Canzone dalla fine del mondo

Ho sognato che il vento dell’ovest mi prendeva leggero per mano, 
mi posava alla fine del mondo tra isole e terre lontane. 
Camminavo al tuo fianco sul molo guardavamo le barche passare, 
mi cantavi una musica dolce più dolce del canto del mare. 

L’orchestra suonava “The blackbird” nel bar sulla strada del porto, 
i pescatori gridavano forte fra il vino, la birra e le carte. 
Raccontavi le storie di viaggi, di strade, di amici caduti, 
di amori incontrati lontano e di amori che il tempo ha perduto. 

E i giorni correvano e il tempo nel sogno volava, 
stringevo la donna delle isole, ballavamo leggeri nell’aria. 
E i giorni passavano e l’oceano li stava a cullare 
e il vento alla fine del mondo portava un canto del mare. 
Seduti fra pietre e brughiere guardavamo i gabbiani volare 
Raccontavi la storia del bimbo che un giorno scappò con le fate 
Ma il vento dell’ovest chiamava ed il cielo d’Irlanda svaniva, 
mi svegliai in una stanza deserta ubriaco mentre il sogno finiva. 

E i giorni che passano sono lunghi e coperti di nero 
mi trascino perduto nei vicoli a maledire una terra straniera 
E i giorni son secoli aspettando di poter tornare 
di nuovo la fine del mondo cullato dal canto del mare

 

Signore, tienimi lontano dal peccato

Signore,
tienimi lontano dal peccato.
Spesso ne rasento il limite,
in quella zona in cui ci si chiede se veramente s’è dato il consenso.
So benissimo che non bisogna essere scrupolosi,
ed è già qualcosa impegnarsi sul serio
con un atto che sia autenticamente atto d’uomo.
So che la fatica viene tenuta in conto e che ci sono momenti
in cui uno non ne può più.
So che l’arco non può essere sempre teso,
e ognuno deve crearsi un angolo di fantasia;
ma so anche che le piccole concessioni s’allargano sempre di più,
la dedizione assoluta viene meno, la generosità si contrae,
la carne si fa debole e il diavolo s’aggira d’attorno a noi.
So che la virtù che sembrava solidissima
può svanire e che non bisogna mai cessare di stare in guardia.

(Louis Lebret)

Siamo di scandalo per Gesù?

particella di Dio (colored)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
(dal Vangelo di Marco 6,1-6)

Gesù scandalizza i suoi paesani. In termini letterali scandalizzare significa “essere d’inciampo”.
Ed è questo l’effetto che Gesù fa’ dal punto di vista interiore e spirituale in coloro che lo conoscono fin da piccolo, e conoscono bene la sua famiglia.
Se sappiamo qualcosa sulla famiglia di Gesù e sul lavoro del padre Giuseppe è proprio da questo passaggio di Vangelo, che ci presenta Gesù nella propria terra natia. È proprio qui che Gesù ha uno dei suoi più grandi fallimenti dal punto di vista della predicazione e nell’operare miracoli.
E’ davvero molto potente la forza negativa del pregiudizio! Blocca persino Gesù e rende Dio impotente!
Forse anche noi con Gesù siamo meravigliati di questo fatto. E’ davvero incredibile che il grande Gesù, potente in parole e opere, sia bloccato e messo in angolo proprio dai suoi conoscenti.
Ma questa meraviglia non ci deve scusare e non ci deve “tirare fuori”.
Se c’è un posto dove Gesù è di casa è proprio la sua bimillenaria Chiesa. C’è da chiedersi veramente se anche nella sua casa di oggi, che siamo noi, Gesù non sia bloccato nelle parole e nelle opere.
Siamo veramente sicuri che con le nostre regole, consuetudini, tradizioni e consolidatissime strutture ecclesiali, in fondo non facciamo un po’ da zavorra alla sempre dirompente e profetica azione di Dio nella storia?
Qualche giorno fa un vecchio amico mi ha ricontattato per gli auguri di compleanno. Sapevo che il suo primo matrimonio era finito da tempo e che aveva iniziato una nuova relazione.
Mi ha chiesto se volevo rivederlo per presentarmi la sua nuova compagna. Ha anche aggiunto che aveva piacere di trovarci nella loro casa e se… volevo anche dare la benedizione alla casa.
Io ho risposto subito di si, senza troppo pensarci. Mi pareva un bell’invito amichevole e anche una richiesta molto bella dal punto di vista spirituale.
Questo amico è rimasto molto sorpreso dalla mia risposta affermativa. “Ma la Chiesa non condanna le coppie come noi?” mi ha subito chiesto. Io gli ho risposto che la Chiesa ha tantissimi insegnamenti, e che certamente sulla loro situazione ha una posizione chiara. Ma gli ho anche ricordato che la Chiesa parla anche di amore, misericordia, accoglienza e che non si rifiuta mai una preghiera se questa è richiesta con sincerità.
Rimango sorpreso anch’io di come la Chiesa sia spesso vista solo come fonte di condanne, divieti e limitazioni. E mi domando quanto noi stessi, che siamo parte viva della Chiesa, facciamo in modo che si pensi in modo diverso. Riprendendo le parole del Vangelo, penso che spesso siamo proprio noi come Chiesa ad essere di “scandalo” a chi vuole incontrare Gesù e sentirlo vicino, perché con i nostri schemi rigidi e le nostre parole fredde siamo a nostra volta di scandalo, cioè “di inciampo”, a Gesù che vuole entrare e operare nel cuore di tutti gli uomini, specialmente quelli più lontani.
Facciamo dunque in modo che Gesù, che nella sua Chiesa ha la sua casa di sempre, non si senta limitato come a Nazareth nell’operare i prodigi dell’amore, ma possa, anche attraverso la nostra collaborazione , guarire e illuminare i cuori… di tutti.

Giovanni don

La croce è troppo pesante

Signore,
la croce è troppo pesante per te
e tuttavia tu la porti
perché il Padre lo vuole, per noi.
Il suo carico è superiore alle tue forze
e tuttavia tu non la rifiuti.
Cadi, ti rialzi e prosegui ancora.
Insegnami a capire che ogni vera sofferenza
presto o tardi, in un modo o nell’altro
risulterà alla fine troppo pesante
per le nostre spalle,
perché non siamo creati per il dolore,
ma per la felicità.
Ogni croce sembrerà superiore alle forze.
Sempre si udirà il grido stanco
e pieno di paura: “Non ne posso più!”.
Signore, aiutami in quell’ora
con la forza della tua pazienza e del tuo amore
affinché non mi perda d’animo.
Tu sai quanto grande può essere
il peso di una croce.
Non ci imputare il diventar deboli,
ma aiutaci a rialzarci.
Rinnovami nella pazienza,
infondimi la tua forza nell’anima.
Allora mi rialzerò di nuovo,
accetterò il mio peso e andrò oltre.

(Romano Guardini)

Conducimi

Signore, fa di me ciò che vuoi! 
Non cerco di sapere in anticipo i tuoi disegni su di me, 
voglio ciò che Tu vuoi per me. 

Non dico: 
“Dovunque andrai, io ti seguirò!”, 
perché sono debole, 
ma mi dono a Te perché sia Tu a condurmi. 
Voglio seguirTi nell’oscurità, 
non Ti chiedo che la forza necessaria. 

O Signore, fa’ ch’io porti ogni cosa davanti a Te, 
e cerchi ciò che a Te piace in ogni mia decisione 
e la benedizione su tutte le mie azioni. 

Come una meridiana non indica l’ora se non con il sole, 
così io voglio essere orientato da Te, 
Tu vuoi guidarmi e servirTi di me. 
Così sia, Signore Gesù!

(J.H. Newman)

Non ne posso più…

Signore, non ne posso più: 
la mia resistenza è agli estremi, 
la mia fede viene meno 
sotto le prove che incalzano. 
Non comprendo più niente. 
Ma per sostenere in pace 
e rimanere vicino a chi soffre 
non è necessario comprendere. 

Non mi abbandonare, Signore, 
tu che mi conosci e sai tutto di me 
e di questo mio povero cuore di carne. 
Tienimi su il cuore, 
e aiutami a superare l’angoscia 
che spesso il male mi dà. 
Rinsaldami la certezza 
che niente va perduto 
del nostro patire perché è tuo 
e ti appartiene 
meglio di qualsiasi cosa nostra. 
Aiutami a credere 
che la tua misericordia 
sta universalmente preparando 
una giornata più buona a tutti.

(Don Primo Mazzolari)

Guidami

Guidami, Luce gentile, in mezzo alle tenebre 
guidami Tu. 
Buia è la notte e la mia casa è lontana: 
guidami Tu. 
Dirigi tu il mio cammino; di vedere lontano 
non te lo chiedo – un solo passo sicuro mi basta. 
In passato non pensavo così, né ti pregavo: 
guidami Tu. 
Amavo scegliere da solo la via; ma ora 
guidami Tu. 
Amavo la luce del giorno e senza timore 
cedevo all’orgoglio – non ricordare, ti prego, il passato. 
A lungo tu mi sei stato vicino; 
posso dunque ripetere: 
guidami Tu. 
Fra acquitrini e paludi, fra crepacci e torrenti 
finché la notte è trascorsa. 
All’alba, quei volti di angeli torneranno a sorridere, 
da me amati un tempo e poi purtroppo perduti.

(John Henry Newman)

Se la nota dicesse

Se la nota dicesse: non è una nota che fa la musica 
…non ci sarebbero le sinfonie. 
Se la parola dicesse: non è una parola che può fare una pagina 
…non ci sarebbero i libri. 
Se la pietra dicesse: non è una pietra che può alzare un muro 
…non ci sarebbero case. 
Se la goccia d’acqua dicesse: non è una goccia d’acqua che può fare un fiume 
…non ci sarebbe l’oceano. 
Se il chicco di grano dicesse: non è un chicco di grano che può seminare un campo 
…non ci sarebbe la messe. 
Se l’uomo dicesse: non è un gesto d’amore che può salvare l’umanità 
…non ci sarebbero mai né giustizia né pace, né dignità né felicità sulla terra degli uomini. 
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota 
Come il libro ha bisogno di ogni parola 
Come la casa ha bisogno di ogni pietra 
Come l’oceano ha bisogno di ogni goccia d’acqua 
Come la messe ha bisogno di ogni chicco 
l’umanità intera ha bisogno di te, 
qui dove sei, 
unico, 
e perciò insostituibile. 

(M. Quoist)

Signore, sii in me per…

Sii, Signore,
in me per rinforzarmi,
fuori di me per custodirmi,
sopra di me per proteggermi,
sotto di me per consolidarmi,
davanti a me per guidarmi,
dietro di me per seguirmi,
tutt’intorno
per rendermi sicuro.

(John Henry Newman)

La cura all’emorragia della fede

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In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
(dal Vangelo di Marco 5,21-43)

L’evangelista Marco intreccia fortemente queste due storie, quella della bambina moribonda e quella della donna malata di emorragia , con l’effetto di amplificare ancor di più il senso di sofferenza e angoscia che Gesù è chiamato ad affrontare.
Le sofferenze sono molte e di diverso tipo in queste due storie parallele.
C’è il dolore fisico della malattia per la bambina e anche per la donna. E nella loro sofferenza hanno in comune il numero 12: la bambina si ammala e muore proprio a 12 anni e la donna vive come morta con una sofferenza infinita lunga quanto l’età della fanciulla.
E la donna avendo questo flusso di sangue irregolare, secondo le rigide prescrizioni religiose dell’epoca, è un’impura, una maledetta da Dio. L’emorragia che la fa soffrire nel corpo, la fa anche soffrire nella vita sociale e religiosa. E anche la malattia della bambina crea sofferenza nella sua famiglia e soprattutto nei suoi genitori, gettandoli in quell’angoscia mista a impotenza che conosco bene anche i genitori di oggi quando hanno un loro figlio o figlia gravemente ammalati.
E a fare da contorno a queste situazioni di sofferenza fisica e morale, ci sta anche la difficoltà delle persone, anche vicinissime a Gesù, a capire la situazione e l’intervento di Dio.
Gesù è rimproverato dai suoi stessi discepoli, nel momento nel quale chiede chi lo ha toccato. I suoi amici infatti sono stupiti da questa domanda visto che è pressato dalla folla. Non comprendono infatti che Gesù ha una sensibilità che va oltre la superfice e coglie anche la più piccola richiesta di aiuto, anche quella nascosta della donna che li tocca il mantello.
E Gesù quando invita alla speranza, finisce addirittura deriso dalla folla che poco prima piangeva per la bambina. Le sue parole (“la bambina non è morta, ma dorme”) sembrano una follia agli orecchi di questa gente abituata a pensare che le cose vanno sempre nella stessa maniera, e che in fondo non c’è vera speranza in Dio.
Quella che sembra essere la maggiore difficoltà nelle guarigioni non sta tanto nella difficoltà della guarigione fisica in se stessa, ma sopratutto nella mancanza di speranza e nell’essersi subito arresi davanti alle difficoltà.
Marco ci racconta anche della fede coraggiosa della donna ammalata di emorragia e della fiducia incrollabile che tiene i genitori della fanciulla legati a Gesù.
La donna malata sfida regole e convenzioni perchè crede che anche il solo sfiorare Gesù la può finalmente guarire, restituendole non solo la salute fisica, ma anche quella sociale e religiosa. E Gesù riconoscerà questo coraggio, dicendo addirittura che è questa fede che l’ha guarita e non solo al potenza che sente uscire da se.
E Giairo e sua moglie, anche difronte alla più inequivocabile prova del fallimento delle loro preghiere, la morte della figlia, non abbandonano Gesù e la speranza che hanno in lui.

In questi giorni il papa ha decretato che padre Pino Puglisi sia proclamato beato, perché martire della fede.
Questo prete ha dato la sua vita, sfidando in modo aperto e coraggioso il cancro della mafia annidato profondamente nelle persone nel quartiere Brancaccio di Palermo, dove era stato mandato parroco.
Padre Pino ha creduto che il Vangelo è salvezza anche la dove non sembra esserci speranza e anche dove tanti hanno fallito nel tentativo di curare questo cancro (come i medici che inutilmente hanno cercato di guarire la donna del Vangelo…). E anche se la feroce malattia della mafia è arrivata ad ucciderlo (il 15 settembre 1993), la sua cura evangelica, fatta di speranza nei giovani e di impegno concreto per la pace, continua a guarire e ad allargare il suo benefico effetto.
Come prete e come cristiano non posso che essere toccato anche io da questa testimonianza vera e così viva. Tante volte anche io perdo la speranza e rischio di abituarmi alla sofferenza e alla visione pessimistica della vita. E posso addirittura arrivare a credere che in fondo le preghiere non sono ascoltate, e che non c’è vera speranza in Gesù.
E’ da questa emorragia della fede che voglio essere guarito.
E so che toccando con il cuore e la mente anche per un solo per un istante il Vangelo… vengo guarito e le paure e chiusure si risolvono.

Giovanni don