Soddisfazioni

Di ritorno da Pievàni, decisi di far sosta al supermercato all’intersezione con la provinciale. Il mio frigo, da qualche giorno, mi appariva tristissimo, vuoto com’era. Dopo appena qualche slalom, fra bancali e pallets carichi di bendidio, il carrello fu presto ben ricolmo (anche se di cose che avrebbero fatto morir dal ridere un dietologo); lo stavo spingendo soddisfatto alla mia macchina quando una zingara, che non avrà avuto più di vent’anni, sbucò all’improvviso dalla penombra crepuscolare della sera strattonandomi il giubbotto.
«Dammi qualche cosa per la creatura che ha fame» mi disse con una maschera di lucida sofferenza agitandomi sotto il naso un biberon opaco, effettivamente vuoto. Seminascosto da coperte luride, che non avrei usato neppure per riporre la mia motosega, uno scricciolo di bambino, paonazzo dal freddo, urlava così forte, tra quelle braccia, che sembrava usare i polmoni della madre.
«Dammi qualche soldo per questa creatura, muore di fame, senti come piange, tu sei ricco…» alludendo al carrello strapieno. Il mio fu un gesto istintivo e repentino: afferrai un tetrapak di latte che fuoriusciva da una delle buste della spesa e glielo appoggiai tra il bambino e il maglione bucato. E tirai dritto. La ragazza smise di querulare, mentre il piccolo continuava a disperarsi. Me ne andai alla macchina, non so perché, turbato. Scaricai la spesa tornando sui miei passi per mettere a posto il carrello. Ma la zingara, che ora mi dava le spalle, era ancora lì, all’entrata del magazzino. Aveva fermato un altro signore al quale, accompagnandosi con gli stessi gesti, andava ripetendo:
«Dammi qualche cosa per la creatura, che ha fame. Tu sei un bello signore… tu sei ricco!»
Rimisi a posto il carrello, in silenzio, proprio vicino al mio tetrapak di latte buttato in un angolo. Nell’urto contro il muro si era accartocciato senza rompersi. Tornato al portabagagli, tirai fuori dalla spesa un piccolo sottovaso che mi doveva servire per il terrazzo. Andai a riprendere il pacchetto del latte, lo aprii versando parte del suo contenuto nel recipiente di fortuna. Posai il tutto. Ebbi solo il tempo di fare pochi passi quando, con la coda dell’occhio, lo vidi scendere elegante dal muretto da dove non mi aveva mai perso di vista. Al grosso gatto fulvo, dai lunghi baffi argentei, bastarono due soli balzi per essere sopra alla ciotola improvvisata. Mi voltai senza fermarmi:
«Certo che ti avevo visto, furbacchione» dissi tra me e me «Cosa credi?»
Ripartii poco dopo. Con un po’ meno di tristezza nel cuore.