La vera conoscenza

Donaci, Signore,
una vera, nuova e più approfondita
conoscenza di te.
Anche attraverso le parole
che non comprendiamo,
fa’ che possiamo intuire con l’affetto del cuore
il mistero tuo che è al di là di ogni comprendere.
Fa’ che l’esercizio di pazienza della mente,
il percorso spinoso dell’intelligenza
sia il segno di una verità
che non è raggiunta semplicemente
coi canoni della ragione umana,
ma è al di là di tutto
e, proprio per questo, è la luce senza confini,
mistero inaccessibile e insieme nutritivo
per l’esistenza dell’uomo,
per i suoi drammi e le sue apparenti assurdità.
Donaci di conoscere te, di conoscere noi stessi,
di conoscere le sofferenze dell’umanità,
di conoscere le difficoltà
nelle quali si dibattono molti cuori
e di ritornare a una sempre nuova
e più vera esperienza di te.

Amen

(C. M. Martini)

La tua volontà si compia in me

In questo istante, o mio Dio, 
liberamente e senza alcuna riserva, 
io consacro a te il mio volere. 
Purtroppo, Signore, la mia volontà 
non sempre si accorda con la tua. 
Tu vuoi che ami la verità 
e io spesso amo la menzogna. 
Tu vuoi che cerchi l’eterno 
e io mi accontento dell’effimero. 
Tu vuoi che aspiri a cose grandi, 
e io mi attacco a delle piccolezze. 
Quello che mi tormenta, Signore, 
è di non sapere con certezza 
se amo te sopra ogni cosa. 
Liberami per sempre da ogni male, 
la tua volontà si compia in me: 
solo tu, Signore, sii il mio tutto.

(S. Teresa d’ Avila)

Una Chiesa con il fuoco dentro

Spirito in ferie (colored)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
(dal Atti degli Apostoli 2,1-11)

Una delle più classiche rappresentazioni pittoriche di quello che è raccontato nella Scrittura il giorno di Pentecoste è quella del gruppo degli Apostoli radunati nel cenacolo, con Maria, sui quali scendono piccole fiammelle di fuoco. L’atteggiamento dei personaggi dipinti è in genere quello della preghiera mista a stupore. Raramente (anzi, che io sappia, mai…) l’evento della Pentecoste è rappresentato con gli Apostoli che escono dal cenacolo e iniziano a parlare in lingue diverse, annunciando la resurrezione di Gesù a tutti i popoli del mondo radunati davanti alla porta del luogo dove erano chiusi. Si dice sempre che è proprio quel giorno, con il dono dello Spirito, che nasce la Chiesa come comunità di testimoni di Gesù. Ed è da subito una Chiesa che ha come missione principale quella di comunicare a tutti il Vangelo, superando paure, divisioni, nazionalità e razze. Nulla può fare da ostacolo ora alla diffusione del messaggio di Gesù.
Nelle rappresentazioni classiche della Pentecoste la missione cattolica (nel senso letterale che significa “universale”) della Chiesa sembra una cosa più secondaria. In realtà il “fuoco” dello Spirito Santo che viene da Dio entra nella Chiesa e la spinge ad uscire e andare verso tutti. Non è uno dono divino che serve solo come consolazione intima, ma è una vera forza di propulsione che rompe dentro gli Apostoli le catene delle loro paure e delle loro consuetudini, che rischiavano di “zavorrare” a terra gli amici di Gesù (erano infatti tornati a lavorare come pescatori come prima dell’incontro con Gesù, e a pregare al Tempio come il solito, come se nulla fosse accaduto…)
BallonKathedrale
Qualche giorno fa mi è stata mandata da un amico via internet una immagine molto curiosa: una mongolfiera che ha come pallone gonfiato di aria calda l’enorme sagoma di una chiesa. Ci sono delle gare nel mondo dove si compete a costruire mongolfiere dalle forme più originali: animali, personaggi e monumenti famosi. Questa aveva questa forma di una grande chiesa barocca con ben due campanili.
L’impressione è proprio quella di una chiesa volante, con sotto un piccolo cestello per le persone e con il sistema che produce, attraverso una fiamma regolata, l’aria calda che gonfia e fa volare la mongolfiera.
Ecco una bella immagine di Pentecoste, mi sono detto!
Il fuoco dell’unico Spirito scalda la Chiesa al suo interno e non solo le dà la forma (altrimenti si sgonfierebbe informe), ma la fa alzare e volare. Lo Spirito, come il fuoco regolato della mongolfiera, scalda nei momenti giusti la Comunità dei cristiani e fa in modo che la Chiesa si alzi e vada oltre gli stretti confini dove rischia di ancorarsi e sgonfiarsi. E proprio come succede nelle mongolfiere, per alzarsi e regolare il viaggio, è necessario liberarsi delle zavorre e pesi inutili che non fanno alzare la mongolfiera.
E qui la domanda diventa personale e comunitaria: di cosa dobbiamo liberarci perché la fiamma dello Spirito faccia davvero alzare e viaggiare la Chiesa, facendola anche diventare punto di riferimento per ogni uomo?
Certamente una zavorra è la paura e la tentazione di chiudersi in piccoli gruppi, credendo tutti gli altri nemici da combattere. Questo è stato il rischio anche della primissima comunità degli Apostoli. Erano chiusi nel Cenacolo per paura, ma la discesa dello Spirito del Risorto, dona loro coraggio e determinazione, e spalanca loro le porte alla missione universale.
Altre due zavorre senza dubbio sono il desiderio di potere e la ricerca della ricchezza. Mi piace che papa Francesco continui a insistere su una Chiesa povera e missionaria invece che ricca e carrieristica. Si avverte davvero un soffio caldissimo dello Spirito che vuole risollevare anche la Chiesa di oggi che per tanti è purtroppo avvertita come un macigno pesante e chiuso, e non certo come una leggera mongolfiera.
Ovviamente lo Spirito Santo non soffia oggi solo sul papa, ma su ognuno di noi, su ogni cristiano che si rende disponibile alla sua azione interiore. Siamo chiamati a salire anche noi nel cestello di questa Chiesa mongolfiera, liberandoci dalle nostre zavorre interiori e materiali per lasciarci sollevare dallo Spirito Santo e salire in alto… e andare lontano.

Giovanni don

La vera giovinezza

La giovinezza non è un periodo della vita, essa è uno stato dello spirito, un effetto della libertà, una qualità dell’immaginazione, un’intensità emotiva, una vittoria del coraggio sulla timidezza. Non si diventa vecchi per aver vissuto un certo numero di anni. Si diventa vecchi perché si è abbandonato il nostro ideale. Gli anni aggrinziscono la pelle, la rinuncia al nostro ideale aggrinzisce l’anima. Le preoccupazioni, le incertezze, i timori, i dispiaceri sono i nemici che lentamente ci fanno piegare verso terra e diventare polvere prima della morte. Voi siete così giovani come la vostra fiducia per voi stessi, così vecchi come il vostro scoramento.Voi resterete giovani fino a quando resterete ricettivi. Ricettivi di ciò che è bello, buono e grande, ricettivi ai messaggi della natura, dell’uomo e dell’infinito. E se un giorno il vostro cuore dovesse esser mosso dal pessimismo e corroso dal cinismo possa Dio avere pietà della vostra anima di vecchi.

(Generale Mac Arthur)

Dalle steppe russe

Spegnimi gli occhi 
e io ti vedo ancora. 
Rendimi sordo 
e odo la tua voce. 
Mozzami i piedi 
e corro la tua strada. 
Senza parole 
a te sciolgo preghiere. 
Spezzami le braccia 
e io ti stringo. 
Se fermi il cuore 
batte il mio cervello. 
Ardi anche questo 
e il mio sangue, allora, 
ti accoglierà, Signore, 
in ogni stilla.

(R. M. Rilke)

L’amore è voler amare

L’amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama; quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa. Se accade che si soccomba a una tentazione, è perché l’amore è troppo debole, non perché esso non c’è: bisogna piangere, come san Pietro, pentirsi, come san Pietro, umiliarsi, come lui, ma sempre come lui dire tre volte: «Io ti amo, io ti amo, tu sai che malgrado le mie debolezze e i miei peccati io ti amo».

(Charles de Foucauld)

Parlami, o Dio, nel mio silenzio

O Dio, 
parla con dolcezza nel mio silenzio 
quando il chiasso dei rumori esteriori di ciò che mi circonda 
e il chiasso dei rumori interiori delle mie paure 
continuano ad allontanarmi da te, 
aiutami a confidare che tu sei ancora qui 
anche quando non riesco a udirti. 
Dammi orecchi per ascoltare la tua sommessa, 
dolce voce che dice: 
“Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi, 
e io vi darò riposo… 
perché io sono mite ed umile di cuore”. 
Che questa voce amorevole sia la mia guida.

(H. J. M. Nouwen)

Dio, artista delle nostre vite

Il Signore guida ciascuno 
per la propria strada, 
e ciò che chiamiamo “destino” 
è l’opera sua d’artista, dell’artista divino 
che si prepara la materia 
e la forma per diverse vie: 
con lievi tocchi di dita 
ma anche a colpi di scalpello. 
Non è materia inerte quella che Dio lavora. 
La sua più grande gioia di creatore 
è che nasce la vita sotto la sua mano, 
che vita gli sgorga incontro, 
quella vita che vi ha posto dentro egli stesso 
e che ora dal di dentro risponde 
ai tocchi lievi delle dita, 
ai colpi di scalpello. 
È così che collaboriamo 
alla sua opera d’artista.

(E. Stein)

Ascensione, Un Finale Con Il Punto Di Domanda

suore madri zitelle (colored)

DOMENICA 12 maggio 2013
Ascensione del Signore

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
(dal vangelo di Luca 24,46-53)

Ricordo un film, “Flash Gordon” del 1980, che si concludeva in un modo molto semplice quanto originale. Nell’ultimissima inquadratura, dopo che tutto sembra felicemente concluso con la vittoria dei buoni sui cattivi, una mano nera in primissimo piano ruba l’anello del potere appena caduto al cattivo sconfitto, l’imperatore Ming. E allora accanto alla scritta “the end” appare un punto di domanda, seguito dai titoli di coda. Un espediente cinematografico che tiene in sospeso lo spettatore e che apre ad un sequel di tutta la storia (un sequel che poi in realtà non c’è stato visto lo scarso successo della pellicola…).
Luca conclude il racconto del suo Vangelo con questo episodio dell’Ascensione: Gesù dopo aver dato le ultime istruzioni ai suoi, li porta in un luogo prestabilito (che in realtà è volutamente tenuto un po’ vago, “verso Betania”) e qui si stacca e viene portato verso il cielo.
E’ finito tutto? Si volta pagina?
I dettagli del racconto ci fanno intravedere un bel punto di domanda accanto alla parola “fine” che saremmo tentati di mettere. Si intravede nel racconto un sequel che non è separabile da tutto quello che fino adesso è stato raccontato. E infatti lo stesso Luca scriverà il racconto dei primi passi della Chiesa proprio a partire da questo racconto della Ascensione di Gesù al cielo, ripresa nel capitolo primo del libro degli Atti deli Apostoli.
Gesù sembra andarsene ma in realtà non è affatto così. L’andare in cielo non è da interpretare come una nuova collocazione spaziale del Maestro. In realtà questo episodio racconta la nuova consapevolezza che i suoi discepoli hanno di Gesù: ora i discepoli hanno capito che Gesù è di natura divina e non un semplice eroico maestro simile a tanti altri prima di lui. Il cielo nella mentalità del tempoè il luogo di Dio. Dire che Gesù sale al cielo, significa comprendere che Gesù è proprio Dio, e in questa identità profonda va intesa ogni sua parola e ogni suo gesto. Tutto quello che segue nella vita dei suoi amici e discepoli ha un riferimento fondamentale nella sua divinità. Ma bisognerà che proprio dal cielo, cioè da Dio venga anche la potenza che sarà la forza della Chiesa, cioè lo Spirito Santo (“io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”), che è l’Amore di Dio che rinnova e dona coraggio.
I discepoli quindi non sono li a vedere Gesù che se ne va dopo che ha fatto tutto quel che doveva fare, e che li lascia soli in modo che si arrangino armati solo della loro buona volontà. Al contrario capiscono che il loro Maestro e Signore continua a vivere e operare in loro proprio perché Dio. Per questo l’evangelista racconta che subito dopo averlo visto salire in cielo, i discepoli tornano a Gerusalemme pieni di gioia. E’ la gioia profonda di chi ha capito che non è stato abbandonato da Dio, e che nulla, nemmeno i propri limiti e debolezze, potrà sconfiggere la forza della loro testimonianza.

Quando noi partecipiamo alla messa o viviamo qualche celebrazione, siamo tentati di mettere, più o meno con senso di sollievo, la parola “the end” alla fine, specialmente quando il canto finale ci “libera” dell’impegno domenicale. Siamo stati bravi e volenterosi, abbiamo fatto il nostro dovere e forse ci siamo guadagnati un po’ di punteggio da impiegare poi in eventuali richieste da inoltrare all’Altissimo.
Ma è questo il modo corretto di relazionarsi con Dio? Penso che il modo migliore di vivere la nostra preghiera e la nostra partecipazione alla messa domenicale, sia quello di mettere sempre un bel punto interrogativo alla parola fine, sentendo la conclusione della preghiera liturgica (sia quella comunitaria che quella che possiamo fare personalmente) come in realtà il “primo tempo” della nostra relazione con Dio nella vita ordinaria fuori di chiesa e dopo la preghiera. Non siamo saliti un attimo da Dio in cielo con il nostro spirito per poi ridiscendere e fare dell’altro o sentirci soli. In realtà la preghiera e l’incontro con Gesù nella celebrazione comunitaria domenicale sono il modo per ricordarci che Gesù è il nostro Dio sempre, e che le sue parole, se le ascoltiamo realmente, hanno una forza incredibile in ogni istante di quel che viviamo. Gesù non si stacca mai da noi, ma vive nella sua comunità e dentro la nostra stessa vita, nei nostri gesti e parole, anche quando questi non sembrano così perfetti e ci accorgiamo del nostro limite.
Una fede matura non è quella senza dubbi e granitica (le statue di granito sono infatti solide ma morte), ma è quella che mette sempre il punto interrogativo anche quando ci sentiamo lontani da Dio o sentiamo Lui lontano, e ci verrebbe la voglia di mettere in discussione tutto. L’ascensione è un invito a sentire il cielo, cioè Dio, sempre aperto verso di noi. Anche quando avvertiamo forte la distanza tra noi e Dio, il Vangelo ci ricorda che sarà sempre Dio a scendere con il suo amore verso di noi, in qualsiasi bassezza ci troviamo.
Domenica prossima infatti ricorderemo che solo quando riceveranno il dono dello Spirito, i discepoli saranno capaci di aprirsi al mondo e a diventare veri testimoni.

Giovanni don

Ho un sogno

Sì, è vero, io stesso sono vittima di sogni svaniti, di speranze rovinate, ma nonostante tutto voglio concludere dicendo che ho ancora dei sogni, perché so che nella vita non bisogna mai cedere.

Se perdete la speranza, perdete anche quella vitalità che rende degna la vita, quel coraggio di essere voi stessi, quella forza che vi fa continuare nonostante tutto.

Ecco perché io ho ancora un sogno…

Ho il sogno che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli.

Questa mattina ho ancora il sogno che un giorno ogni nero della nostra patria, ogni uomo di colore di tutto il mondo, sarà giudicato sulla base del suo carattere piuttosto che su quella del colore della sua pelle, e ogni uomo rispetterà la dignità e il valore della personalità umana.

Ho ancora il sogno che un giorno la giustizia scorrerà come acqua e la rettitudine come una corrente poderosa. Ho ancora il sogno che un giorno la guerra cesserà, che gli uomini muteranno le loro spade in aratri e che le nazioni non insorgeranno più contro le nazioni, e la guerra non sarà neppure oggetto di studio.

Ho ancora il sogno che ogni valle sarà innalzata e ogni montagna sarà spianata.

Con questa fede noi saremo capaci di affrettare il giorno in cui vi sarà la pace sulla terra.

(M. L. KING)