I momenti più belli

La nuova collezione che farò sarà una collezione di sorrisi. 
In questo caso è sicuro, non ci sono ombre; solo luce. 
Mi è capitato una volta per strada così: 
mi sono resa conto che, dietro ai volti chiusi, ci sono cuori che chiedono soltanto di aprirsi. 
E un sorriso è come una porta che si apre. 
Improvvisamente ho trovato il mondo talmente magnifico che ho sorriso alla prima persona che ho incontrato. 
Ebbene, sai cosa? 
Anche lei mi ha sorriso. 
E il mondo è diventato ancora più magnifico! 
Allora ho continuato a sorridere ad un altro sconosciuto, poi ad un altro,…e ad un altro ancora. 
Ed ogni volta era come se mettessi la spina 
e accendessi una nuova piccola luce. 
Avevo l’impressione, continuando così, 
di poter illuminare il mondo intero, a tutti i livelli! 
In quei momenti, sento un amore folle 
che mi attraversa come una dolce violenza.

(dal libro Joy e la ricerca della felicità)

Scusami…

Per le parole che non ho detto e per quelle che purtroppo ho detto. 
Per la mano che non ho teso. 
Per quel grido che ho ignorato. 
Per tutte le volte che ho chiuso gli occhi, quando era più facile. 
Per quel dito che ho puntato. 
Per tutti i sorrisi falsi che ho esibito. 
Per quando ho bevuto tutta la poca acqua che c’era. 
Per tutte le volte in cui ho voluto vedere solo le nubi, 
senza cercare il sole che splendeva dietro. 
Per tutti i doni che avrei potuto condividere 
e che invece ho tenuto gelosamente nascosti. 
Per tutte le volte in cui ho dato ascolto all’urlo della vendetta, 
e ho ignorato il sussurro della speranza. 
Perché non avevo capito che dare fa coppia con ricevere. 
Perché la mia ipocrisia non ha limiti. 
Perché al canto del gallo anch’io dovrò rispondere dei miei “non lo conosco”. 
E, infine, perché do sempre per scontato il tuo perdono.

(C. Carmagnola)

La carità “per caso”

buon samaritano in Italia (colored)

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
(dal Vangelo di Luca 10,25-37)

Non se l’aspettava questo uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, di cadere nell’imboscata di questi briganti. Lui non aspettava questo incontro, i ladri invece si. Sono li apposta, interessati ai suoi averi e non alla sua persona. Questo uomo, nella parabola, rimane senza nome. Non sappiamo chi sia, non sappiamo quale è la sua famiglia e nemmeno il perché di quel viaggio. Non sappiamo nemmeno come si è procurato quei beni che possedeva e che gli sono stati rubati con tanta violenza. Questa indeterminatezza è voluta da Gesù. Questo poveretto è un uomo… ogni uomo che per qualche ragione cade in disgrazia e si trova vittima di una violenza non voluta e totalmente subita.
Mi piace sottolineare anche quel “per caso” che sta all’inizio della parte dove viene narrato il passaggio dei tre personaggi che si trovano sulla stessa strada dopo il fattaccio. Tutti e tre, il sacerdote, il levita e il samaritano, capitano li “per caso”. Anche loro non si aspettavano questo incontro.
Tutti e tre avrebbero buone ragioni per tirare diritto e ignorare questo poveretto mezzo morto. Soprattutto il sacerdote e il levita hanno in più le regole della loro tradizione religiosa che impedisce loro, pena l’impurità, di toccare il sangue dell’uomo ferito. Di fatto i primi due passano oltre, e l’evangelista Luca sembra proprio dare l’idea che il poveretto viene letteralmente scavalcato dai due religiosi che hanno qualcosa d’altro e di più importante di cui prendersi cura.
E’ il samaritano l’unico che si ferma. Perché lo fa? Gesù che è rimasto molto sul vago sull’uomo ferito, sottolinea invece la ragione profonda del gesto del samaritano: “…ne ebbe compassione…”. E’ per questo che si prende cura dell’uomo, che anche per lui è uno sconosciuto trovato per caso lungo la strada.
La compassione è quel sentimento che porta a condividere la pena di chi soffre, anche se la storia e le ragioni della sofferenza sono diverse e sconosciute. Il samaritano vede un po’ di se stesso e delle sue sofferenze in questo mezzo morto per strada, pur non sapendo nulla di lui e nemmeno il perché è li per terra.

Non posso a questo punto non ripensare alle parole chiare e forti di papa Francesco pronunciate a Lampedusa dove si è recato per “compassione” di tutte quelle migliaia di persone che sono morte nei viaggi della speranza dall’Africa all’Europa. Quando ho letto di questi due religiosi che passano indifferenti accanto al ferito, pensando probabilmente che non era compito loro prendersene cura, ho ripensato a Francesco quando nell’omelia della messa ha parlato della “globalizzazione dell’indifferenza” difronte alle migliaia di poveri che perdono la vita nei nostri mari. I mezzi di comunicazione mettono tutti noi sulla stessa strada dei tanti poveri del mondo che scappano dalle guerre e dalle povertà più assurde, eppure ci stiamo abituando all’indifferenza, passando “oltre” con la mente, con il cuore e poi nei fatti.
Il samaritano, con la sua compassione e con il suo impegno concreto nel prendersi cura di quest’uomo, sta li a risvegliarci da questa nostra indifferenza che ci rende complici dei briganti. E se neanche Gesù ha voluto dare tante spiegazioni sull’uomo derubato e percosso, anche noi come cristiani non dobbiamo cercare tante spiegazioni e fare troppi ragionamenti preventivi sui poveri del mondo che bussano alle porte dell’Italia e dell’Europa. Non è un invito ad una carità cieca e “a pioggia”, ma una scossa a fermarci e prenderci cura delle situazioni di povertà, evitando di passare oltre indifferenti ma, come il samaritano, trasformando l’incontro “per caso” in una nuova fraternità dell’amore.

 

Giovanni don

Lo specchio di chi ama

Chi è buono dona un poco, 
chi ama vive per donare. 
Chi è buono sopporta l’offesa, 
chi ama dimentica. 
Chi è buono ha compassione, 
chi ama aiuta. 
Chi è buono sorride, 
chi ama fa sorridere. 
Chi è buono comincia e finisce, 
chi ama comincia per non finire mai. 
Chi è buono fa quel che può, 
chi ama fa l’impossibile. 
Chi è buono aiuta chi sta vicino, 
chi ama sempre sta vicino per aiutare. 
Chi è buono misura il suo aiuto, 
chi ama aiuta senza misura.

(C. De Ambrogio)

Preghiera della strada

Aprimi, o Signore, il sentiero della vita 
e guidami sulle strade dei tuoi desideri; 
insegnami i paesi della tua dimora 
e fa risplendere ai miei occhi la meta delle mie fatiche. 
Dammi di capire la bellezza delle cose 
e le parole che tu esprimi a mio insegnamento 
dalle profondità di essa. 
Donami di comprendere la bontà delle cose 
e di saperne usare rettamente 
per la tua gloria e per la mia felicità. 
La mia preghiera, il mio canto, il mio lavoro, 
tutta la mia vita, siano espressioni 
di riconoscenza verso di te. 
Concedimi di capire gli uomini 
che incontro sul mio cammino 
e il dolore che nascondono, 
quelli che dividono con me la fatica della strada, 
l’amore dell’avventura, 
la soddisfazione della scoperta. 
Dammi il dono della vera amicizia e della vera allegria; 
fammi cordiale, attento, puro, magnanimo, misericordioso. 
Fammi sentire la voce della strada: 
quella che mi invita sulle vie del mondo 
a conoscere sempre più i segni del tuo amore, 
quella che batte il cammino dei cuori, 
che conosce il sentiero delle altezze 
dove tu abiti nello splendore della verità. 
Lontano da te e dalle tue vie, 
fammi sentire l’inutilità del tutto, 
il silenzio e la sordità delle cose 
e il desiderio della casa. 
A questa casa dammi di poter giungere 
dove tu, per tutti i Santi, sei bellezza vera, 
luce increata, amore pieno, riposo perfetto. 
Amen.

(Anonimo)

Partire

Partire, andare, lasciare tutto, uscire da noi stessi, spaccare la corteccia dell’egoismo che ci rinchiude nel nostro piccolo io.

E’ smetterla di girare attorno a noi stessi, come se fossimo noi il centro del mondo e della vita.

E’ non lasciarsi intrappolare dai problemi del mondo piccino cui apparteniamo.

E’ partire continuamente anche senza percorrere chilometri di strada.

E’ soprattutto accorgersi degli altri, scoprirli, incontrarli, come fratelli e sorelle.

E se, per incontrarli e amarli, è necessario solcare i mari della nostra indifferenza, volare per i cieli dei nostri sogni, allora la strada è partire e raggiungere i confini del mondo.

(Anonimo)

Il mondo che ho voluto

La natura che io ho voluto non è questa qui, 
che cade indifesa, perdendo la bellezza, 
recando tristezza alla terra che ho creato. 

La terra che io ho voluto non è questa qui, 
fatta a pezzi dai ricconi, dalle mani criminose degli uomini che io ho fatto. 

L’uomo che io ho fatto non è questo qui, 
che vive oppresso, che cammina disorientato, 
che cade ucciso nel mondo che io ho fatto. 

Forse ho sbagliato? Ditemelo voi. 
Forse ho messo molta acqua nel mare? 
Forse è il calore del mio sole che brucia? 
Se per caso è così, perdono! Ho sbagliato. 

Adesso vi dico qual è il mondo che io ho voluto: 
le stelle non litigano, il sole non si allontana, 
il mare non invade la terra che io ho fatto. 

Adesso vi dico qual è l’uomo che io ho voluto: 
un uomo libero, fraterno e aperto, 
che fa della vita un canto felice. 

Forse ho sbagliato ad essere troppo buono? 
Forse l’amore, la giustizia e la pace 
non hanno più alcun valore in questo mondo mio? 
Se è così, perdono! Ho sbagliato.

(Canto brasiliano)

Ti auguro…

Ti auguro la fatica 
che farà più grande la gioia che ogni sera proverai 
nel voltarti indietro a guardare il cammino percorso. 

Ti auguro il sole 
che scaldi ogni fibra del tuo corpo 
e ogni sospiro della tua anima. 

Ti auguro la pioggia 
che rinfreschi e disseti l’arsura 
delle giornate troppo aride 
dei deserti della vita. 

Ti auguro il vento 
che ti accarezzi con brezza leggera il viso 
e riempia con il suo soffio il cuore. 

Ti auguro l’amore: 
è Dio che passo dopo passo 
ti condurrà alla meta.

(Massimo Cardoni)

Un pensiero di pace

Io la Pace la penso così, 
come una terra immensa, 
senza frontiere, 
senza confini: 
una terra feconda 
che produca frumento 
per tutte le bocche, 
una terra allietata 
da chiari corsi d’acqua. 

Io la pace la penso così, 
come un abito azzurro; 
azzurro come il manto della nostra Madre Maria, 
azzurro come le speranze 
di tutti i popoli oppressi, 
azzurro come un cielo senza confini spaziali, 
azzurro come lo sguardo della Natura 
quando era immersa nel giardino dell’Eden, 

Io la pace la penso così, 
come un padre che ama, che guida, che corregge, 
che raduna dalle varie lontananze 
il suo gregge, 
chiama per nome ogni figlio e ogni figlia, 
perché la Chiesa è come una famiglia. 

Io la Pace la penso così e Voi?

(A. Marinelli)

In missione mai da soli

missione povera (colored)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
(dal Vangelo di Luca 10,1-12.17-20)

Una delle esperienze più belle che sto facendo in questi ultimi 5 dei miei 20 anni di ministero presbiterale, è la collaborazione pastorale in parrocchia con altri due preti, e anche la collaborazione con alcuni altri preti delle parrocchie vicine (tra i quali l’indimenticabile amico don Fabiano). Sono stato infatti nominato dal vescovo co-parroco di questa comunità insieme ad un altro parroco, don Piergiorgio, che è qui da molto prima del mio arrivo; e qui con noi vive anche un terzo prete, don Gabriele.
Essendo prete da un po’ di tempo ho potuto constatare che una delle cose più difficili della vita presbiterale è proprio la stima e la vera collaborazione tra preti. Se lo dico non è per puntare il dito solamente verso altri, ma proprio perché l’ho constatato in me. Come preti abbiamo la fortissima tentazione di pensare di avere la totalità dei doni e la capacità di fare tutto da soli, specialmente nel campo strettamente religioso e di guida pastorale.
Non è così, e non lo può essere così nemmeno dal punto di vista evangelico: l’annuncio di Cristo non si fa mai da soli, e abbiamo sempre bisogno di qualcun altro che completi quello che noi non abbiamo e non siamo capaci.
E’ significativo che Gesù invii i 72 missionari del Regno di Dio, a due a due. E li manda poveri di tutto, tranne che della relazione tra loro. Infatti sembra proprio che Gesù voglia far sperimentare loro che la forza al messaggio non è nei mezzi materiali, ma nellaa relazione tra loro. La ricchezza di colui che porta il messaggio di Gesù è proprio chi ha accanto a lui a portare lo stesso annuncio.
Se ci sono tanti luoghi dove portare il messaggio di Gesù, perché mai “sprecare” risorse, facendo delle coppie? Non basterebbe un evangelizzatore che da solo va e porta il messaggio, invece di metterti a due a due? In questo modo si dimezzano i luoghi di evangelizzazione!
Ma non si può annunciare l’amore senza che sia prima di tutto una testimonianza di vita! I due che partono per la missione, sanno che la prima predicazione che faranno sarà con la loro stessa vita e da come loro costruiranno il loro rapporto che “comunica” molto più delle loro stesse parole.
E il primo insegnamento che danno è proprio quello che “da soli non si fa nulla”, e che c’è sempre bisogno di qualcuno accanto che mi completi. Infatti solo Gesù ha la pienezza della Verità, i suoi discepoli no.
E’ dunque la comunità (anche quella piccola di due persone soltanto) che porta il messaggio di Gesù nel mondo, con lo stile di comunione e di supporto reciproco.
Devo proprio dire che in questi anni ho potuto sperimentare tutto questo nella collaborazione pastorale in parrocchia e anche fuori parrocchia. Avere accanto alcuni confratelli che stimo e da cui sono stimato, mi aiuta a guardare al mio ministero come parte di un annuncio più grande che mi supera e non è unicamente basato sulle mie forze e competenze. Questo diventa ancor più vero quando guardo ai tanti collaboratori pastorali in parrocchia (catechisti, animatori, volontari, ecc). Con loro sento di avere un rapporto di collaborazione e non di comando. Insieme si annuncia Cristo, secondo i modi e i doni di ciascuno.
Non sono dunque mandato a preparare la strada del Signore in maniera solitaria: più porto l’annuncio di Cristo, più mi accorgo anche che Gesù mi precede e segue, e che faccio parte di un annuncio più grande che non posso conoscere tutto. Anche i 72 discepoli quando portano la pace di Dio, sono chiamati a scoprire dove questa pace è già arrivata anche prima e indipendentemente da loro (…prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi).
La mia gioia quindi come prete non è tanto nei miei successi pastorali ma nel fatto che operando in mezzo alla comunità, insieme ad altri preti come me, scopro che Dio è già presente ed è grande il suo amore per me e per tutti. La mia gioia è quella di sentirmi chiamato (con il Battesimo e con l’Ordinazione presbiterale) a far parte di questo piano di Dio nel mondo.
Giovanni don

 

Scrive Ermes Ronchi:
“Partono, forti di una parola: “Dio è vicino”; vanno, senza pane né sandali né denaro, senza nulla di superfluo. Senza cose. Semplicemente uomini. Ed è un viaggio verso l’uomo essenziale, liberato da tutto il superfluo…. Sarai tanto più vicino a Dio, quanto più sprofonderai nel tuo essere uomo… L’unica preoccupazione dell’annunciatore è di essere infinitamente piccolo. Allora il suo annunzio sarà infinitamente grande”
da Ermes Ronchi, Respirare Cristo, edizioni San Paolo.