Volevo scrivere un p…

Volevo scrivere un post per Pasqua. Fare degli auguri che non fossero banali o scontati, ma non ne ero in grado. Non riuscivo a trovare un bell’augurio o una bella riflessione sulla Pasqua da regalare ai lettori dei due blog su cui scrivo. Poi ecco che ho trovato su una rivista (“Campus”) questo fondo di Antonio Socci. L’ho trovato stupendo e… non posso far altro che regalarvelo insieme ai miei auguri di buona Pasqua.


Il Cristianesimo appartiene al novero delle cose che tutti crediamo presuntuosamente di “sapere”. Cosicché resta per i più semisconosciuto, nella sua essenza. Per esempio si è soliti confonderlo con “le religioni”, ovvero con una credenza nell’esistenza di un Dio (o più dèi). Mentre il Cristianesimo appartiene piuttosto al novero dei “fatti storici” che a quello delle “opinioni metafisiche”. Non annuncia infatti l’esistenza di un Dio nei cieli, ma la sua incarnazione sulla terra, la sua individuazione, un certo giorno della storia dell’impero romano. Non suggerisce di sfuggire al mondo, ma chiede di fissare lo sguardo sulla terra accorgendosi di un uomo che sta passando come il Battista che indica ad Andrea e Giovanni, Gesù che sta passando sul greto del fiume. Il Cristianesimo infatti cominciò quel giorno. Egualmente il Cristianesimo non è la religione dell’immortalità dell’anima, ma piuttosto della resurrezione dei corpi. E’ – come diceva Romano Guardini – profondamente “materialista”, ritenendo che neppure un capello di un singolo essere umano sia cosa trascurabile per Dio e vada perduto. Dante ha colto nella resurrezione un aspetto struggente. Nel canto XIV del Paradiso, i beati sono felici oltre ogni immaginazione e ancor più lo saranno, dice il poeta, quando riprenderanno i loro corpi gloriosi:


che ben mostrar disio d’i corpi morti” – scrive Dante – “forse non pur per lor, ma per le mamme,/ per li padri e per li altri che fuor cari/anzi che fosser sempiterne fiamme”.


Questa sorprendente osservazione ha messo un imbarazzo i critici i quali vi hanno ravvisato una contraddizione, dal momento che lascerebbe immaginare un’imperfezione in quella beatitudine. Tuttavia Dante coglie l’aspetto più eccezionalmente umano del Cristianesimo: il desiderio di vedere i corpi risorti manifestato dai beati non è dovuto ad una qualche mancanza avvertita nella propria condizione attuale. Più che il proprio corpo infatti desiderano rivedere le persone amate, cosicché la definitiva felicità del Paradiso significa questo: che nulla è andato perduto della vita terrena, nulla si è dissolto, ma tutto è destinato all’eternità. Lì avremo e potremo rivedere e possedere per sempre quell’espressione degli occhi, quel volto, quei capelli che tanto amasti, quell’istante di entusiasmo che vivesti sulla terra, quell’incanto, quella meraviglia, quella tenerezza di madre o di innamorato, quello struggimento di figlia o di padre, quella sera di Maggio e quel mattino d’estate. Tutto sarà ritrovato.

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