CHE VE NE PARE?

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

(dal Vangelo di Matteo 21,28-32)

Questo dialogo che ascoltiamo tra Gesù e i capi religiosi si svolge in uno dei luoghi più “pericolosi” per Gesù: il Tempio di Gerusalemme. Nel Tempio, centro della vita religiosa e punto di riferimento per gli ebrei del tempo, Gesù si trova spesso a discutere e a dibattere con quelli che sono i suoi “nemici” e che lo porteranno alla croce proprio come bestemmiatore e “nemico della religione”. Poche righe prima, sempre nel capitolo 21, l’evangelista Matteo racconta di come Gesù, entrato nel Tempio, si scontra con i venditori e con coloro che hanno permesso che il luogo dell’incontro con Dio diventasse un mercato.

Alberto Maggi, grande e profondo biblista, in una conferenza dov’ero presente qualche tempo fa, faceva notare come Gesù è davvero più a suo agio con quelli che sono considerati “lontani” rispetto a quelli che sono i più “vicini” a Dio, le persone religiose del suo tempo. Basta pensare che i primi ad accogliere il messia, dopo i suoi genitori, sono proprio i pastori e non i capi religiosi del suo tempo, e dopo i pastori i lontani e misteriosi Magi venuti dall’Oriente e non dalla vicina Gerusalemme. Lungo tutto il racconto del Vangelo Gesù dona i suoi più grandi insegnamenti proprio alle folle piene di pubblicani e prostitute, dalle quali non si fa problemi a farsi toccare. E anche i suoi più stretti collaboratori non se li sceglie tra i teologi contemporanei, ma fra pescatori ed esattori delle tasse. E non possiamo dimenticare come proprio nella sua patria, Nazareth, Gesù troverà poco spazio e accoglienza.

Il Tempio dunque è un luogo difficile per Gesù, e questo davvero suona strano e fuori di logica. Come mai il luogo dove maggiormente ci sono i segni e gli insegnamenti di Dio, è anche il luogo che accoglie più difficilmente la novità del Vangelo? E qui scatta la domanda per me e per noi oggi: “Che ve ne pare?”

    Gesù racconta la parabola dei due figli (che ricorda molto quella più lunga e articolata che troviamo nel Vangelo di Luca, la parabola del figliol prodigo) ai capi religiosi. Sono coloro che credono di stare dalla parte di Dio solo perché insigniti del ruolo di capi e perché non sono pubblicani e peccatori. La loro arroganza religiosa li porta a sentirsi separati da quelli che non sono in linea con il giusto comportamento morale. Sentono di avere il diritto di giudicare da loro stessi chi è dentro e chi fuori, chi giusto e chi ingiusto, chi è con Dio e chi è contro Dio.

    Gesù appositamente parla di due figli, nei quali possiamo riconoscere da una parte i pubblicani e prostitute e tutti coloro che sono considerati lontani, e dall’altra questi capi dei sacerdoti e anziani del popolo. Gesù già con la scelta di parlare di due figli, dice che in fondo tutti sono figli, allo stesso modo, con la stessa dignità di base, con lo stesso trattamento da parte di Dio. Per Dio tutti siamo figli, anche se noi spesso facciamo di tutto per separare in base alla razza, alla condizione sociale, alle capacità e abilità, alla ricchezza e anche alla vita morale. Siamo subito pronti a sottolineare le differenze tra di noi, e cosa ci rende migliori o peggiori gli uni dagli altri, rimanendo sempre in bilico tra incontrarsi e farsi la guerra.

    Per Dio, così come Gesù continuamente insegna, siamo tutti figli. A tutti vengono date le stesse possibilità di fare la sua volontà, anche se in situazioni e occasioni diverse.

    L’unica differenza che c’è è l’accogliere o meno la volontà di Dio nella propria vita, che tradotto in altri termini, è accettare di far diventare vita concreta, là dove siamo e nella condizione dove ci troviamo, gli insegnamenti di Gesù.

    Noi da che parte stiamo? Ci riconosciamo più nel primo o nel secondo figlio?

    Personalmente mi sento a volte l’uno e a volte l’altro. A volte mi sembra di vivere una religiosità di facciata che dice “si” con le labbra, ma nel cuore e poi nei fatti concreti va da un’altra parte. Altre volte mi sento come il secondo figlio, cioè avverto la difficoltà di essere cristiano fino in fondo e mi trovo spesso distante nel vivere la mia fede, ma accetto di rimettermi nella strada delineata da Gesù nel Vangelo.

    E sento che in questo cammino quotidiano di metter in pratica la parola di Dio, non sono solo. Ci sono altri come me, figli e figlie di Dio come me che hanno le stesse fatiche ma anche la stessa voglia di vivere il Vangelo.

    Che ve ne pare?

Giovanni don (www.gioba.it)

 

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