Elisabetta della Trinità

 

Nel 1903, Elisabetta Catez, giovane suora carmelitana di Dijon, in una delle sue lettere alla signora Ambry scrive: “Si ricordi che è in lui ed egli si fa sua dimora quaggiù; poiché lo porta nel più intimo di se stessa, può sempre incontrarsi con lui in questo santuario interiore, ad ogni ora del giorno e della notte, in ogni gioia, in ogni prova. E’ il segreto della felicità, il grande segreto dei Santi. Essi lo sapevano bene di essere il tempio di Dio e che unendosi a lui si diviene un medesimo spirito con lui” (Lettera 149).

Con queste parole, la Beata Elisabetta della Trinità mostra uno dei concetti fondamentali della spiritualità carmelitana, quello maggiormente legato alla contemplazione, a quel grado dell’orazione dove la creatura non deve far nient’altro che abbandonarsi a Dio, per poter vivere in comunione con Lui, tanto da poter affermare con S. Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).

Santità e felicità appaiono, in tal senso, come due percorsi paralleli finalizzati entrambi al conseguimento dell’unico vero bene e dell’unico vero amore. In questa nostra riflessione cercheremo di motivare il senso di tali affermazioni, ripercorrendo l’itinerario spirituale della beata Elisabetta della Trinità.

Per Elisabetta il segreto della felicità (così come lei stessa ama definirlo più volte nei suoi scritti) è custodito nel rapporto tra la creatura e il suo Creatore. Tale rapporto ha inizio nel momento in cui l’anima instaura con Dio un dialogo talmente profondo e personale da permettere a Dio di abitare stabilmente nel suo cuore. E’ il segreto dell’anima, il mistero che infiamma il cuore di chi cerca Dio e desidera gustare la Sua presenza. “Quanto si è felici… quando si vive nell’intimità col buon Dio, quando si fa della propria vita un cuore a cuore con lui, un continuo scambio d’amore, quando si sa trovare il Maestro in fondo alla propria anima. Allora non si è più soli mai…” (Lettera 136); “ Vedi, io sono tanto felice e domando al buon Dio di far gustare anche a te le dolcezze del suo amore e della sua presenza. E’ questo che trasforma, che illumina la vita. E’ il segreto della felicità!…” (Lettera 144).

Elisabetta della Trinità, dunque, vive “sopraffatta dalla felicità”, costantemente protesa verso Dio, in un rapporto che lei stessa ama definire “cuore a cuore”. Il suo stare alla presenza di Dio esprime, inoltre, il principale atteggiamento contemplativo della spiritualità carmelitana (“Vive il Signore, alla cui presenza sto” 2Re, 3,14). “E’ il segreto della vita del Carmelo. La vita del Carmelo è una comunione con Dio dal mattino alla sera e dalla sera al mattino. Se non fosse lui a riempire le nostre celle e i nostri chiostri, come tutto sarebbe vuoto! ” (Lettera 179).

Infondo – ricorda il grande filosofo francese Jacque Maritain – “Non vi è che una tristezza, quella di non essere santi”.