Aristotele e le mucc…

Aristotele e le mucche da latte


 


Stavolta si parla di politica! No, calma, calma non voglio parlare del teatrino triste e vergognoso della politica italiana: francamente sono disgustato dai personaggi che calcano le scene della politica italiana. Voglio, in realtà, affrontare un argomento con taglio eminentemente politico nel senso etimologico del termine, ovvero come “sensibilità e tensione verso il bene comune”. Quando Aristotele definiva l’uomo come “animale politico” penso intendesse anche questo: non solo un uomo volto alla socialità, alla collettività ma anche impegnato al bene comune. Per raggiungere il bene comune si deve, per forza, far ricorso alla solidarietà. Se non si è solidali non si può ricercare il bene comune, su questo assunto penso non ci si debba fermare troppo a riflettere. Per questo motivo, nella “società dei consumi”, come è stata felicemente definita la società occidentale contemporanea, è necessario ricorrere ad un commercio equo e solidale ed ad un consumo critico. Il commercio equo e solidale è quel commercio che non si basa sullo sfruttamento ma dà la “giusta mercede all’operaio” ed impone un prezzo equo. Si acquistano le materie prime dal contadino (ad esempio) e le si pagano un prezzo giusto che non riduca in schiavitù l’agricoltore, le si lavorano, le si distribuiscono e le si vendono senza inutili sovraccarichi o profitti squilibrati in favore di un anello del processo produttivo. L’altra faccia della medaglia è il consumo critico: ovvero consumare, utilizzare ma non sprecare, con la consapevolezza che il mancato spreco, oltre che risultare conveniente per colui che non spreca, ha anche una ricaduta positiva sulla collettività. Un esempio banale? La televisione: sarebbe ottima abitudine spegnerla dal pulsante sull’apparecchio e non lasciarla in “stand-by”; quando la si spegne con il telecomando, infatti, l’apparecchio continua comunque ad assorbire una quantità, seppur minima, di energia elettrica. Per quanto mi riguarda il risparmio è minimo, credo si tratti di circa un centesimo d’Euro all’anno, ma se tutti noi lo facessimo e lo moltiplicassimo quindi per tutti gli apparecchi televisivi italiani, si avrebbe un risparmio collettivo che potrebbe diventare interessante (ho fatto un calcolo su due piedi e si dovrebbero risparmiare sui  40.000 Euro l’anno). Questo risparmio porterebbe o ad una diminuzione del prezzo dell’energia elettrica o ad un minor sfruttamento delle risorse. Lo stesso discorso può essere riportato e riprodotto ad altri ambiti della vita quotidiana. Inutile dire che questi sono discorsi “di nicchia” e che la maggior parte di noi trova inconcepibile rinunciare alla comodità di sprofondare in poltrona e premere il pulsante del telecomando e vedersi la tv. O magari non si crede che queste forme di risparmio possano essere in alcun modo praticabili ed utili, continuando così a sprecare a più non posso.


Forse ormai ci siamo mitridatizzati ma il caso Parmalat non è cosa da poco. Se da un lato ci sono i piccoli risparmiatori che si sono visti dilapidare il proprio patrimonio racimolato in anni di fatica e di sacrifici, grazie anche ai cattivi consigli di promotori finanziari e dall’avidità dei dirigenti dell’industria parmense. Dall’altro lato c’è la tragedia dei lavoratori degli stabilimenti Parmalat. Persone che hanno sempre lavorato onestamente ed hanno contribuito in maniera fattiva alla costruzione di un’azienda che pensavano florida e che invece si sta dimostrando un nave piena di falle. A parte la delusione di tipo professionale, per molti si agita lo spettro del fallimento (nonostante la volontà di risanare e portare avanti l’azienda) e quindi della disoccupazione. Persone oneste che, da un giorno all’altro, si trovano in mezzo alla strada magari con competenze professionali ottime ma di nicchia e quindi difficilmente inseribili nuovamente nel mondo del lavoro. Il tutto magari con dei figli a carico. La situazione, dunque, è più seria e complessa di quanto gli organi d’informazione ci fanno sapere, più attenti, come spesso accade, alla minuta cronaca giudiziaria che all’analisi globale della situazione.


Un dato interessante è che negli ultimi mesi da un lato la produzione di Parmalat non è assolutamente diminuita ma che, anzi, la vendite sono aumentate del 16%. Un ottimo risultato, direi. Attribuibile a cosa? Ad una forma di consumo critico che vede la collettività impegnata a dare, a suo modo, una mano alla soluzione del problema di Parmalat, oppure l’inchiesta e l’informazione che gravita intorno hanno un effetto secondario di grande risonanza pubblicitaria (vale il principio “bene o male, purché se ne parli”)? Non so: la prima ipotesi sarebbe consolante e positiva, la seconda…. un po’ da brividi.

2 Risposte a “Aristotele e le mucc…”

  1. Secondo me quello che manca è un pò più di “coscienza critica”, voglio dire: non importa se solo 10 persone spengono la tv dal pulsante (per tornare al tuo esempio), l’importante è farlo! E la stessa cosa vale per mille altre forme di spreco che contraddistinguono la nostra società. Me ne accorgo dalla mia piccola battaglia casalinga per la raccolta differenziata della spazzatura, prevale la mentalità del “tanto non lo fa nessuno, cosa cambia?”!! Credo che il consumo critico potrà partire solo superando questa mentalità.
    Per quanto riguarda il caso Parmalat, non vorrei essere pessimista, ma non sottovaluterei l’effetto “pubblicità” fornito dai telegiornali…a questo proposito, se mi è concessa una piccola divagazione, sarebbe auspicabile che il consumo critico si estendesse anche all’informazione, o pseudo-informazione, a cui siamo “sottoposti” ogni giorno…! Ciao!!! Manu

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