Vieni presto Gesรน

Ti stiamo aspettando Gesù. 

Fa' scendere la tua Parola su di noi. 

Abbiamo tanto bisogno di te. 



Tocca il nostro cuore, cambia il nostro stile di vita, 

rendici più generosi, più autentici, più umani. 



Ti stiamo aspettando Gesù. 

Ti aspetta questa tua parrocchia. 

Ti aspettano le nostre famiglie e i bambini, i nostri anziani e gli ammalati. 



Vieni presto, Signore Gesù! 

Non tardare! 

Aiutaci a condividere tra noi il pane del rispetto e dell'amicizia. 

Donaci di spezzare con chi è solo il pane di una stretta di una mano; 

Donaci di donare il pane della fiducia con chi è nella disperazione. 

Gesù, ti stiamo aspettando. 

Non tardare. 

Amen.

(Don Angelo Saporiti)

PREGHIERA SUL SERVIZIO

Signore, 

fa' di noi persone capaci di servire. 

Mettici al servizio dei nostri fratelli e sorelle più soli, 

più emarginati, più bisognosi di cure e di aiuto. 

Dà loro il pane quotidiano insieme al nostro amore 

pieno di comprensione, di pace, di gioia. 

Signore, 

fa' di noi persone capaci di servire, 

per portare l'amore dove c'è l'odio, 

lo spirito del perdono dove c'è l'ingiustizia, 

l'armonia dove c'è la discordia, 

la verità dove c'è l'errore, 

la fede dove c'è il dubbio, 

la speranza dove c'è la disperazione, 

la luce dove ci sono ombre, 

e la gioia dove c'è la tristezza. 

Signore, 

fa di noi persone capaci di servire 

e di vivere solo dell'amore che tu ci doni.

(Don Angelo Saporiti)

La casa di Dio non ha pareti

tempo di tasse (colored)

Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te».

Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa.

Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio.

La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».

(dal secondo libro di Samuele 7,1-5.8-12.14.16)

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

(Dal vangelo di Luca 1,26-38)

    “o signore dell’universo ascolta questo

    figlio disperso

    che ha perso il filo

    e che non sa dov’e’

    e che non sa neanche

    piu’ parlare con te…”

Inizia con queste parole la canzone”Questa è la mia casa” di Lorenzo Cherubini, conosciuto con il nome d’arte di Jovanotti, scritta nel 1997 e contenuta nell’album “L’albero 1997”.

E’ un testo che mi è venuto in mente pensando ai due testi della liturgia della parola di questa domenica: il primo ci presenta il grande re Davide che vuole costruire una casa al Signore, e l’altro è il Vangelo che ancora una volta ci racconta di Dio che trova la sua primissima casa non in un tempio, ma nel ventre di Maria

Jovanotti nella canzone si sente figlio disperso che cerca Dio senza trovarlo…

Mi piace questa punto di partenza della canzone, che sembra rispecchiare la condizione dell’uomo sempre alla ricerca di un luogo dove incontrare Dio e sentirsi nella sua casa.

    La canzone prosegue:

    “…ho un Cristo

    che pende sopra il mio cuscino

    e un budda

    sereno sopra il comodino

    conosco a memoria il cantico

    delle creature

    grandissimo rispetto per le mille sure

    del corano

    c’ho pure un talismano che me l’ha

    regalato

    un mio fratello africano

    e io lo so che tu

    da qualche parte ti riveli

    che non sei solamente chiuso dietro

    ai cieli e nelle rappresentazioni

    umane di te”

Può far sorridere questa visione religiosa che mescola un po’ tutto, e forse può sembrare irrispettoso accostare questo testo ai testi domenicali della Scrittura. Ma secondo me è bene accogliere questa visione “mescolata” delle varie tradizioni religiose per riconoscere che da sempre l’uomo ha tentato di “ingabbiare” Dio in qualche oggetto o luogo sacro, pensando in questo modo di “possedere” Dio a proprio uso e consumo.

Davide, così come ci racconta la Scrittura, vorrebbe costruire un tempio per il Signore che si trova in una precaria tenda, come dai tempi dell’Esodo. Dietro questo desiderio di costruire un luogo sacro per Dio ci sta forse una inconscia volontà di delimitarlo e controllarlo, arrivando a pensare che è l’uomo che fa qualcosa per Dio e non il contrario. Ma Dio, attraverso le parole del profeta Natan, ricorda a Davide che non è lui, piccolo uomo, a fare qualcosa per Dio, ma è da sempre che Dio fa qualcosa per lui. Non sarà il re d’Israele a costruire una casa di pietra per Dio, ma è Dio che farà una casa per Davide. E qui il termine “casa” non indica più un edificio delimitato da pareti e porte, ma è la discendenza, la “casata”…

Dio infatti non ha la propria casa in un luogo fisico, ma in una serie di relazioni umane, e le uniche pareti che possono contenere Dio sono il mondo intero, dove dentro ci stanno tutti gli uomini.

Ed ecco che ad un certo punto della storia biblica appare questa giovane donna della Galilea (località un po’ lontana da Gerusalemme, luogo che conteneva il Tempio ufficiale della religione di Israele). In Maria Dio trova la sua casa, una casa fatta di umanità, di piccolezza, di paure umane e anche di tanta disponibilità.

La casa di Dio è Maria che con il suo “eccomi”, apre la porta affinché Dio trovi dimora.

In Maria ripiena di Spirito Santo, possiamo vedere la Chiesa, cioè noi oggi.

Anche noi come Davide rischiamo di pensare che le nostre chiese di mattoni, piene di statue e tabernacoli, siano la vera e unica casa di Dio. Ma il profeta Natan ricorda anche a noi che è Dio che costruisce la nostra casa, fatta del suo amore, e abitata da fratelli e sorelle che non possiamo cacciare fuori.

Anche Maria, prima vera casa di Dio, ci insegna a non chiudere le porte a Cristo. Ogni volta infatti che diciamo “si” all’amore, alla pace, all’accoglienza, al perdono… in questo modo spalanchiamo, come ha fatto lei, le porte della nostra comunità e della nostra vita, perché Dio abiti in noi così che possiamo trovarlo e servirlo sempre e ovunque fisicamente siamo.

    “questa e’ la mia casa

    la casa dov’e’

    la casa dove posso portar pace

    questa e’ la mia casa

    la casa dove posso stare in pace

    con te

    in pace con te

    questa e’ la mia casa

    questa e’ la mia casa

    questa e’ la mia casa

    questa e’ la mia casa”

    (“Questa è la mia casa” di Jovanotti, da “L’albero 1997”)

Giovanni don

Il significato dell'Avvento

Avvento è essere convinti 
che il Signore viene ogni giorno, 
ogni momento nel qui 
e nell'ora della storia, 
viene come ospite velato. 

E, qui, saperlo riconoscere: 
nei poveri, negli umili, nei sofferenti. 

Avvento significa in definitiva: 
allargare lo spessore della carità! 
Tanti auguri scomodi, allora!

(Don Tonino Bello)

Mi nascosi

Spesso dimentico il suo nome, 

non lo tengo nel cuore e nella mente. 

È assente dalle mie preghiere, 

eppure il suo immenso amore per me 

sa ancora attendere il mio amore. 



Mi nascosi dietro 

il continuo lavoro del giorno, 

mi persi tra i sogni della notte, 

eppure la sua mano inseguitrice 

s'apriva davanti ai miei occhi 

ad ogni mio respiro. 



Riconobbi così che 

lui sapeva la mia strada, 

che era padrone lui 

d'ogni luogo e d'ogni tempo. 



Ora ho un solo desiderio: 

donargli tutto quello che ho, 

pagargli tutto il mio tributo d'amore, 

per aver diritto di prendermi un posto 

nel suo regno.

(Rabindranath Tagore)

La gioia di credere

Poiché le parole non sono fatte 
per rimanere inerti nei nostri libri, 
ma per prenderci e correre il mondo in noi, 
lascia, o Signore, che di quella lezione di felicità, 
di quel fuoco di gioia che accendesti un giorno sul monte, 
alcune scintille ci tocchino, ci mordano, c'investano, ci invadano. 

Fa' che da essi penetrati come "faville nelle stoppie" 

noi corriamo le strade di città accompagnando l'onda delle folle 

contagiosi di beatitudine, contagiosi di gioia. 

Perché ne abbiamo veramente abbastanza 

di tutti i banditori di cattive notizie, di tristi notizie: 

essi fan talmente rumore che la tua parola non risuona più. 

Fa' esplodere nel loro frastuono il nostro 
silenzio che palpita del tuo messaggio.


Madeleine Delbrel

MA TU MI HAI TROVATO

Pellegrino sulla terra, 

ogni giorno ti cerco, 
ma dove trovarti, Signore? 
Raccogli il tuo sguardo 
verso il fondo del tuo cuore:
sono lì che ti cerco. 

Affamato di giustizia, 
al mattino spero in te, 
come placare la mia fame? 
Accogli l'eucaristia 
e la mia vita condivisa: 
il tuo desiderio è la mia speranza. 

Angosciato dal silenzio, 
la sera ti invoco, 
il mio grido, lo senti salire? 
Impara ad ascoltare, 
esorcizza la paura: 
il mio silenzio ti chiama. 

Attratto dal Padre, 
appostato ti attendo la notte, 
Gesù, verrai presto? 
Io busso alla tua porta 
e mi pongo in attesa: aprimi, 
sono impaziente di essere accolto. 

Pellegrino sulla terra, ogni giorno ti cerco, 
ma tu mi hai trovato, Signore.

(Fr. Maurice de Tamié)

Prometti a te stesso

Prometti a te stesso 

di essere così forte 

che nulla potrà distruggere 

la serenità della tua mente. 



Prometti a te stesso 

di parlare di bontà, 

di bellezza e di amore ad ogni persona che incontri, 

di fare sentire a tutti i tuoi amici 

che c'è qualcosa di grande in loro, 

e di lottare perché il tuo ottimismo diventi realtà. 



Prometti a te stesso 

di pensare solo al meglio, 

di lavorare per il meglio, 

di aspettarti solo il meglio, 

si essere entusiasta del lavoro degli altri, 

come lo sei tu del tuo. 



Prometti a te stesso 

di dimenticare gli errori del passato 

per guardare a quanto di grande puoi fare in futuro, 

di essere sereno in ogni circostanza 

e di regalare un sorriso 

ad ogni creatura che incontri, 

di dedicare così tanto tempo 

a migliorare il tuo carattere 

da non avere tempo per criticare gli altri. 



Prometti a te stesso 

di essere troppo nobile per l'ira, 

troppo forte per la natura, 

troppo felice per lasciarti vincere dal dolore.

(Christian Larson)

Credo in te amico

Credo in te, amico. 

Credo nel tuo sorriso, 

finestra aperta del tuo essere. 

Credo nel tuo sguardo, 

specchio della tua onestà. 

Credo nelle tue lacrime, 

segno che condividi gioie e tristezza. 

Credo nella tua mano, 

sempre tesa per dare o per ricevere. 

Credo nel tuo abbraccio, 

accoglienza sincera del cuore. 

Credo nella tua parola, 

espressione di quel che ami e speri. 

Credo in te, amico, così, 

semplicemente, 

nell'eloquenza del silenzio.

(Elena Oshiro)

 

GIOIRE NELLA PROVA

Sarà un Natale sottotono, dicono gli esperti. 

Vorrei vedere il contrario! 

La crisi economica che sta travolgendo il mondo, complessa a articolata ma sempre e comunque una nostra creatura!, fragilizza le nostre vite, ci rende insicuri. La festa di Natale rappresenta il culmine dello shopping, ma quest'anno dobbiamo fare i conti con gli aumenti dei beni di prima necessità e agiamo tutti con maggiore prudenza. 

Quanto attuali risuonano, allora, gli inviti alla fiducia e alla gioia presenti in questa terza domenica di avvento! 

Il mondo ci dimostra ampiamente i suoi limiti, le false promesse di benessere diffuso e di crescita globale fanno i conti con la dura realtà: ogni progetto, anche il più virtuoso, si confronta con l'egoismo umano, con i pochi che, già ricchi, sono travolti dalla bramosia del potere e della ricchezza, impoverendo gli altri. 

Dobbiamo trovare delle soluzioni comuni e condivise, certo, ma dobbiamo anzitutto guardare con autenticità alla natura umana e ai suoi limiti. 

Solo uno sguardo che sa andare oltre, che volge l'attenzione verso l'altrove può costruire un mondo diverso. 

Rimanere nella gioia, allora, significa fare una scelta di campo, schierarsi. 

Gioire non è, anzitutto, un'emozione, ma un gesto di volontà. Si può gioire anche nella difficoltà. 

Come fanno gli esiliati di Gerusalemme. 



Ritorni 

Ricordate la prima lettura di domenica scorsa? Quando un nuovo scrittore riprende in mano il libro di Isaia, la profezia si è avverata: sono i persiani, ora, a dominare la scena politica: i babilonesi sono sconfitti e gli ebrei liberati, dopo settant'anni di deportazione. Il rientro a casa è difficile e pieno di pericoli ma, la cosa peggiore, è che a Gerusalemme nessuno più si ricorda di loro. I deportati vengono confinati al margini della città, sull'altura di Sion, le loro terre sono ormai coltivate da altri, ebrei senza scrupoli approfittano della crisi finanziaria (!) per prestare a tassi di usura e un'inattesa carestia porta alle soglie della morte gli scampati. Sopravissuti alla prigionia, ora rischiano di morire di stenti nella città che li ha dimenticati. E Isaia, il cosiddetto terzo Isaia, profetizza e invita tutti alla gioia. 

Nel dolore la verità si fa più chiara, scrive uno visionario Dostoevskij, e, a volte, è vero. 

Per restare nella gioia occorre fede, una prospettiva diversa. 

Se la gioia mi deriva dall'emozione di realizzare un sogno, di possedere un oggetto da sempre desiderato, è fragile e qualunque ostacolo la può distruggere. Se la mia gioia è riposta in Dio, come sono invitati a fare i deportati, posso coltivare la speranza per il futuro.



Preghiera 

La gioia dell'altrove che mi permette di vivere il dolore presente con fiducia nasce dalla preghiera, afferma Paolo scrivendo ai Tessalonicesi. Un preghiera che non è l'insistente richiesta di risoluzione dei problemi, ma l'abbandono fiducioso in chi può darmi la forza per affrontare ogni notte, ogni dolore. 

È possibile prepararsi al Natale nonostante la grande fatica che stiamo sperimentando. 

È possibile vivere con una gioia che nasce dalla fede ed è nutrita, nello Spirito, dalla preghiera. 

Cristo nasce nei nostri cuori, se lo desideriamo. Lo incontriamo vegliando su noi stessi, lasciando che l'interiorità riprenda il suo spazio nelle nostre vite travolte dagli affanni. 

Ma esiste una condizione, semplice. 

Per poter accogliere Dio che nasce, dobbiamo camminare verso l'autenticità. 



Chi sei? 

Giovanni riceve la visita degli inviati del Sinedrio che si interrogano, loro, i detentori del potere a proposito di questo strano personaggio che non si spaventa neppure di fronte alle autorità religiose, che non ne enfatizza il ruolo, che tira diritto per la sua accidentata strada. 

«Chi sei?», chiedono. Giovanni è chiaro: lui non è il Cristo. 

Potrebbe pensarlo: gli altri lo pensano di lui (bisognosi come siamo di Cristi). 

Potrebbe approfittarne, cedere alla più subdola delle tentazioni, quella del delirio di onnipotenza. No, dice Giovanni, lui non si prende per Dio. Anche lui, come i penitenti, ne è disperatamente alla ricerca… 

Giovanni ci ammonisce: solo riconoscendo il proprio limite, che è opportunità e non mortificazione, possiamo diventare liberi per accogliere il Dio fragile che nasce. Solo riconoscendo che non abbiamo in noi tutte le risposte, possiamo metterci alla ricerca. Solo entrando nel profondo di noi stessi possiamo trovare la nostra vera identità in Dio. 



Voce 

«Chi sei, allora?». Chi siamo, allora? 

La logica mondana dice: sei ciò che produci, sei ciò che appari, sei ciò che guadagni, sei ciò che guidi, sei ciò che conti, sei quanto urli. Giovanni sa che non è così, che è illusoria e menzognera questa logica, che, mai, siamo ciò che possediamo o facciamo. 

Giovanni ha pensato e ha capito, l'attesa spasmodica di un messia hanno creato dentro di lui uno spazio che saprà riconoscerlo e riconoscersi. 

«Chi sei, allora?». Un mistico? Un provocatore? Un guru? 

No, egli è voce. 

Voce, voce prestata ad una Parola, voce che amplifica un'idea non sua, voce, che fa riecheggiare un'intuizione di cui anch'egli è debitore. 

Poco, vero? O tutto? 

Ci immaginiamo sempre di essere dei grandi, di compiere (o scrivere) cose memorabili, di restare nella storia o, perlomeno, nella piccola storia delle persone che amiamo. 

Dio ci svela cosa siamo in profondità. 

Tu, amico lettore, cosa sei? Cosa dici di te stesso? 

Forse sei pazienza, o attesa, o sorriso, o perdono, o sogno, o inquietudine. 

Contrariamente alla falsa idea del cattolicesimo che mortifica e castra le ambizioni degli uomini ("Se Dio c'è io sono fregato", pensa Erode), il Vangelo ci svela un Dio che ci aiuta a cogliere la verità di noi stessi.

Paolo Curtaz