incontro è possibile ». Era un prete così, don Andrea. S’era inventato pure il calendario triconfessionale, con le festività più importanti per i cattolici, i musulmani e gli ebrei. «Uno che quando diceva l’omelia, tu Gesù lo vedevi…», racconta commossa Beatrice Naso, una sua ex parrocchiana della chiesa di Gesù di Nazareth. Fu lui, nel 1988, a fondare dal nulla questa chiesa. Prima i fedeli del Forte Tiburtino, periferia est della capitale, si radunavano come carbonari in un modesto casotto condominiale adibito anche a deposito della spazzatura. Lui lottò con il Comune per otto anni, finché ottenne l’area per l’edificazione. Poi nel 2000 fu parroco nella chiesa dei Santi Flaviano e Venanzio. «Ma il suo sogno era sempre stato quello di fare il missionario », racconta da Latina la cugina Stella Picozza. E arrivò Trebisonda. Dalla Turchia, comunque, è sempre rimasto in contatto con i suoi parrocchiani di Roma. Mandava loro e-mail come queste: «Coraggio, andate avanti, non abbiate paura, fate come me». Ed ecco l’ultima: «Fate del vostro meglio, accumulate il Bene, il capitale poi lo troverete in Cielo». Una fede senza confini.

Luigi Accattoli, Fabrizio Caccia (www.corriere.it)
06 febbraio 2006

Perchè proprio a me?

 

 Prima o poi succede a tutti…Fino a ieri andava tutto bene..poi invece..

Allora iniziano tutta una serie di interrogativi

Perchè a me? perchè la sofferenza? ma che ho fatto???

Allora si ha bisogno di trovare un po’ di luce che dia conforto.

Voglio dirti…non dobbiamo avere pauta di queste domande..non sono scandalose e nemmeno  il nostro cervello è fuori posto.  Ma c’è un salmo che riflettel’angoscia dell’uomo che soffre.

E’ il salmo 21, la preghiera stessa che Gesù ha recitato sulla croce nel momento della sua massima sofferenza.

Dio mio, Dio mio..perchè mi hai abbandonato? Dio mio, ti invoco di giorno e non rispondi..grido di notte e non trovo risposta..

Nei vangeli troviamo le risposte più vere al problema della sofferenza……Essi sono il giornale, il telegiornale della gente comune, degli episodi che nessun grande giornale di questo mondo ci avrebbe mai raccontato.

Ora è a questa gente che Gesù si rivolge…      a noi!

Anche quando noi ci allontaniamo da Dio, Lui non ci abbandona mai, Dio è vicino nella mia sofferenza e adesso qualcuno che mi ama mi è vicino!!

Noi non possiamo cambiare la realtà ma possiamo cambiare i nostri occhi per vedere a fondo…

Certo non tutti arrivano a questa conclusione ma credo sia possibile arrivare per tutti a dire queste semplici parole..

Signore io continuo a non capire ma tu abbi pietà di me!

Vieni incontro alla mia sofferenza!!!!

Benedettaj

UN PO' DI AMAREZZA

Normalmente non uso questo blog come valvola di sfogo, ma stasera devo tirar fuori un pò di tristezza che è in me dopo che in un contesto in cui mi trovo a vivere mi è stato impedito di svolgere un servizio. Questo no mi è pesato abbastanza e per questo ho voluto condividere con voi, miei amici e lettori, questa mia situazione… ho scelto però una canzone dei Gen Rosso che parla di speranza, quella che ognuno deve avere per poter leggere anche in questi no i segni della volonta di Dio.

Oltre l’invisibile

Quando la vita non ha dignità
e un grido forte mi assale da qui;
quando è scura la città,
piove fuori e dentro me,
oltre il buio chissà cosa c’è?
Quando la vita mi appare bugia,
non ha più senso lottare così;
con il cuore stretto in sé,
tutto è come malattia,
in fondo al nero uscita non c’è.

Eppure, nella notte
vedo più lontano
le stelle, le galassie:
l’invisibile.
Eppure, il tuo silenzio parla,
mi racconta te
ed io non ho parole
ma ti cercherò.
Forse mi resta una debole voce,
forse un pensiero, una piccola luce
e ho imparato che ci sei,
dietro l’ombra che mi fa
tremare, se più certezze non ho.

Oltre la notte,
oltre l’invisibile,
c’è un abisso di energia:
l’Infinito che ci fa volare.
Oltre la notte,
oltre l’invisibile,
c’è un abisso di energia:
quella forza che ci fa restare,
stare adesso qui.

UN ALTRO PASSO VERSO LA TESI…

Dopo un bel pò di silenzio, o meglio di parole altrui, riprendo a parlare della mia vita e lo faccio condividendo una grande gioia… ho consegnato il floppy con la tesi!! Oggi pomeriggio, dopo una serata passata a risistemare la tesi al meglio e ad inserire le ultime cose mi sono recato in segreteria e lì dopo un pò di fila ho consegnato il floppy!!! Adesso c’è la parte finale della revisione prima della discussione!

GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA

Come ringraziamento per tutto quello che i consacrati hanno fatto nella vita mia e di tantissime persone che conosco, ho deciso di mettere il messaggio della Conferenza Episcopale per la giornata della vita consacrata

Alle consacrate e ai consacrati.
Ai sacerdoti, ai diaconi e ai fedeli.

            La Chiesa italiana, in cammino verso il Convegno di Verona, sosta oggi in contemplazione e con atteggiamento di gratitudine al Signore per il dono dei consacrati/e che, con la loro presenza capillare nel tessuto delle Chiese locali, tengono accesa la lampada della speranza per rischiarare i passi di noi tutti pellegrini in cammino verso l’incontro con il Signore.
Oggi, attingiamo dall’inesauribile riserva di fede e di preghiera, che sono le comunità di vita consacrata,  l’olio necessario perché “le nostre lampade non abbiano a spegnersi”.

            La liturgia ci invita a entrare nel tempio per rivivere la gioia di Simeone ed Anna che hanno incontrato “la consolazione d’Israele” e hanno visto “la salvezza preparata dal Signore”, ma anche per raccontare l’incontro con i due sposi trepidanti che portano in braccio il bambino Gesù, “salvezza” profetizzata da lunga data e finalmente realizzata.

            Il nostro Salvatore appare debole tra le mani di Maria e Giuseppe, piccolo, bisognoso di tutto e così manifesta l’amore di Dio per noi; amore che sta alla porta e bussa e a chi gli apre offre se stesso.

            Non possiamo non pensare a questa realtà, quando il Signore chiama a condividere la sua debolezza per portare al mondo la salvezza. La storia della santità, nel cui solco si sono incamminati Fondatori e Fondatrici delle Famiglie religiose, racconta che, proprio nella misura in cui si è piccoli, si diviene portatori di quella salvezza che non è nostra, ma sua e da Lui preparata per tutti i popoli.

            Dio non ha bisogno della nostra forza, anche se ci chiede di impegnare tutte le energie e capacità per l’avvento del Regno.

            Accettando di mettere a disposizione del Signore la debolezza personale e istituzionale, tipica di questo frangente storico, le persone consacrate testimoniano che il regno è suo ed è un dono che va al di là di ogni attesa; mani, mente e cuore, tutto è a servizio del Regno.

            Simeone e Anna sono anziani e profeti, e il dono della profezia li rende perennemente giovani nella sapienza di una vita vissuta con il Signore.

            È lo Spirito che li fa profeti, perché è lo Spirito che conosce le profondità di Dio e fa vedere la sua azione nel mondo. Quindi ciò che conta è accogliere lo Spirito, invocarlo incessantemente e vivere nell’attesa del compimento delle promesse del Signore.

            Stupenda provocazione per le consacrate e i consacrati di oggi, chiamati anch’essi a far riconoscere l’opera di Dio nella storia della Chiesa e del mondo, a vedere ciò che gli altri non vedono, ad alimentare così la speranza che il Signore viene davvero e aiutare umilmente ad attenderlo nella quotidiana e operosa vigilanza.

            Il Servo di Dio, Giovanni Paolo II, scriveva: “Chi attende vigile il compimento delle promesse di Cristo è in grado di infondere speranza anche ai suoi fratelli e sorelle, spesso sfiduciati e pessimisti riguardo al futuro”(esort. ap. Vita consecrata, n. 27 c).

            Anche il popolo di Dio, nelle sue prove non piccole né rare, attende da coloro che seguono Cristo più da vicino un’efficace testimonianza di serenità e fiducia.

            In una società, attraversata da una cultura dal cui orizzonte è scomparsa la speranza del futuro di Dio, i figli della Chiesa e, tra loro in modo singolare i consacrati, si sentano abitati dalla speranza.

            Noi Vescovi abbiamo scritto che l’eclissi della speranza “si manifesta a volte negli stessi ambienti ecclesiali, se è vero che a fatica si trovano le parole per parlare delle realtà ultime della vita eterna” (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 2).

            Radicata nella vocazione battesimale e nell’universale chiamata alla santità, la vita consacrata ha senso nell’essere memoria viva che la Chiesa è sempre in cammino incontro al suo Signore. Ne è un esempio la pagina evangelica in cui a Maria e Giuseppe che salgono al tempio si fanno incontro Simeone e Anna che riconoscono nel Bambino il Signore che viene.

            Se calasse questa tensione, che prende nel tessuto vivo della loro esistenza uomini e donne consacrate, si affievolirebbe la luce della lampada che la stessa vita consacrata è chiamata a diffondere nella Chiesa. Per questo sempre Giovanni Paolo II scriveva: “la Chiesa non può assolutamente rinunciare alla vita consacrata”.

            Nella traccia di riflessione in preparazione al Convegno di Verona, siete stati invitati, a essere “narratori di speranza”, proclamando i “mirabilia Dei , le opere eccellenti di Dio”, e abbiamo indicato tra le esperienze da mettere sul “candelabro come profezia di futuro” prima fra tutte la vita consacrata, nella varietà dei suoi carismi messi generosamente a servizio della Chiesa e dell’intera società come semi di speranza.

            La speranza nasce e cresce dove fiorisce la santità, dove Dio è cercato, amato e servito, dove brilla il servizio disinteressato ai fratelli, dove l’attesa del compimento delle promesse di Cristo sostiene il cammino di fedeltà alla propria vocazione tra “le prove del mondo e le consolazioni di Dio”.

            I Santi Fondatori e le Sante Fondatrici sono un “segno indelebile” della santità germogliata nel solco della storia e della vita della Chiesa.

            Dal cielo, con la loro intercessione, sostengano i passi della schiera di uomini e donne che, affascinati dal loro esempio di santità, li seguono e veglino sul cammino della Chiesa italiana di cui, molti di loro sono stati  figli e testimoni di speranza.