Eucarestia, fusione di corpi

casa di Gesù (colored)

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
(dal vangelo di Marco 14,12-16.22-26)

Al museo del Castello Sforzesco di Milano è conservata l’ultima opera scultorea di Michelangelo Buonarroti, la Pietà Rondanini. Il nome di questo gruppo scultoreo viene dai marchesi Rondanini che la aquistarono nel 1744 per metterla a Roma e che poi, dopo vari passaggi finì a Milano, dove si può ancora oggi ammirare.
La particolarità di questa opera è che è un abbozzo, non è un opera finita. Si dice che Michelangelo vi lavorò fino a pochi giorni prima di morire, nel 1564. Il grande artista rinascimentale iniziò la scultura parecchi anni prima, attorno al 1553. Ne fece una prima versione, ma poi decise di cambiare e iniziò, sullo stesso marmo una seconda versione. Questo cambiamento di impostazione è visibilissimo in vari punti, compreso il doppio braccio destro di Gesù, che Michelangelo aveva iniziato a riscolpire in una posizione diversa.

Il gruppo scultoreo rappresenta Maria in piedi che sorregge il corpo di Gesù, anch’esso quasi in piedi, ma cadente. Il fatto che l’opera sia incompiuta, e che le figure con i volti e le parti delle figure siano ancora in fase di abbozzo e non levigati, accentua ancor di più il senso di fusione tra i due corpi, quello di Gesù e quello della madre. Maria e Gesù, pur se rappresentati nel momento terribile della deposizione dal patibolo della croce, sono abbracciati in una maniera molto dolce e direi, a mio parere, piena di vita e di amore.
Non si sa bene se è Maria che emerge dal marmo di Gesù o viceversa, e questo è estremamente stimolante per una riflessione spirituale davanti alla scultura.
Maria, nella nostra tradizione spirituale, rappresenta la Chiesa, tutti noi. E allora, in questo lavoro incompiuto di Michelangelo così intenso, vedo questa reciproca fusione tra la comunità dei credenti e Gesù morto e risorto. La Chiesa sorregge e mostra al mondo il Signore morto e risorto perché essa stessa è parte di Gesù, e perché la Chiesa è il vero Corpo di Cristo. Senza questa presenza di Gesù nella Chiesa, la Chiesa non ha senso, proprio come nella scultura michelangiolesca Maria è li perché li c’è Gesù, e non avrebbe senso rappresentata da sola.
Quando la sera dell’ultima cena Gesù pronuncia le frasi che poi sono al centro della messa che celebriamo, non intende solo consegnare ai discepoli un nuovo rito e nuove formule, in modo da sostituire quelle antiche ebraiche. Gesù quella sera, nel cenacolo, consegna ai discepoli una nuova identità e una nuova missione: essere il suo corpo nel mondo per portarlo ovunque e verso tutti.
Nella messa a volte siamo troppo attenti ai riti, alle parole e a compiere i gesti in modo corretto e liturgicamente esatto. Ma il rito, fatto di gesti e parole, ha senso se ne conosciamo il fine che è quello di fonderci con Cristo, ritrovando ogni volta la nostra identità di Corpo di Cristo.
Se Gesù ha dato tutto se stesso per il mondo, anche noi possiamo e dobbiamo fare lo stesso.
Questa è la vera Eucarestia da celebrare con la vita…. tutti i giorni, in una continua e quotidiana fusione di corpi, quello nostro e quello di Gesù.

Giovanni don

L’amore è una responsabilità di un io per un tu

L’amore è responsabilità di un io per un tu.
Una nuova concreta esperienza del mondo ti è posta fra le braccia.
Un bambino ti ha preso la mano?
Tu sei responsabile del suo contatto. Una moltitudine umana si muove attorno a te? Tu sei responsabile delle sue necessità.

(Martin Buber)

Il decalogo della gioia

Cristo ti chiede di essere un uomo o una donna capace di portare gioia:

1 – ti chiede gli occhi per guardare la realtà del mondo senza chiuderti in te stesso;
2 – ti chiede la mente per escogitare facezie e battute umoristiche onde riuscire a far sorridere chi piange;
3 – ti chiede orecchie per ascoltare e far tuoi i problemi degli altri, dimenticando le proprie amarezze;
4 – ti chiede le spalle per aiutare i tuoi fratelli a portare la croce, senza infastidirti più di tanto di quella che già tu porti;
5 – ti chiede le braccia per sollevare i pesi che gli altri non riescono a rimuovere, temendo di restare schiacciati sotto di essi;
6 – ti chiede i piedi per andare da chi soffre e portare un sorriso;
7 – ti chiede il cuore per amare chi non ha mai ricevuto una carezza e chi si dibatte tra gli affanni;
8 – ti chiede la bocca per pronunciare parole di incoraggiamento e di consolazione al fine di ridare fiducia nella vita;
9 – ti chiede l’intelligenza e la volontà per diventare sale della terra laddove tutto sembra insipido;
10 – ti chiede di non restare indifferente di fronte al fratello che non riesce a venir fuori dalle tenebre in cui si dibatte e di essere per lui come la luce del sole e come l’aria che respiri.

Porterai gioia e calore, ma ricorda di nasconderti sempre come una viola in un grande prato, della quale tutti sentono il profumo, ma che nessuno riesce a trovare.

(Mons. Grillo)

La felicità

E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose.

Non è quella che si insegue a vent’anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi…
la felicità non e’ quella che affanosamente si insegue credendo che l’amore sia tutto o niente,…
non è quella delle emozioni forti che fanno il “botto” e che esplodono fuori con tuoni spettacolari…
la felicità non e’ quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.

Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose…
…e impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.

E impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall’inverno, e che sederti a leggere all’ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

E impari che l’amore è fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore,
e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.

E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccoli attimi felici.

E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.
E impari che tenere in braccio un bimbo è una deliziosa felicità.
E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami..

E impari che c’è felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c’è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.

E impari che nonostante le tue difese,
nonostante il tuo volere o il tuo destino,
in ogni gabbiano che vola c’è nel cuore un piccolo-grande
Jonathan Livingston.

E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

(Fabio Volo)

Fa amicizia con il mondo intero

E‘ triste la parola ― solo. Tutti, in un momento o nell‘altro, hanno fatto l‘amara esperienza della solitudine. Quante persone sono destinate
non soltanto a conoscere che il mondo è difficile, ma anche a coabitare
con l‘amarezza di essere soli. La solitudine è un grande peso,
specialmente quando non si ha Dio come compagno. Incontriamo
donne e uomini soli in casa, negli ospedali, per le strade delle città,
nelle carceri. Un modo per vincere la solitudine è avere e coltivare
amicizie, allargare le relazioni umane senza pregiudizi. Fa‘ che tutti
quelli che incontri diventino tuoi amici. Fa‘ amicizia con il mondo intero.

(J. Maurus)

Dammi un cuore

O Gesù che tanto mi ami, 
ascoltami, te ne prego. 
Che la tua volontà 
sia il mio desiderio, 
la mia passione, il mio amore. 

Fa’ che io ami quanto è tuo; 
ma soprattutto che io ami te solo. 

Dammi un cuore 
così pieno d’amore per te, 
che nulla possa distrarmi da te. 

Dammi un cuore fedele e forte, 
che mai tremi, né si abbassi. 
Un cuore retto che non conosca 
le vie tortuose del male. 
Un cuore coraggioso, 
sempre pronto a lottare. 
Un cuore generoso, 
che non indietreggia 
alla vista degli ostacoli. 
Un cuore umile e dolce come il tuo, 
Signore Gesù.

(S. Tommaso d’Aquino)

Cielo e terra

E’ bello tutto ciò che unisce
cielo e terra: l’arcobaleno,
la stella cadente, la rugiada,
i fiocchi di neve;
la cosa più bella però
è il sorriso
di un bambino
che non ha ancora dimenticato
i prati del cielo.

(Zenta Maurina Raudive)

L’amore Più Forte Del Terremoto

terremoto 2012 (colored)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
(dal Vangelo di Matteo 28,16-20)

Il terremoto che ha sconvolto l’Emilia in questi giorni, ha demolito numerosissime chiese e fabbriche. Molte sono le case private rese inagibili, e tantissimi gli sfollati che hanno perso tutto, ma colpisce il fatto che, nel panorama delle desolazioni, sono proprio gli edifici di culto e di lavoro che mostrano le ferite più profonde.
Vedendo le numerose immagini dall’alto dei centri storici dei paesi terremotati si vedono soprattutto le chiese aperte e collassate e i campanili spuntati e inclinati.
I segni della storia di fede di queste terre sembrano cancellati per sempre.
I ruderi delle chiese con i tetti crollati e l’assenza di croci sui tetti e campanili, perché caduti a terra, sembrano rappresentare bene il sentimento di sfiducia e di smarrimento spirituale che in questi momenti innegabilmente crescono nel cuore delle persone coinvolte.
Il vangelo ci parla degli apostoli che pur avvicinandosi a Gesù risorto sul monte della Galilea, dubitano.
La distanza tra Dio e l’uomo non è mai azzerabile, e rimane sempre quel margine di dubbio che in certi momenti si allarga e ci fa sentire Dio lontano e forse assente.
Un amico mi ha fatto leggere l’ordinanza mandata a tutti i parroci dai vescovi delle zone terremotate, di non celebrare nelle chiese, anche quelle senza apparenti danni, e di preparare luoghi all’aperto per tutte le funzioni religiose (messe domenicali e feriali, matrimoni, battesimi e funerali). Ho subito pensato a come possa essere penoso e difficile fare questo, ma poi ho pensato anche alla forza dei segni, e a quello che questa situazione può insegnare, anche a me che sono qui tranquillo nella mia chiesa.
Gesù invita i discepoli ad andare in tutto il mondo per essere segno di Dio. Ed è quello che gli apostoli hanno iniziato a fare subito. Non si sono rinchiusi in quattro pareti, ma hanno fatto del mondo, di qualsiasi luogo dove si trovavano, un luogo di testimonianza e di fede.
“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. E’ una promessa che come cristiani siamo chiamati a testimoniare, per far si che ogni uomo si senta immerso (battezzato) in questa presenza di Dio amore.
Se le chiese, segni preziosissimi e bellissimi di una fede passata, sono cadute, non è caduta la possibilità di essere noi come cristiani segno vivo di Cristo vivente.
I terremoti abbattono i muri, anche quelli di cemento e ritenuti erroneamente solidi e antisismici, ma non possono abbattere la capacità umana di essere solidali e di amarsi. Questa è la testimonianza più forte e indistruttibile del Vangelo.
Gesù non ha inviato i discepoli a costruire edifici e monumenti, che spesso sono segno più del potere che di fede, ma ha inviato a insegnare il Vangelo e a creare un mondo immerso in Dio.


Giovanni don

Mi ami tu?

“Mi ami tu?”: è l’ultima domanda di Gesù a Pietro, Pietro era triste al pensiero di aver rinnegato tre volte Gesù, prima della sua crocifissione. Ed ecco il Risorto sta dinanzi a lui. Gesù non lo condanna per il suo rinnegamento. Non prende l’atteggiamento del forte. Non tira sulla corda della cattiva coscienza già attaccata al collo di Pietro.

Nel Cristo vi sono viscere d’umanità: Lui pure durante la sua vita terrena ha percorso cammini d’oscurità.

A Pietro, Cristo dice solo queste tre parole: “Mi ami tu?” e Pietro risponde: “Signore, tu sai che ti amo”. Una seconda volta Gesù riprende: “MI ami tu?”. E Pietro di nuovo: “Ma lo sai che ti amo”. Una terza volta Gesù insiste: “Mi ami più di tutti costoro?” E Pietro scosso: “Signore, tu conosci ogni cosa, tu sai che ti amo”:

Da quel giorno ad ogni essere umano sulla terra, il Cristo instancabilmente domanda: “Mi ami tu?”.

Vi sono giorno in cui ci turiamo le orecchie: la domanda ci è insopportabile. Essa è intollerabile per colui che non ha mai sperimentato l’amore umano, per chi esperimenta solo l’abbandono, o la ferita ricevuta nell’innocenza della sua infanzia.

Essa è intollerabile per noi tutti quando ci rivela quella parte di solitudine che nessuna intimità umana può colmare, quella parte di solitudine nella quale Dio ci aspetta. E quando la rivolta si esaspera, la domanda ci appare come una condanna poiché per amare non basta un atto della volontà.

Lo sappiamo abbastanza? Il Cristo non obbliga mai ad amarlo. Ma Lui, il Vivente, rimane al fianco di ciascuno, come un povero, come un oscuro. E’ presente anche negli eventi più squallidi, nella fragilità dell’esistenza. Il suo amore è presenza non d’un solo istante ma di sempre. Quell’amore d’eternità apre un aldilà al nostro vivere. Senza quell’altrove, senza quell’aldilà, l’uomo non ha più speranza… e svanisce il gusto di procedere. Di fronte a quell’amore d’eternità, lo sentiamo, la nostra risposta concreta non può essere fuggitiva, per un periodo soltanto, con la possibilità di ritornare sulle nostre decisioni in seguito. La nostra risposta non può neppure essere uno sforzo della volontà; taluni vi si infrangerebbero. Essa è innanzitutto un abbandonarsi.

Rimanere dinanzi a Lui, con o senza parole, significa sapere dove riposare il nostro cuore, significa rispondergli da poveri. In questo consiste la molla segreta dell’esistenza, il rischio del Vangelo.

“Anche se talvolta io non so più se ti amo o no, o Cristo, tu sai tutto, tu sai che ti amo”.

Grandi felicità sono offerte a colui che corre il rischio di un tale amore, senza calcolarne troppo le conseguenze. Quando ricerchiamo in primo luogo la felicità per noi stessi, essa a breve o lunga scadenza ci abbandona. Quanto più ardentemente la inseguiamo, tanto più lontano se ne fugge da noi.

Cercatore appassionato del suo amore d’eternità, chiunque tu sia saprai dove riposare il tuo cuore? Attraverso le tue stesse ferite, egli apre la porta della pienezza: la lode del suo amore. Abbandonati, donati. In questo consiste la guarigione delle ferite, e non solo delle tue: già, in Lui, ci guariamo reciprocamente.

(Frère Roger)

Il principio della carità

Gesù Cristo ha insegnato cose grandi, grandissime.

Fra tutte, secondo me, il principio della carità e della giustizia si mette al massimo grado dell’insegnamento della sua dottrina: “Non fare agli altri quello, che non vorresti fosse fatto a te”. (…) Quello che manca, soprattutto oggi, è la carità. Noi non abbiamo più carità per nessuno. (…)

Gesù ha detto: “Amatevi come fratelli”. Ha capovolto tutte le regole della società provocando la più grande trasformazione mai avvenuta da quando l’uomo è comparso sulla terra.

(Enzo Biagi)