Occorre vivere

Non basta accumulare anni. Occorre vivere. Non è sufficiente aggiungere anni alla vita. Bisogna aggiungere vita agli anni. La vita non è questione di prolungamenti, aggiunte, supplementi, ma di intensità, profondità, autenticità.
E‘ un desiderio più che legittimo quello di vivere a lungo. Purché si viva veramente, in pienezza, da uomini. Può essere doloroso portare certi pesi, e ricevere certi colpi. Ma più doloroso ancora, e quasi insopportabile, è vivere senza pesi e non sapere perché. Può essere
faticoso percorrere una certa strada in salita e ingombra di sassi. Ma
più faticoso ancora, e senz‘altro disumano, è camminare su una strada
di facilità, e non domandarsi dove conduce. Si dice: vita da cani, o da
somari. Ci si lamenta, si impreca. Ma, bene o male, uno ce la fa. E‘ a
vivere ogni giorno da uomo che non sempre si riesce.

(F. Locci) 

La giusta tentazione

tentazioni politiche 2013 (colored)

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
(dal Vangelo di Luca 4,1-13)

Questa estate, nel viaggio in Israele con i giovani delle parrocchie del paese e accompagnato dal carissimo amico don Fabiano, un giorno è stato dedicato al cammino nel deserto di Giuda. E’ lo stesso deserto nel quale è collocato il racconto del Vangelo di questa prima domenica del cammino quaresimale.
Mentre leggevo questo passo, non ho potuto far a meno di pensare alla mia esperienza, che non è stata di quaranta giorni, ma di poche ore. Il deserto è davvero affascinante, specialmente per chi come me non lo ha mai visto se non attraverso foto o film. E’ dunque assai difficile immedesimarsi in pieno con chi ci vive oggi e con lo stesso Gesù allora. Ma sicuramente ho sperimentato almeno lontanamente il clima di estrema essenzialità dell’ambiente. Il deserto, con la sua assoluta semplicità di elementi (poca acqua, pochissima vegetazione e quindi zero ombra, quasi totale assenza di animali e persone) diventa il luogo ideale per guardarsi dentro, senza distrazioni esterne. L’evangelista Luca, dopo aver raccontato ampiamente l’infanzia, colloca l’inizio del ministero di Gesù adulto proprio con questi 40 giorni nel deserto.
Gesù è qui per calibrare in modo corretto tutta l’azione che seguirà. E’ qui per ritrovare se stesso e il significato di tutto quel che farà in seguito. Inizia con questo cammino nel deserto il cammino che lo porterà fino alla croce, e oltre ancora…
E’ accompagnato dallo Spirito (così scrive l’evangelista) e anche dal diavolo che tenta di sedurlo.
Da come è scritto sembra che le tentazioni siano state ben di più di quelle descritte, perché il tentatore è con Gesù fin dall’inizio e agisce su Gesù con “ogni tentazione”.
Quelle raccontate sono da prendere come riassuntive di tutto il periodo di “prova” che, come detto, serve a Gesù per sperimentare da un lato la propria capacità e forza, e dall’altro la costante assistenza di Dio attraverso il suo Spirito. Sembra proprio che queste tentazioni siano necessarie per Gesù, e che il diavolo sia in fondo un “collaboratore”, suo malgrado, all’azione formativa di Gesù.
In che cosa consistono queste prove?
Gesù viene tentato nel corpo con le sue giustissime necessità. Gesù ha fame dopo il lungo digiuno, e mangiare è un suo diritto! La seduzione inizia proprio qui, quando il Diavolo vuol far credere all’uomo Gesù che in fondo le esigenze del corpo sono più importanti di quelle dello spirito, e le vuole mettere una contro l’altra. Gesù comprende che non è così, e nonostante la fame non mette al primo posto il pane, ma sempre Dio!
Gesù viene tentato anche nel potere. Il Diavolo gli offre la scorciatoia del potere per controllare e piegare il mondo e le persone alla propria volontà. Ma Gesù ancora una volta mette Dio al primo posto, e lo farà per tutto il resto del suo ministero, quando si manifesterà sempre come servo di chi soffre e servo di chi cerca Dio. Gesù rinuncerà da subito alla gloria umana, specialmente quando questa ha il prezzo della sofferenza altrui e della non libertà degli altri. La vera gloria per Gesù è l’amore, e il vero potere viene dal mettersi al servizio.
Gesù alla fine viene tentato con la religione stessa. Il Diavolo gli mette davanti le stesse parole della Bibbia, rigirandole a proprio vantaggio. Ma Gesù è ancora una volta superiore e sconfigge la manipolazione di Dio. Non si lascia sviare da chi, fingendo di dire che “così vuole Dio”, in realtà vuol far fare quello che lui vuole, e che con Dio non c’entra.
Se Luca ci racconta questo episodio di Gesù nel deserto è perché sa che anche noi, che siamo cristiani e portiamo il nome di Gesù in noi, siamo pure noi da un lato guidati dallo Spirito e dall’altro tentati dal diavolo.
Nel cammino di Gesù nel deserto di Giuda, possiamo vedere noi stessi, e come Gesù qui ritrova il senso del suo ministero, anche noi possiamo riscoprire il senso e le difficoltà continue della nostra vita di fede.
Se con la bocca diciamo spesso il nome di Dio nella preghiera, non è detto che il nostro cuore trovi in Dio la propria forza e pace. Non è mai scontato che Dio nella nostra vita abbia il primo posto. Sono tante le situazioni che ci portano a non fidarci più di Dio e delle sue promesse, e le difficoltà sempre nuove della vita ci portano ad allontanarci da Lui.
Benedetto
In questi giorni non possiamo non pensare a tutto quel che sta succedendo nella vita della Chiesa.
Il papa ha deciso di lasciare e ritirarsi.
Molti mi hanno chiesto cosa ne penso, e io a mia volta ho chiesto cosa ne pensa colui o colei che me lo chiede.
Vedo per adesso un uomo, prima di tutto un uomo, Joseph Ratzinger, che sente il peso degli anni e del fisico che gli rendono ogni cosa più difficile e dolorosa.
Nel deserto della vita ci sono situazioni nelle quali non possiamo fare a meno di verificare i nostri limiti fisici umani. Mi sento davvero di ammirare profondamente questo uomo che riconosce quello che è, senza far finta o nascondere le proprie difficoltà. Lo stesso fece anche il suo predecessore, il papa Giovanni Paolo secondo, che abbiamo visto davvero limitato nel proprio corpo.
Penso che papa Benedetto con la sua storica decisione di lasciare l’incarico, ha superato anche la seconda tentazione raccontata da Luca. Per anni Ratzinger è stato rivestito di un potere non piccolo nel mondo cristiano, e più di una volta lo abbiamo visto vestito e rivestito dei simboli di questo potere che affonda nei secoli la propria tradizione. Il fatto che per il bene più grande della Chiesa, che in questi tempi difficili ha bisogno di una guida forte e sicura, lui lascia il potere con i suoi simboli, mi ha davvero colpito e trovo che incarni la pagina del vangelo di Luca. Nel suo discorso in Sala Nervi, il giorno dopo l’annuncio dell’abbandono del ministero papale, Ratzinger ha detto una cosa fondamentale, cioè che “Gesù non farà mancare alla sua Chiesa la sua cura e la sua guida”. E’ Gesù che guida la sua Chiesa. E’ Lui il vero pastore che dura in eterno. Tutti gli altri sono sempre precari e vengono dopo. Benedetto XVI ha dimostrato che solo Dio ha il primato dell’eternità, e solo a Lui bisogna rendere gloria per sempre.
In un epoca come la nostra nella quale molti cedono facilmente alla tentazione di raggiungere ad ogni costo il potere e a non mollarlo mai (anche a costo di ingannare e fare violenza), Benedetto ha avuto la forza di scendere e lasciare il posto ad altri.
Ritornando allora ancora alla memoria di quelle poche ma intense ore di cammino nel deserto di Giuda, sento che anche in questi giorni nel quali inizio il mio cammino quaresimale, sono chiamato a non aver paura delle tentazioni e delle fatiche. Anche io come Gesù sono da un lato inevitabilmente tentato più volte in molti modi di lasciare il cammino e di non fidarmi più di Dio, ma sono anche continuamente sorretto dallo Spirito. E proprio ora che papa Benedetto rinuncia, lo sento come esempio e testimonianza di fede: Cristo, mio Signore, non mi farà mai mancare la sua guida e la sua cura….
Anche questa consapevolezza mi accompagna e mi ispira nei primi passi dentro i 40 giorni quaresimali.

Giovanni don

 

Ci vado io

Non ti chiederò più, Signore,

di fare qualcosa per i poveri,

di intervenire nelle situazioni disperate,

di cambiare le cose dove tutto va male,

di mandare qualcuno dove c’è bisogno di aiuto.

Questa volta ci vado io.

Prendo io questa cesta di Vita

per fare qualcosa,

per intervenire,

per cambiare le cose.

A distribuire il pane che hai moltiplicato tu,

ci vado io, questa volta.

Usa pure queste mie mani,

il mio sorriso,

la mia voce,

i miei muscoli,

la mia fatica.

Non voglio più lamentarmi

mentre le mie sorelle e i miei fratelli

chiedono di Te.

Vado io a dire loro

dove sei e che cosa fai.

Questa volta, Signore,

conta su di me.

(P. Righero)

La gioia

Noi crediamo alla gioia,
il che non si riduce
a dare prova di ottimismo.
Ci sembra che la gioia cristiana,
quella che il Signore chiama “la mia gioia”,
quella che egli vuole che sia “piena”,
consista nel credere concretamente
– per fede – che noi sempre e dovunque
abbiamo tutto ciò che è necessario
per essere felici.

(M. Delbrel)

Pensare a se stessi

Pensare a se stessi è terrificante, 
ma è la sola cosa onesta: 
pensare a me come io sono, 
alle mie brutte caratteristiche, 
alle mie belle qualità, 
e stupirmene. 
Quale altro concreto inizio, 
da quale punto di partenza progredire, 
se non da me stesso?

(K. Gibran)

Mercoledì delle Ceneri

Ti preghiamo, Signore Gesù, 
fa’ che questa cenere che scenda sulle nostre teste 
con la forza della grandine 
e ci svegli dal torpore del peccato. 

Fa’ che questi quaranta giorni 
siano un occasione speciale per convertire il nostro cuore a te, 
e rimetterti al primo posto della nostra vita. 

Donaci di saper riconoscere il tuo passaggio 
e di vivere ogni istante con la certezza 
che tu cammini in mezzo a noi, 
che tu sai aspettare il nostro passo lento e insicuro; 
che tu sai vedere in noi 
quello che nemmeno sappiamo immaginare. 

In questi quaranta giorni, 
metti nel nostro cuore desideri 
che palpitino al ritmo della tua Parola. 

Maria aggiunga ciò che manca alla nostra preghiera. 

(D. Roberto Seregni)

Voglio gridare

Voglio gridare 
che la vita è indistruttibile, 
nonostante la morte; 
che la speranza è la brezza 
che spazza la disperazione; 
che l’altro è un fratello 
prima d’essere un nemico; 
che non bisogna mai disperare 
di se stessi e del mondo; 
che le forze che sono in noi 
sono forze che possono sollevarci 
e sono inesauribili; 
che si deve parlare l’amore, 
e non parole di tempesta e caos; 
che la vita incomincia oggi 
e ogni giorno, e che è Speranza. 

(M. Grayewski)

Canzone dell’appartenenza

L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L’appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un’apparente aggregazione
l’appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

Uomini
uomini del mio passato
che avete la misura del dovere
e il senso collettivo dell’amore
io non pretendo di sembrarvi amico
mi piace immaginare la forza di un culto così antico
e questa strada non sarebbe disperata
se in ogni uomo ci fosse un po’ della mia vita
ma piano piano il mio destino
è andare sempre più verso me stesso
e non trovar nessuno.

L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L’appartenenza
è assai di più della salvezza personale
è la speranza di ogni uomo che sta male e non gli basta esser civile
è quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa
che in sé travolge ogni egoismo personale con un’aria più vitale
che è davvero contagiosa.

Uomini
uomini del mio presente
non mi consola l’abitudine
a questa mia forzata solitudine
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto un luogo, un posto più sincero
dove un bel giorno magari molto presto
io finalmente possa dire: questo è il mio posto
dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo
per ritrovare il mondo.

L’appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un’apparente aggregazione
l’appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L’appartenenza
è un’esigenza che si avverte a poco a poco
si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo
è quella forza che prepara al grande salto decisivo
che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti
in cui ti senti ancora vivo.

Sarei certo di cambiare la mia vita
se potessi cominciare
a dire noi.

(G. Gaber)

http://www.youtube.com/watch?v=nbdN1Vx8uJo

 

Giorno del ricordo

Foiba

Un filo d’acciaio
taglia l’anima
che grida pietà,
sul ciglio
della morte.
Foiba
parola
che sgretola la vita.
Foiba
parola che inchioda
alla croce,
senza respiro,
senza assoluzione.
Mani e piedi
legati dall’odio
e poi
giù,
nel buio
mentre la tua vita
sfracella
tra le pareti
nere di pietà.
Uomini,
donne,
padri,
madri,
violentati
dalla follia della morte,
dalla pazzia dell’ideologia.
Nella nebbia del tempo
quando
tra le dune
di pietra del Carso
domina la notte,
mi pare di sentire
le voci, i canti e i silenzi
di quegli uomini
che caddero
nel ventre buio della terra
rinascendo
per sempre
nella Luce.

(Marco Martinolli)

Il sorriso e il pesce

pesca miracolosa elettorale (colored)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
(dal vangelo di Luca 5,1-11)

Il santo patrono della nostra Diocesi di Verona è San Zeno, ottavo vescovo della Chiesa veronese, vissuto nel IV secolo . La basilica romanica che contiene il suo corpo si trova in città ed è considerata un capolavoro dell’arte romanica. Tra le varie rappresentazioni di Zeno, quella più famosa e originale è una imponente statua di epoca medievale in pietra, che raffigura il santo con un sorriso accentuato e un pesciolino penzolante attaccato al pastorale. E’ proprio questo piccolo pesce che ha sempre attirato anche la mia attenzione, perché insieme al sorriso, toglie alla raffigurazione solenne una certa rigidità e ispira subito simpatia.
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Si narra che san Zeno vivesse in modo così austero che lui stesso pescava il pesce dal vicino fiume Adige che attraversa la città. Ma non è solo questo il motivo per cui viene rappresentato con il pesce attaccato al pastorale.
La ragione va ricercata proprio nella sua funzione di pastore e successore degli apostoli.
E qui veniamo al brano di questa domenica, ambientato sulla barca di Simon Pietro e degli altri futuri apostoli. Gesù sale su questa barca e compie un prodigio che vuole cambiare la vita di Simone e degli altri. La pesca miracolosa è un segno di quella che è la proposta di vita che il Maestro fa ai pescatori: passare da coloro che pescano il pesce vivo per farlo poi morire alla superfice, a discepoli che pescano gli uomini dalle acque agitate (che nella bibbia sono simbolo spesso del male) della vita, non per dare morte, ma al contrario dare nuova vita.
E’ questo il nuovo “lavoro” di Simon Pietro e degli altri suo compagni, ed è il lavoro che i successori degli apostoli e la Chiesa tutta hanno raccolto in eredità. Infatti ascoltare questo episodio raccontato dall’evangelista Luca, è per noi riascoltare il senso della nostra vita di fede. Siamo chiamati tutti a diventare pescatori di uomini, cioè a spendere la nostra vita personale e comunitaria a creare spazi di vita spirituale, a ridare ossigeno nuovo a chi rischia di affogare nelle acque della vita umana.
La simpatia del pesce attaccato al pastorale di San Zeno allora acquista un significato davvero profondo.
Se il bastone del vescovo (chiamato pastorale) è segno che è la guida del popolo di Dio, il pesce attaccato, ricorda il fine di questa guida, che non è il potere e il controllo delle coscienze, ma è il servizio alla vita. Il pastore è chiamato a dare vita e ossigeno interiore a tutti coloro che guida.
Il sorriso della statua di San Zeno contenuta nella basilica è l’altro elemento che non può rimanere solo una constatazione raffigurativa. Il sorriso sereno è proprio il contrario del muso duro e severo di chi in fondo vive nella paura e genera paura.
Penso a Simon Pietro, che nel racconto di Luca, ha una prima reazione sbagliata al segno che gli è offerto da Gesù: ha paura e vuole allontanare Gesù stesso. Pietro, abituato ad una religione che gli fa vedere solo i propri sbagli e a commiserarsi delle proprie piccole e grandi incoerenze, non riesce subito a decifrare il vero significato del miracolo dei pesci. Pensa che Dio sia li per sottometterlo e a punirlo con la sua potenza, per questo ha paura. Mi viene in mente la paura di Maria difronte all’annuncio dell’angelo. E come per Maria c’è stato un invito chiaro a “non temere”, così anche Simon Pietro è invitato a non chiudersi nella paura, ma a continuare a fidarsi di Gesù, come Gesù si fida di lui (è salito sulla sua barca…).
Ecco allora che il sorriso di San Zeno invita i successori degli apostoli e tutti noi cristiani, a non aver paura, sentendoci scelti prima di tutto da Gesù, non in base alle nostre capacità, ma in base al suo amore, che vede più in la delle nostre stesse paure.

Giovanni don