PANI E PESCI

Abbiamo fame, tanta. 
Non la fame di cibo. Quella, almeno in occidente, 
è lasciata al passato. 
Fame di significato, di senso, di pienezza, di felicità, di pace. 
Fame che colmi i cuori, i nostri cuori, ogni cuore. 
Possiamo interpretare la nostra vita come una ricerca di sazietà:
affetti, soddisfazioni, gioie… tutto quello che facciamo,
a pensarci bene, serve a colmare quella fame profonda,
assoluta, che alberga nei nostri cuori. 
Gesù vede la nostra fame profonda.
Sa che non abbiamo in noi stessi la risposta alle grandi domande.
Sa che corriamo il rischio,
come i deportati in Babilonia della prima lettura,
di accontentarci dell'oggi,
senza avere più sogni, senza desiderare più nulla. 
Per sei volte gli evangelisti parlano della moltiplicazione dei pani.
È un miracolo fondamentale, non tanto per la potenza del gesto,
quanto per l'intensità del suo significato.
Gesù prova compassione per la folla, patisce insieme. 
È un atteggiamento profondo, il termine greco soggiacente
ha a che fare con le viscere, un sentimento di profonda condivisione. 
Bene – pensiamo – allora è fatta! 
Se Dio prova compassione per noi certamente risolverà il problema! 
Macché. 

In esilio

Isaia promette al popolo in esilio
un pane gratis che sfamerà ogni cuore. 
In realtà il popolo, in esilio da ormai cinquant'anni, ha la pancia piena.
Si è integrato, ha comperato case in Babilonia,
nessuno pensa più seriamente di tornare
ad una terra che non ha mai visto. 
Pochi torneranno, dopo l'editto di liberazione
e non troveranno pane e miele, ma difficoltà e odio. 
Ma anche il vero volto di Dio. 
Anche noi, a volte, ci accontentiamo delle
piccole e temporanee sazietà che la vita ci offre.
Pensiamo di avere capito e fatto tutto
perché siamo riusciti a realizzare qualche sogno. 
Quanto è difficile suscitare fame in chi ha la pancia piena!
La fame di senso, di felicità, di pace a chi
si accontenta della piccole (legittime) gioie che la vita ci offre! 
Il primo passo verso la conversione è la consapevolezza
del desiderio felicità profonda che portiamo nel cuore. 

Folle 
Molta gente si raduna attorno a Gesù. 
Ha compassione, il Signore, ama il popolo,
sa di cosa abbiamo bisogno.
Non è distratto il nostro Dio, non se ne
sta sulle nuvole a governare le formichine.
Eppure, davanti alla folla, il Signore non
agisce, ma chiede ai suoi di agire. 
Con tanto buon senso i discepoli gli suggeriscono
di ignorare il problema: ognuno si arrangi. 
Non è forse il messaggio che il mondo ci riporta ogni giorno? 
I problemi sono tuoi, affrontali meglio che riesci. 
Gesù non ci sta: la fame si può saziare, quella fisica e quella interiore,
ma ad una sola condizione: mettersi in gioco. 

Pani e pesci 
Non siamo capaci, non abbiamo i mezzi,
non abbiamo sufficiente fede,
abbiamo troppa zizzania nel cuore. 
Ogni scusa è buona per aggirare la richiesta.
Gesù insiste: a lui serve ciò che sono,
anche se ciò che sono è poco. 
La sproporzione è voluta: pochi pani e pesci per una folla sterminata;
è una situazione che produce disagio, sconforto,
la stessa sensazione che proviamo noi quando
cerchiamo di annunciare la Parola, di porre gesti di solidarietà,
di bene. Incontro i miei ragazzi e sto con loro un'ora a settimana:
giochiamo, parliamo, annuncio loro il bel modo di vivere che aveva Gesù.
Poi escono, e per un'intera settimana sentiranno e
vivranno il contrario: violenza, egoismo, opportunismo. 
Vivo come uomo di pace e i miei colleghi
d'ufficio ne approfittano e mi fregano. 
Consacro la mia vita al Vangelo, corro come un pazzo
da una Parrocchia all'altra e la gente
pensa che io sia una specie di funzionario di Dio. 
Occorre arrendersi? 
No: il nostro è gesto fecondo se accompagna l'opera di Dio,
è segno profetico che imita l'ampio gesto del seminatore,
è icona di speranza che imita la pazienza
verso la zizzania del padrone del campo. 

L'altro pane 
Matteo, nel raccontare il gesto di Gesù,
allude chiaramente all'eucarestia della comunità. 
Troviamo la forza per metterci in gioco,
per condividere quel poco che siamo solo e a
condizione di attingere al gesto straordinario di Gesù
che, lui per primo diventa cibo. 
L'eucarestia diventa forza e modello del nostro agire. 
Anche noi, come Cristo, possiamo
diventare pane spezzato per gli altri! 

Paolo Curtaz

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