Se siamo un mondo senza pace

Se siamo un mondo senza pace, la colpa non è di questi o di quelli, ma di tutti. Se dopo venti secoli di Vangelo siamo un mondo senza pace, i cristiani devono avere la loro parte di colpa.
Tutti abbiamo peccato e veniamo ogni giorno peccando contro la pace. Se qualcuno osa tirarsi fuori dalla comune colpevolezza e farla cadere soltanto sugli avversari, egli pecca maggiormente, poiché, invelenendo gli animi, fa blocco e barriera col suo fariseismo.
Se la colpa di un mondo senza pace è di tutti, e dei cristiani in modo particolare, l’opera della pace non può essere che un’opera comune, nella quale i cristiani devono avere un compito precipuo, come precipua è la loro responsabilità.
Ogni sforzo verso la pace ha una sua validità: chiunque vi provi dev’essere guardato con fiducia e benevolenza. Il politico può far delle cernite, porre delle pregiudiziali: il cristiano mai. Il cristiano non può rifiutare che il male, per comporre universalmente ogni cosa buona.
La pace è un bene universale, indivisibile: dono e guadagno degli uomini di buona volontà.
La pace non s’impone (“Non ve la do come la dà il mondo”); la pace si offre (“Lascio a voi la pace”). Essa è il primo frutto di quel comandamento sempre “nuovo”, che la germina e la custodisce: “Vi do un comandamento nuovo: amatevi l’un l’altro”.

(Don Primo Mazzolari)

Orazione per la pace

Signore, noi abbiamo ancora le mani insanguinate, dalle ultime guerre mondiali, così che non ancora tutti i popoli hanno potuto stringerle fraternamente fra loro;

Signore, noi siamo tanto armati che non lo siamo mai stati nei secoli prima d’ora, e siamo così carichi di strumenti micidiali da potere, in un istante, incendiare la terra e distruggere forse anche l’umanità;

Signore, noi abbiamo fondato lo sviluppo e la prosperità di molte nostre industrie colossali sulla demoniaca capacità di produrre armi di tutti i calibri, e tutte rivolte ad uccidere e a sterminare gli uomini nostri fratelli; così abbiamo stabilito l’equilibrio crudele dell’economia di tante Nazioni potenti sul mercato delle armi alle Nazioni povere, prive di aratri, di scuole e di ospedali;

Signore, noi abbiamo lasciato che rinascessero in noi le ideologie, che rendono nemici gli uomini fra loro: il fanatismo rivoluzionario, l’odio di classe, l’orgoglio nazionalista, l’esclusivismo razziale le emulazioni tribali, gli egoismi commerciali, gli individualismi gaudenti e indifferenti verso i bisogni altrui;

Signore, noi ogni giorno ascoltiamo e impotenti le notizie di guerre ancora accese nel mondo;

Signore, è vero! Noi non camminiamo rettamente;

Signore, guarda tuttavia ai nostri sforzi, inadeguati, ma sinceri, per la pace del mondo! Vi sono istituzioni magnifiche e internazionali; vi sono propositi per il disarmo e la trattativa;

Signore, vi sono soprattutto tombe che stringono il cuore, famiglie spezzate dalle guerre, dai conflitti, dalle repressioni capitali; donne che piangono, bambini che muoiono; profughi e prigionieri accasciati sotto il peso della solitudine e della sofferenza: e vi sono tanti giovani che insorgono perché la giustizia sia promossa e la concordia sia legge delle nuove generazioni;

Signore, tu lo sai, vi sono anime buone che operano il bene in silenzio, coraggiosamente, disinteressatamente e che pregano con cuore pentito e con cuore innocente; vi sono cristiani, e quanti, o Signore, nel mondo che vogliono seguire il Tuo Vangelo e professano il sacrificio e l’amore;

Signore, Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace.

(Paolo VI)

E Dio creò il padre

 

Quando il buon Dio decise di creare il padre, co­minciò con una struttura piuttosto alta e robusta.

Allora un’angelo che era lì vicino gli chiese: «Ma che razza di padre è questo? Se i bambini li farai alti come un soldo di cacio, perché hai fatto il padre così grande? Non potrà giocare con le biglie senza met­tersi in ginocchio, rimboccare le coperte al suo bam­bino senza chinarsi e nemmeno baciarlo senza quasi piegarsi in due!».

Dio sorrise e rispose: «E vero, ma se lo faccio piccolo come un bambino, i bambini non avranno nes­suno su cui alzare lo sguardo».

Quando poi fece le mani del padre, Dio le mo­dellò abbastanza grandi e muscolose.

L’angelo scosse la testa e disse: «Ma… mani co­sì grandi non possono aprire e chiudere spille da ba­lia, abbottonare e sbottonare bottoncini e nemmeno legare treccine o togliere una scheggia da un dito».

Dio sorrise e disse: «Lo so, ma sono abbastanza grandi per contenere tutto quello che c’è nelle tasche di un bambino e abbastanza piccole per poter strin­gere nel palmo il suo visetto».

Dio stava creando i due più grossi piedi che si fos­sero mai visti, quando l’angelo sbottò: «Non è giu­sto. Credi davvero che queste due barcacce riusci­rebbero a saltar fuori dal letto la mattina presto quando il bebè piange? O a passare fra un nugolo di bambini che giocano, senza schiacciarne per lo meno due?».

Dio sorrise e rispose: «Stà tranquillo, andranno benissimo. Vedrai: serviranno a tenere in bilico un bambino che vuol giocare a cavalluccio o a scaccia­re i topi nella casa di campagna oppure a sfoggiare scarpe che non andrebbero bene a nessun altro».

Dio lavorò tutta la notte, dando al padre poche parole ma una voce ferma e autorevole; occhi che ve­devano tutto, eppure rimanevano calmi e tolleranti. Infine, dopo essere rimasto un po’ sovrappensiero, aggiunse un ultimo tocco: le lacrime. Poi si volse al­l’angelo e domandò: «E adesso sei convinto che un padre possa amare quanto una madre?».

(Erma Bombeck)

Degli studenti universitari ebbero come compito per il fine settimana un lungo e caloroso abbraccio al loro papà.

«Non posso farlo» protestò uno, «mio padre mo­rirebbe».

«E poi» disse un altro, «mio padre sa che lo amo».

«Allora è facile» replicò il professore. «Perché non lo fai?».

Il lunedì seguente tutti parlavano, sorpresi, di co­me fosse stata soddisfacente l’esperienza.

«Mio padre si è messo a piangere!» diceva uno. E un altro: «Strano. Mio padre mi ha ringraziato».

BUONA FESTA DEL PAPA’

 

Una notte luminosa

elevazione ecclesiale (colored)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
(dal Vangelo di Giovanni 3,14-21)

E’ notte quando Nicodemo, capo dei Giudei, si reca da Gesù.
La collocazione temporale che l’evangelista sottolinea non è affatto casuale, ma aiuta anche ad entrare nello stato d’animo di Nicodemo e nella sua situazione di fede.
Forse nel suo desiderio di conoscere meglio Gesù possiamo riconoscere il nostro desiderio; forse nel suo “buio interiore” possiamo riconoscere anche le nostre oscurità d’animo.
Ci sono tante esperienze della vita che tendono a “spegnere la luce” della nostra fede e a farci apparire la fede e Dio come qualcosa di spento e oscuro.
Leggere questa pagina del vangelo è come seguire Nicodemo e metterci ad ascoltare le sue domande e le risposte di Gesù, che sono scritte anche per noi oggi.
In questi giorni nella mia parrocchia abbiamo avuto il lutto grande della morte di un giovane di 22 anni, Daniele, che con la sua moto è volato addosso ad una macchina che procedeva in senso contrario e stava per svoltare. Un giovane stava andando a casa dalla sua famiglia che lo aspettava per cena, e un padre stava accompagnando i figli alla scuola di musica. Lo schianto ha gettato una improvvisa oscurità su queste due vite e queste due famiglie. Si è spenta la felicità e la vita di un ragazzo giovane, della sua famiglia e degli amici. Ma anche dall’altra parte si è spenta improvvisamente la normalità e serenità della vita, con un fatto che segna tutta la vita.
E’ in questo tipo di buio che Gesù, Maestro interiore, ha qualcosa da dire per ridare luce e speranza.
A Nicodemo Gesù ripropone una immagine biblica che il capo dei Giudei aveva ben presente: Mosè innalza su un palo un serpente di rame perché chiunque del popolo è morso dai serpenti nel deserto non muoia ma trovi immediata guarigione. Per un conoscitore della Scrittura come lo era Nicodemo, quella era una immagine di perdono e di misericordia. I serpenti segno di punizione per il popolo infedele durante l’Esodo, sono sconfitti dal serpente innalzato da Mosè.
Gesù si lega a questa immagine per dare un senso alla sua storia, e soprattutto un senso a quello che sta per vivere, cioè la sua morte sulla croce e la sua resurrezione.
Gesù innalzato sulla croce ed elevato sulla morte, è guarigione della vita, è segno concreto di un amore che non è mai oscurato dalla morte, è invito a credere in Dio e nell’amore che Dio ha messo nell’uomo.
Credere non è tanto immagazzinare e accettare una serie di conoscenze e regole, ma prima di tutto è credere nell’amore di Dio, credere nella misericordia che c’è dentro la storia di Gesù. Fede è credere che non c’è notte così oscura da non poter trovare alla fine la luce della pace e dell’amore. Fede è credere che possiamo amare, per quanto oscura possa essere a tratti la nostra vita e le nostre incoerenze.

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio…
non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo,
ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui…
Chi crede in lui non è condannato…”

Queste sono parole che non sono solo da leggere e ragionare, ma prima di tutto sono da pregare, da far entrare proprio la dove ci sentiamo oscurati e soli.
Queste sono parole che vorrei scendessero nei cuori della famiglie di Daniele, nei cuori dei suoi amici e nel cuore del padre che accompagnava con la sua macchina i figli a scuola di musica.
Queste parole di Gesù volevano in quel tempo illuminare Nicodemo, e la notte di Nicodemo è diventata pian piano luminosa…
Questa luce è anche per noi, e per tutti coloro che ancora oggi cercano luce nelle proprie notti.

Giovanni don

L’uomo che pregava in silenzio

Una volta un sacerdote stava camminando in chiesa, verso mezzogiorno, passando dall’altare decise di fermarsi lì vicino per vedere chi era venuto a pregare. In quel momento si aprì la porta, il sacerdote inarcò il sopracciglio vedendo un uomo che si avvicinava; l’uomo aveva la barba lunga di parecchi giorni, indossava una camicia consunta, aveva una giacca vecchia i cui bordi avevano iniziato a disfarsi. L’uomo si inginocchiò, abbassò la testa, quindi si alzò e uscì. Nei giorni seguenti lo stesso uomo, sempre a mezzogiorno, tornava in chiesa con una valigia… si inginocchiava brevemente e quindi usciva.

Il sacerdote, un po’ spaventato, iniziò a sospettare che si trattasse di un ladro, quindi un giorno si mise davanti alla porta della chiesa e quando l’uomo stava per uscire dalla chiesa gli chiese: “Che fai qui?”. L’uomo gli rispose che lavorava nella zona e aveva mezz’ora libera per il pranzo e approfittava di questo momento per pregare, “Rimango solo un momento, sai, perché la fabbrica è un po’ lontana, quindi mi inginocchio e dico: “Signore, sono venuto nuovamente per dirTi quanto mi hai reso felice quando mi hai liberato dai miei peccati… non so pregare molto bene, però Ti penso tutti i giorni… Beh Gesù… qui c’è Jim a rapporto”.

Il padre si sentì uno stupido, disse a Jim che andava bene, che era il benvenuto in chiesa quando voleva. Il sacerdote si inginocchiò davanti all’altare, si sentì riempire il cuore dal grande calore dell’amore e incontrò Gesù. Mentre le lacrime scendevano sulle sue guance, nel suo cuore ripeteva la preghiera di Jim: “Sono venuto solo per dirti, Signore, quanto sono felice da quando ti ho incontrato attraverso i miei simili e mi hai liberato dai miei peccati… non so molto bene come pregare, però penso a te tutti i giorni… beh, Gesù… eccomi a rapporto!”.

Un dato giorno il sacerdote notò che il vecchio Jim non era venuto. I giorni passavano e Jim non tornava a pregare. Il padre iniziò a preoccuparsi e un giorno andò alla fabbrica a chiedere di lui; lì gli dissero che Jim era malato e che i medici erano molto preoccupati per il suo stato di salute, ma che tuttavia credevano che avrebbe potuto farcela. Nella settimana in cui rimase in ospedale Jim portò molti cambiamenti, egli sorrideva sempre e la sua allegria era contagiosa. La caposala non poteva capire perché Jim fosse tanto felice dato che non aveva mai ricevuto né fiori, né biglietti augurali, né visite. Il sacerdote si avvicinò al letto di Jim con l’infermiera e questa gli disse, mentre Jim ascoltava: “Nessun amico è venuto a trovarlo, non ha nessuno”. Sorpreso il vecchio Jim disse sorridendo: “L’infermiera si sbaglia, però lei non può sapere che tutti i giorni, da quando sono arrivato qui, a mezzogiorno, un mio amato amico viene, si siede sul letto, mi prende le mani, si inclina su di me e mi dice: «Sono venuto solo per dirti, Jim, quanto sono stato felice da quando ho trovato la tua amicizia e ti ho liberato dai tuoi peccati. Mi è sempre piaciuto ascoltare le tue preghiera, ti penso ogni giorno… beh, Jim… qui c’è Gesù a rapporto!»”.

(Anonimo)

L’ateo e la rupe

Un ateo precipitò da una rupe.

Mentre rotolava giù, riuscì ad afferrare il ramo di un alberello, e rimase sospeso fra il cielo e le rocce trecento metri più sotto, consapevole di non poter resistere a lungo.

Allora ebbe un’idea.

“Dio!”, gridò con quanto fiato aveva in gola.

Silenzio! Nessuna risposta.

“Dio!”, gridò di nuovo.

“Se esisti, salvami e io ti prometto che crederò in te e insegnerò agli altri a credere”.

Ancora silenzio! Subito dopo fu lì lì per mollare la presa dallo spavento, nell’udire una voce possente che rimbombava nel burrone.

“Dicono tutti così quando sono nei pasticci”.

“No, Dio, no!” egli urlò, rincuorato.

“Io non sono come gli altri. Non vedi che ho già cominciato a credere, poiché sono riuscito a sentire la tua voce? Ora non devi far altro che salvarmi e io proclamerò il tuo nome fino ai confini della terra”.

“Va bene”, disse la voce. “Ti salverò. Staccati dal ramo”.

“Staccarmi dal ramo?”, strillò l’uomo sconvolto.

“Non sono mica matto!”.

(Anonimo)

La porta piccola è sempre aperta

Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento, ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, marocchini e giovani drogati.

Di tutti i tipi e di tutti i colori. Si vedeva bene che erano infelici e disperati. Barbe lunghe, occhi cisposi, mani tremanti, stracci, sporcizia. Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po’ di consolazione e di coraggio per vivere; ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.

Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città come se avesse una sua personale zattera di salvezza. Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato e lo leggeva. Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca.

Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte. La lettura del bigliettino faceva effetto subito. Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio.

Che cosa c’era scritto su quel misterioso biglietto? Sei piccole parole soltanto: “La porta piccola è sempre aperta”. Tutto qui.

Era un biglietto che gli aveva mandato suo padre. Significava che era stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa. E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta. Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto. Il mattino dopo, quando si sveglio, accanto al letto, c’era suo padre. In silenzio, si abbracciarono.

Il biglietto misterioso spiega che c’è sempre una piccola porta aperta per l’uomo. Può essere la porta del confessionale, quella della chiesa o del pentimento. E là sempre un Padre che attende. Un Padre che ha già perdonato e che aspetta di ricominciare tutto daccapo

(anonimo)

Una reliquia della Passione

Se dovessi scegliere
una reliquia della tua Passione,
prenderei proprio quel catino
colmo d’acqua sporca.
Girare il mondo con quel recipiente
e ad ogni piede
cingermi dell’asciugatoio
e curvarmi giù in basso,
non alzando mai la testa oltre il polpaccio
per non distinguere
i nemici dagli amici,
e lavare i piedi del vagabondo,
dell’ateo, del drogato,
del carcerato, dell’omicida,
di chi non mi saluta più,
di quel compagno per cui non prego mai,
in silenzio
finché tutti abbiano capito nel mio
il tuo amore.

Luigi Santucci

Dio non si compra

Tempio e ici (colored)

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
(dal Vangelo di Giovanni 2,13-25)

Finita la messa domenicale mi piace molto scendere in mezzo alle persone invece di passare velocemente dall’altare alla sacrestia per togliermi gli abiti liturgici e risistemare le mie cose. Di solito, durante il canto finale mi dirigo alle porte della chiesa e cerco di intercettare prima possibile le persone che escono.
E’ un momento molto prezioso, secondo me, questo della fine della celebrazione, perché mi fermo a salutare e scherzare un po’ con i fedeli. Mi piacerebbe che la stessa cosa coinvolgesse tutti e non scattasse la voglia di “scappare” il prima possibile a casa. E di fatto vedo che molti rimangono dentro e fuori chiesa a chiacchierare e salutarsi. E’ una cosa che trovo molto bella!
Ricordo la reazione di un parroco di una parrocchia dove ero andato a celebrare la messa, il quale, alla vista di questo mio fermarmi, mi riprese subito in modo deciso, usando più o meno le parole di Gesù del Vangelo: “ la chiesa non è un mercato!”, invitandomi così ad uscire e chiacchierare fuori sul sagrato. E lo stesso invito fu rivolto a coloro che si erano fermati a parlare tra di loro in vari angoli della chiesa.
Ma quale mercato? Non stavo comprando e vendendo nulla… Al contrario sentivo fondamentale per me avere un contatto umano e fraterno con coloro con i quali avevo appena celebrato l’Eucarestia, il sacramento più grande della comunità e fratellanza cristiana.
Sicuramente il parroco, mosso da intenzioni buone e da zelo spirituale, non voleva che venissero disturbati coloro che erano rimasti a pregare dopo la messa. Mi chiedo però che cosa ci sia ancora da pregare dopo aver celebrato la preghiera più grande, e se non sia il caso di dare più importanza ai fratelli e sorelle con i quali si è appena pregato, invece di isolarsi di nuovo nella preghiera personale…
Tornando all’accusa di “mercato” di fine messa, mi sono davvero chiesto se il rimprovero di questo parroco fosse del tutto condivisibile. Non metto in discussione la buona fede, ma personalmente, non credo che sia questo il mercato che spesso si rischia di consumare tra le pareti delle nostre chiese.
Spesso il “mercato” è proprio durante la messa stessa, e inizia nel momento in cui noi pensiamo che Dio si possa comprare con qualche liturgia, preghiera o offerta: più prego più ottengo, più messe faccio celebrare più assicuro a me e ai miei cari la benevolenza di Dio…
Bisogna ammettere e non dimenticare che molte delle bellezze artistiche delle nostre chiese sono state possibili con la “vendita” dei sacramenti. La Chiesa ha da sempre condannato la pratica di “vendere” i sacramenti (peccato di simonia), ma di fatto molto spesso le cose sono andate diversamente. E’ necessario ricordarlo e non smettere di chiedere perdono a Dio di questo.
Ma siamo sicuri che in fondo in fondo non è anche questa la nostra mentalità? Siamo sicuri che il nostro modo di avvicinarci alla preghiera non sia un po’ “contaminato” da questa mentalità “commerciale” che trasforma Dio in un datore di servizi, che sono pagati con la moneta delle pratiche religiose e delle offerte?
Gesù, con l’azione clamorosa e chiassosa, di cacciare i mercanti dal tempio, vuole far capire ai suoi contemporanei che la mentalità “mercantile” non è più valida.
Il Tempio di Gerusalemme, struttura molto vasta, fatta di cortili e porticati, era il luogo dove si portavano le offerte con le quali si rendeva culto a Dio. E’ da ricordare che anche Maria e Giuseppe, quando andarono con Gesù bambino a Gerusalemme, fecero la loro offerta per la purificazione, come era prescritto dalla Legge, e offrirono “una coppia di tortore o giovani colombi” (Luca 2,22-24). Alcuni spazi del Tempio erano dunque pieni di mercanti che vendevano tutto quello che era necessario per il culto e per le offerte. I cambiavalute erano più che necessari per facilitare chi veniva da lontano e aveva altre monete.
Gesù dunque compie un gesto profetico, che ha l’intenzione di cancellare questa pratica religiosa, così radicata da far dimenticare che in fondo Dio è gratuità assoluta che niente può comprare.
Come dice bene il testo di Giovanni, il gesto del Maestro fu compreso pienamente solo dopo la sua morte e resurrezione, cioè nel tempo nuovo della fede in Cristo.

Questo tempo è il nostro! Il Tempio di Gerusalemme e il suo tipo di religiosità sono finiti, Gesù è l’unico Tempio dove abita Dio e dove noi lo possiamo incontrare.
La Messa nelle nostre chiese rinnova la comunione con Dio e tra noi fratelli e sorelle che portiamo il nome di Cristo iscritto in noi con il Battesimo. Il nostro culto non rende Dio più grande e non lo avvicina a noi di più di quello che già ha fatto e continua a fare. Le nostre liturgie non comprano Dio, ma ci inseriscono ancor di più in Cristo, in modo che il suo stile di vita, le sue parole e la sua stessa persona entrino nella nostra vita, nelle nostre parole e profondamente nella nostra persona.
Dio non si compra… Dio non è in vendita.
Non c’è moneta, offerta e nemmeno liturgie e preghiere che lo possano comprare.
Ma la preghiera, e specialmente la messa, ci fanno acquistare i fratelli e le sorelle che pregano con noi. E’ questo l’acquisto più bello che facciamo ogni volta che ci raduniamo la domenica.
Finita la messa è bello dunque fermarsi e godere di questo acquisto che abbiamo fatto gratis. E’ Gesù che, con la sua morte e resurrezione, ha pagato per noi…

Giovanni don

 

 

Il Muro

In un deserto aspro e roccioso vivevano due eremiti. Avevano trovato due grotte che si spalancavano vicine, una di fronte all’altra. Dopo anni di preghiere e feroci mortificazioni, uno dei due eremiti era convinto di essere arrivato alla perfezione.
L’altro era un uomo altrettanto pio, ma anche buono e indulgente. Si fermava a conversare con i rari pellegrini, confortava e ospitava coloro che si erano persi, e coloro che fuggivano; tutto tempo sottratto alla meditazione e alla preghiera, pensava il primo eremita, che dissaprovava le frequenti, anche se minuscole, mancanze dell’altro.
Per fargli capire in modo visibile quanto fosse ancora lontano dalla santità, decise di posare una pietra all’imboccatura della propia grotta, ogni volta che l’altro commetteva una colpa.
Dopo qualche mese davanti alla grotta c’era un muro di pietre grigie e soffocante. E lui era murato dentro.

Talvolta intorno al cuore costruiamo dei muri. Il nostro compito più importante è impedire che si formino muri intorno al nostro cuore. E soprattutto cercare di non diventare una “pietra in più nei muri degli altri”.

Bruno Ferrero