La Chiesa nella casa di Elisabetta

fine del mondo e Dio (colored)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
(dal Vangelo di Luca 1,39-45)

Un amico qualche giorno fa si è un po’ sfogato con me e mi ha detto: “A Natale non ci vado a Messa!… non mi riconosco nella Chiesa e posso vivere il mio rapporto con Dio anche fuori”.
Da quel che mi ha spiegato la sua è una vera e propria protesta perché non si sente d’accordo con quel che viene detto specialmente dai suoi vertici, ma anche dai suoi rappresentanti locali, in parrocchia.
La prima cosa che mi è venuta da dirgli non è stato certo un “no, non devi!”, ma un sincero “mi dispiace…”, e poi abbiamo parlato un po’ di questo suo disagio. Penso che in questa condivisione libera e sincera di esperienze abbiamo fatto comunque una bella esperienza di comunità.
Non so se andrà a messa, non solo a Natale ma anche le altre domeniche, e se dunque porterà a compimento il suo desiderio di uscita, certo è che la cosa mi ha fatto pensare alla luce della scena descritta da Luca nel suo Vangelo.
Non siamo certo dentro la storia della prima comunità cristiana, anche perché Gesù deve ancora nascere, morire e risorgere, e manca ancora l’effusione dello Spirito Santo sugli apostoli nel cenacolo.
Eppure la prima comunità cristiana che sente questo racconto della visitazione può specchiarsi e vedere la propria esperienza.
Due donne raggiunte in modo speciale e unico da Dio, si ritrovano insieme nella normalità della loro vita. Non sono nel Tempio, ma in casa, e fanno quello che è normale per due parenti che si ritrovano a farsi visita: il saluto, l’accoglienza in casa e il dialogo.
Da lontano un passante distratto non vedrebbe nulla di insolito che possa attirare la sua attenzione e stupirlo. Ma l’evangelista Luca ci fa avvicinare e ci fa ascoltare il dialogo tra Maria ed Elisabetta.
Si stanno reciprocamente comunicando l’esperienza di Dio. Elisabetta con le sue parole piene di entusiasmo e con un moto di slancio che l’evangelista pennella benissimo con il suo scritto, da’ a Maria un secondo annuncio di quel che le sta accadendo. Se l’esperienza dell’Annunciazione dell’angelo è stato un momento personalissimo e privato di Maria, ora qui diventa esperienza e conferma comunitaria. Elisabetta conferma quel che Gabriele ha detto alla giovane di Nazareth: lei sarà madre del Signore ed Elisabetta ha ricevuto il dono della maternità anche se tutti la dicevano sterile. Davvero nulla è impossibile a Dio!

Il brano riportato oggi dalla liturgia non riporta le parole di Maria immediatamente successive, che sono il cantico del Magnificat, ma possiamo vedere nella preghiera di Maria ricolta a Dio una risposta per Elisabetta. Maria ed Elisabetta si sintonizzano in breve tempo su Dio che per entrambe ha avuto uno sguardo speciale. Queste due donne insieme in quella normalissima casa, nella regione montuosa fuori di Gerusalemme, fanno esperienza di comunità vera.
La conferma più evidente che stanno facendo esperienza di Dio è proprio la gioia profonda che pervade la scena e nasce da dentro le due protagoniste. Elisabetta sente addirittura il bambino nel grembo che sussulta di gioia al solo suono della voce di Maria. Questa gioia profonda nasce e rimane in quella piccola casa tra quelle due donne che saranno chiamate a sfide e sofferenze non piccole nel loro futuro e nel futuro dei loro figli.
Ecco quindi la Chiesa: una comunità che si ritrova nella normalità della vita. I primi cristiani, specialmente fuori dal mondo ebraico, si radunavano infatti nelle case e non nei sontuosi e solitari templi pagani. L’esperienza della fede è rafforzata e confermata dalla condivisione, con il proposito di non giudicarsi mai, ma nel “gareggiare nella stima reciproca” (come dice San Paolo). La comunità ha il compito di confermare l’esperienza personale di fede. Senza comunità c’è il rischio forte di disperdere e di non trovare il senso di quello che Dio in modo misterioso comunica. La fede non si può che vivere nella comunità, e questa non deve schiacciare e limitare il singolo, ma aiutarlo ad armonizzarsi con gli altri, rimanendo se stesso e mai “incasellato” come fosse una truppa di militari.
La gioia profonda è la conferma che la comunità funziona e sostiene i singoli che la compongono. Una gioia che qualche volta sale in superfice ed è fatta di canto, festa e allegria, ma che anche nel dolore e nelle difficoltà rimane nel profondo come senso di appartenenza a Dio e senso della sua presenza in ogni situazione. Una comunità che non comunica questa gioia è una comunità che si sfalda e addirittura porta lontano da Dio.
Questo mio amico, come tanti altri che conosco, sentono la Chiesa non più come una comunità dove sentirsi accolti nella loro esperienza di fede, e invece del clima di gioia sentono un clima di giudizio. In altre parole sentono che la Chiesa non ha il clima della casa di Elisabetta. A me dispiace questo, perché personalmente sento che la mia esperienza di Chiesa è invece proprio quella descritta da Luca. Sento anzi che il mio compito (che è in fondo di ogni cristiano) è di collaborare perché la comunità dei credenti costruisca una comunità così, dove la porta è sempre aperta senza paure ed esclusivismi, e dove lo stare insieme promuove la fede di ciascuno nella gioia.

Giovanni don