La strada in salita

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In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

(dal Vangelo di Luca 1,26-38)

 

Per scendere tra gli uomini, Dio ha scelto una strada tutta in salita. Ma si è rivelata la strada migliore, quella preferita da Dio.

Già Nell’annunciazione narrata da Luca vediamo le scelte difficili e originali che Dio ha fatto, e che possono essere una luce anche per le nostre scelte di fede e di vita.

Prima di tutto la “location” dell’evento che vede l’ingresso fisico di Dio dentro al storia umana: Nazareth di Galilea.

Nazareth tra tutte le città e villaggi che ci sono nella Bibbia non è mai citata, perché in fondo è solo un villaggio piccolo e povero, con le case mezze scavate nella roccia; e per di più si trova in Galilea, cioè nella regione a nord di Gerusalemme, che non gode certo di una bella fama tra gli ortodossi della tradizione religiosa ebraica. E’ un luogo di confine con altre popolazioni, culture e religioni, con tutti i rischi di contaminazione religiosa e tensione sociale. I galilei infatti sono visti come popolazione mediamente rissosa e turbolenta. Gesù da adulto infatti verrà visto in modo negativo dal potere religioso centrale proprio per la sua provenienza (nel Vangelo di Giovanni 1,46 si legge: “Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?»”)

Ecco la prima “salita” che sceglie Dio per scendere nell’umanità.

Ma anche la seconda non è da poco per chi conosce bene la storia biblica e i suoi personaggi.

Maria è il nome di colei che è scelta per diventare madre del Figlio di Dio. Questo nome che a noi suona tanto bello e pieno di dolcezza legata proprio alla Madonna, in realtà nella storia biblica è associato a sfortuna e punizione da parte di Dio, avendo questo nome proprio la sorella di Mosè, punita da Dio con la lebbra. Mai nella Bibbia il nome Maria è associato a personaggi positivi e testimoni di Dio.

Dio sceglie proprio questa donna dal nome sfortunato, in un luogo malfamato ai confini del mondo e in un villaggio senza fama religiosa, e le consegna una vocazione piena di rotture con il passato, a cominciare proprio dal nome del nascituro che sarà imposto da lei e non dal padre, come vorrebbe la tradizione (“lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”).

Ecco la difficile strada scelta da Dio, che però ha intravisto proprio in questa strada la via giusta per arrivare all’umanità. Infatti Maria di Nazareth in Galilea accetta la sua missione sentendosi serva di Dio, cioè capace di fare la sua parte nella strada della Salvezza, che incrocia proprio la sua piccola strada umana invece di passare dalla strada più ovvia di Gerusalemme il grande centro religioso della Giudea, pieno di uomini pii (i farisei) ed esperti della religione (i scribi).

Gesù nasce in salita, proprio come sono le nostre storie personali le storie di molti accanto a noi, piene cioè di contraddizioni e di piccole e grandi incoerenze.

L’annunciazione così come viene raccontata è davvero la rivelazione dell’immenso amore che Dio ha per l’umanità e la profonda fiducia che Lui ha anche per quello che umanamente sembra perduto e inutile.

Il racconto dell’incontro dell’Angelo Gabriele (che in ebraico significa Forza di Dio) con Maria è un invito ad avere anche noi questa fiducia di Dio, verso noi stessi e verso il mondo che ci circonda, che sembra così vuoto di Dio e lontano. Dio continua a scegliere la Galilea, cioè i confini dell’umanità, per dialogare e per cercare collaborazione per il suo piano di salvezza. Cerca anche me e anche te, e anche colui e colei che accanto a noi due ha desiderio di fare qualcosa per il mondo, ed essere segno di speranza.

“Nulla è impossibile a Dio”, dice l’Angelo a Maria. Lo suggerisce anche al mio cuore, e al cuore di tutti noi che hanno il nostro stesso compito di essere testimoni di Dio in questa Galilea del mondo dove viviamo.

E come ha fatto Maria, questa donna apparentemente insignificante, anche noi possiamo dire “Eccomi!”… Ci sono anche io, posso farcela… Dio, conta anche sul mio aiuto su questa strada in salita che hai scelto per venire accanto a ogni uomo.

Giovanni don

Nella Chiesa nessuno è straniero

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.

Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.

E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna

(dal Vangelo di Matteo 25,31-46)

 

Una volta un bambino mi ha posto una domanda più o meno con queste parole: “Gesù dopo che è morto è andato in paradiso perché era tanto buono e aiutava tutti?”

La domanda è proprio da bambini, ma se ci pensiamo bene non è poi così banale perché mi costringe a pensare profondamente l’identità di Gesù, la sua vita e l’insegnamento che vien fuori dal suo agire.

La pagina che leggiamo questa domenica è il racconto dell’ultimo grande discorso di Gesù prima di entrare nel racconto della sua morte e resurrezione: è il riassunto e il senso profondo di tutta la sua esistenza, e dopo queste parole affronta il capitolo più intenso di tutta la sua vita.

Gesù parla di un giudizio finale e come sempre, mentre dà insegnamenti ai suoi discepoli, rivela molto anche di se stesso.

Chi è Gesù se non colui che ha fatto di tutto per mettersi dalla parte degli ultimi, dei più piccoli, dalla parte dell’affamato, dell’assetato, del povero, dello straniero e del malato? Gesù ha scelto di compromettersi totalmente con gli ultimi, anche a costo di essere frainteso e giudicato male persino dai suoi amici. Nella sua vita si scontra con le autorità religiose che più volte lo considerano un impuro e indegno perché sta con i peccatori e le prostitute, tocca e si fa toccare dai malati, e proviene dalla Galilea che è ai confini e lontana dal centro ortodosso della fede che è Gerusalemme. Il Maestro scandalizza anche i suoi discepoli quando mette al centro i bambini, come metro di misura su chi è veramente grande nel Regno di Dio.

Gesù è davvero l’Emmanuele, cioè il Dio-con-noi, dentro la realtà umana anche nelle sue pieghe più umili e limitate. Ogni volta che anche io mi immedesimo nel piccolo e povero, e ogni volta che mi prendo carico delle sue sofferenze, sono dalla parte di Gesù che ha fatto la stessa cosa, ed è addirittura dentro quel piccolo e povero.

Tra le varie opere di misericordia che la pagina del Vangelo elenca ce n’è una di estrema attualità ed è assai provocante per noi cristiani di oggi: “ero straniero e mi avete accolto”

 

La nostra Diocesi di Verona ha elaborato un documento che nel panorama delle Diocesi italiane rimane un po’ unico e davvero esemplare. Si tratta del lavoro che una equipe di preti e laici ha elaborato sulla questione del rapporto tra immigrati e comunità cristiane. Il titolo scelto è davvero riassuntivo e illuminante “Nella mia parrocchia nessuno è straniero”.

Nel lavoro fatto si sono evidenziati i percorsi possibili di una pastorale che veda gli stranieri, sempre più numerosi nel nostro contesto sociale, non solo come realtà da servire in modo distaccato e lontano, ma come persone da includere sempre più come parte della comunità cristiana stessa. Se davvero crediamo che nello straniero accolto, accogliamo Gesù (“ero straniero e mi avete accolto”) allora non possiamo certo trattare Gesù da estraneo, lui che è fondamento della nostra esperienza di fede e di comunità.

Sono tante le tensioni che attraversano la nostra nazione e le nostre realtà locali riguardo il rapporto con gli stranieri e il carico di problemi che si creano, mischiati alle problematiche della crisi economica che si fa sempre più profonda. La risposta del cristiano parte decisamente dal Vangelo che non può rimanere relegato sull’ambone in chiesa, ma deve tradursi in scelte e atteggiamenti condivisi da tutti.

Certo non è facile e non bastano due iniziative di carità per risolvere la questione. Bisogna prima di tutto ricordarci chi siamo e quale stile aveva Gesù Cristo, di cui portiamo il nome.

Lui, straniero per eccellenza, è si è fatto cittadino del mondo e chiamava fratelli tutti gli esseri umani.

Così la comunità cristiana sceglie di far sì che chiunque, italiano e non, comunitario o extra-comunitario, cristiano o non, non si senta mai straniero e non trovi mai confini e dogane umane a respingerlo.

Riprendendo la domanda che mi era stata posta dal bambino, posso proprio dire che Gesù davvero è andato in paradiso perché dal paradiso era sceso per mostrare la bontà di Dio e l’amore verso tutti.

Giovanni don

In cammino coi Santi

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In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
(dal Vangelo di Matteo 5,1-12)

Clotilde e Gaetan sono due giovani che qualche giorno fa si sono fermati a cercare un riparo per la notte in parrocchia. Si sono sposati a fine agosto nel loro paese nella Francia centrale, e il giorno dopo il loro matrimonio si sono messi in viaggio a piedi verso Gerusalemme, trainando un carretto arancione con le loro poche cose. Hanno deciso così di iniziare il loro cammino di vita matrimoniale, con questo lungo pellegrinaggio che li poterà ad affrontare non poche difficoltà molto concrete per arrivare alla meta.
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Questi due giovani sono stati con noi qualche ora, giusto il tempo per pregare insieme, mangiare qualcosa e passare la notte, poi al mattino sono ripartiti, lasciandoci come regalo in parrocchia la loro testimonianza di piccola comunità di fede e amore “in cammino”. Il loro sorriso e la totale disponibilità e fiducia nei nostri confronti, hanno stimolato anche il mio sorriso e la mia disponibilità e fiducia. Vederli ripartire lentamente con il loro carrettino arancione mi ha fatto ritrovare un pizzico di fiducia nella vita e anche nelle mie possibilità di fare anch’io i miei passi di vita, superando la tentazione di bloccarmi perché penso di non farcela.
I Santi che la Chiesa oggi ricorda tutti insieme sono in fondo come Clotilde e Gaetan. Sono li per noi per ricordarci che la strada della vita di fede anche se dura non è impossibile da percorrere. Ognuno di loro ha fatto il proprio percorso in un luogo e tempo preciso della storia umana. Hanno avuto anche loro momenti di salita e di affaticamento, ma alla fine sono arrivati alla meta, che è la Gerusalemme del cielo. Ricordare un santo o una santa, andando a conoscerne la storia e quello che hanno detto e fatto, ci aiuta a fare il nostro cammino che è solamente in un epoca e luogo diversi dal loro, ma non per questo impossibile oggi per noi.
Le Beatitudini sono quella stupenda pagina del Vangelo che ci aiuta a contemplare nella nostra vita l’azione di Dio, che di fa suoi figli, ci consola, ci sazia della sua Parola, ci perdona… La beatitudine viene come dono di Dio possibile per tutti, basta mettersi in cammino e non cedere alla tentazione di pensare che solo pochi possono fare la strada di Dio.
Clotilde e Gaetan fanno questo cammino insieme, sperimentando cosa vuol dire realmente aiutarsi, sostenersi, portare i pesi l’uno dell’altro, allungare o rallentare il passo per non perdersi, e alla fine gioire insieme per la meta raggiunta. Questa è la Chiesa che Gesù vuole, fatta di Santi che sono in cielo e che hanno fatto già il loro pezzo di cammino e fatta di noi qui che siamo per strada, non da soli, ma insieme gli uni accanto agli altri

Giovanni don

Maria la donna che corre con l’umanità

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In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua
(dal Vangelo di Luca 1,39-56)

Maria corre da Elisabetta per verificare il segno che l’angelo le ha dato la notte dell’annunciazione. Maria probabilmente è spinta da sentimenti contrastanti, che il racconto di Luca ci fa intravedere e che noi, lettori di oggi, possiamo immaginare cercando di immedesimarci in lei.
Corre con un sentimento di smarrimento, perché quello che le è stato annunciato è davvero più grande di lei. Ha accettato di diventare madre terrena del Figlio di Dio che entra nel mondo, ma non senza dubbi, paure e fatiche interiori. Maria dunque si alza e da Nazareth corre in questa misteriosa città di Giuda.il fatto che questa città sia così indeterminata sembra rappresentare le molteplici mete che tutti gli uomini e donne del mondo e della storia cercano di raggiungere, carichi anch’essi dello smarrimento e paura di Maria.
Maria ha sicuramente paura, perché la paura non è un peccato ed è un sentimento umanissimo. La paura è anche quell’istinto che ci preserva da tanti pericoli e ci fa essere cauti e attenti nell’affrontare l’ignoto. Maria ha paura di non trovare nulla di tutto quello che le è stato dato come prova di Dio. Ma insieme alla paura ha anche sentimenti di speranza e coraggio, senza i quali non sarebbe uscita dalla porta della sua sicura casa della Galilea.
In questi giorni abbiamo visto attraverso i mezzi di comunicazione le migliaia di uomini, donne e bambini cristiani e anche di altre minoranze religiose, che dalle regioni più interne dell’Iraq corrono via spaventati dalla terribile minaccia di morte degli estremisti islamici. E sappiamo che questa corsa per moltissimi di loro è stata inutile, perché la morte più terribile li ha raggiunti. Abbiamo visto anche la corsa degli abitanti di Gaza stretti nella morsa della guerra tra Hamas e Israele, e che non sanno davvero dove fuggire per evitare morte e distruzione. E non finisce la corsa di migliaia di profughi e stranieri che si imbarcano su fragili imbarcazioni per fuggire dalla fame e dalle guerre cercando rifugio sulle nostre coste europee.
Ma anche più distante in Africa e in Asia, altre migliaia di persone non fermano la loro corsa di sopravvivenza, tra guerre, povertà, epidemie.
La nostra umanità è segnata da questa corsa piena di paura e smarrimento, come Maria, ma anche con voglia di vivere e la speranza di un futuro migliore.
La corsa di Maria termina nell’incontro gioioso con Elisabetta, che le conferma con un semplice saluto, che tutte le sue paure, incertezze e dubbi possono scomparire. “Benedetta tu fra le donne”, si sente dire alle orecchie e al cuore.
E dalla certezza interiore che davvero Dio l’ha riempita della sua grazia, Maria pronuncia un inno che va oltre la sua situazione personale e attraversa i secoli.
Il canto del Magnificat vede un mondo nuovo, libero da ingiustizie, povertà, e odio e pieno dell’amore di Dio e della felicità e solidarietà tra i popoli.
Il Magnificat di Maria è pronunciato per la nostra umanità di oggi, specialmente quella segnata dalle violenze e sofferenze più grandi.
Noi cristiani che ascoltiamo e preghiamo con queste parole di Maria, ci impegniamo a far sì che non siano parole vane e promesse inutili scritte su antichi libri.
Noi cristiani crediamo che davvero il Signore guarda l’umiltà dei più piccoli e che vuole rivoluzionare il mondo, dando da mangiare agli affamati, innalzando gli umili, soccorrendo ogni uomo e donna….
Noi cristiani non possiamo non impegnarci a cambiare il mondo così come Maria, ispirata da Dio, ha pronunciato quella sera nella città di Giuda insieme con Elisabetta.

Giovanni don

Abbiamo fame di Dio?

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In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
(dal Vangelo di Matteo 14,13-21)

Tra qualche giorno con un gruppo di giovani, partirò per Assisi. Staremo nella città di San Francesco quasi una settimana, e avremo così occasione di confrontarci con quella straordinaria storia umana e di fede che ancora oggi, a 800 anni dalla morte del Santo, ispira milioni di persone credenti e non credenti.
Una delle prime cose che faremo appena arrivati non sarà di gettarci subito nella visita dei luoghi storici della vita di Francesco, come fossimo lì solo per turismo artistico e culturale. Il programma che abbiamo preparato con gli animatori prevede di fermarci ad ascoltare la nostra vita come è adesso, nel momento in cui iniziamo questa esperienza. La domanda che ci faremo appena sistemati nella casa, dove siamo ospiti, sarà: “perché siamo qui? Di cosa ha bisogno la mia vita umana e spirituale adesso? Quali sono i vuoti da riempire nel cuore?”. In sintesi la domanda può essere: “di cosa ho fame adesso?”
Tutti gli evangelisti, e quindi anche Matteo, raccontano questo fatto straordinario della moltiplicazione dei pani e pesci che Gesù ha operato con i suoi discepoli e le folle. Se il ricordo è così forte, questo significa che davvero è un evento centrale e dal significato così essenziale che non deve essere dimenticato dalle generazioni successive di discepoli.
Gesù opera un prodigio in risposta ad una fame concreta e reale nelle folle che lo seguono, uomini e donne che sono però affamate anche di Dio tanto quanto di pane da mangiare.
Gesù è venuto a dare da mangiare, a dare risposta all’uomo che rischia di morire di fame non solo di cibo per lo stomaco, ma anche di cibo per il cuore, di amore, di pace…
La prima risposta a questo problema del pane da mangiare viene dagli apostoli che vorrebbero che ognuno si arrangi, andando a comprare il cibo.
Ma Gesù cambia totalmente la prospettiva, e passa dal “comprare” al “condividere”: “voi stessi DATE loro da mangiare…”
La condivisione del poco risolve il problema della fame, e gli apostoli diventano modello di una comunità cristiana che non si blocca e non si chiude difronte alla fame del mondo, ma si mette al servizio, convinta che è possibile sfamare l’umanità, anche se i mezzi sembrano insufficienti. Gesù vede la fame del popolo e insegna agli apostoli di prendersi carico di questo senza paura e con profonda speranza.
Quando partecipiamo alla messa domenicale è davvero importante prima di tutto domandarsi “ho fame di Dio? Di cosa la mia vita ha bisogno? Con quali vuoti interiori sono qui oggi?” Riconoscere che abbiamo fame di Dio, di amore, di fraternità, di pace… ci aiuta a vivere quella celebrazione con maggior frutto e partecipazione vera. Ed è importante riconoscere che anche il fratello accanto a me è venuto lì con la sua fame di qualcosa, con i suoi vuoti, dubbi e domande. Gesù è lì per sfamare me e lui, ed insegna a me e a lui di prenderci carico insieme della fame dell’umanità, una fame di beni materiali ma ancor più di senso della vita e di Dio. E se ci sembra di avere poco tra le mani, perché ci sembra di avere pochi mezzi materiali, poca fede, poche capacità, non dobbiamo cedere alla paura e non dobbiamo scoraggiarsi. Il miracolo della moltiplicazione e della condivisione può ripetersi anche oggi.
Non so ancora cosa succederà in questi giorni ad Assisi. Conosco bene il programma che ho preparato e quanto spenderemo per vitto, alloggio e spostamenti. Ma non ho idea di quello che verrà donato a me e ai giovani in questa esperienza. Ma sono fiducioso perché ad Assisi andiamo per conoscere proprio la storia di un giovane che da ricco che era, ha rinunciato a tutto, perché sentiva che solo nel Vangelo e nell’amore di Cristo riusciva a sfamare fino in fondo al sua fame di felicità e la sua voglia di vivere.

Giovanni don

Il potente seme della Parola di Dio

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Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
(dal Vangelo di Matteo 13,1-23)

Penso davvero che la celebrazione della Messa domenicale è lo specchio della vita reale dell’intera comunità cristiana e del singolo cristiano. Da come una comunità cristiana vive l’appuntamento domenicale si può capire come vive la vita cristiana ogni giorno, tutti quanti, prete compreso.
Dalla mia posizione alta sull’altare osservo quel che accade giù dai gradini, e mi piace osservare l’atteggiamento della comunità nel suo complesso e anche i singoli. Il mio non è uno sguardo intento a giudicare, ma solo un punto di osservazione per meglio conoscere e comprendere chi ho davanti e domandarmi, come prete che presiede il rito, cosa fare perché la Messa sia più possibile vissuta bene e con frutto. Ovviamente osservo anche me stesso e mi accorgo che non ho davvero nessun diritto di giudicare nessuno, perché anche io sono alla fin fine sotto lo sguardo di Dio Padre che vede e ama tutti allo stesso modo.
Uno dei momenti più importanti della Messa è proprio quello dell’ascolto della Parola di Dio, nella prima parte della celebrazione. Mi domando spesso in che modo questa Parola viene ascoltata e come io la ascolto. Non è una semplice lettura di testi antichi, ma in quel momento, proprio perché dentro un momento di preghiera, è l’ascolto di Dio che parla e vuole seminare nel nostro cuore la sua Parola di vita.
E’ proprio come la semina di cui parla Gesù nel Vangelo, e Matteo l’evangelista, ricorda questo paragone che il maestro ha usato per parlare di se e dei suoi insegnamenti donati ai singoli apostoli e al popolo intero.
La Parola di Dio è un seme potente, potentissimo e ricco di vitalità. Se un seme di grano al tempo di Gesù poteva al massimo produrre altri trenta chicchi, quello che Dio semina nel nostro cuore, e che passa necessariamente dall’orecchio di chi ascolta o dall’occhio di chi legge, è capace di produrre fino a cento volte tanto e il trenta è il minimo!
Questa è la Parola che ogni domenica, attraverso la voce dei lettori e del prete, viene seminata nell’assemblea radunata.
La domanda che mi pongo osservando l’assemblea è proprio questa: siamo tutti consapevoli di questa potenza? Crediamo realmente che quelle parole antiche che emergono dalla Bibbia letta a brani diversi ogni domenica, hanno la capacità di cambiare il mondo e di portare un frutto straordinario di vita?
Spesso osservo che molti, arrivando in costante ritardo, si perdono parte della semina domenicale della Parola, oppure sedendosi distratti nel banco innescano lo “stand-by” delle orecchie e della mente, e la Parola rimbalza via dalla testa. E’ anche vero che spesso la Parola viene letta in modo non adeguato e questo non aiuta l’ascolto, e tutto ciò non aiuta la semina domenicale da parte di Dio che vuole comunicare con noi. Anch’io a volte mi accorgo di essere distratto e con il pensiero altrove, e oltre a non dare un buon esempio di ascolto, mi perdo pure quello speciale momento di incontro con Dio che non è meno importante e intenso della Consacrazione del pane e vino sull’altare.
Come premesso, non sono qui a giudicare, ma a richiamare prima di tutto me stesso a questa favolosa e insostituibile potenza della Parola di Dio, che Gesù getta in continuazione anche quando non è ascoltato e rifiutato. Come comunità cristiana, siamo chiamati pure noi a non smettere di seminare la Parola nella Chiesa e attorno a noi, con le parole e con la vita.
Infatti seminare la Parola non significa solo leggere e divulgare il testo scritto della Bibbia, ma far sì che la nostra vita, con i nostri gesti e parole, racconti quella Parola che Dio ha prima di tutto seminato in noi.
La Parola di Dio ogni domenica è seminata nella comunità, in noi, anche quando siamo terreno arido, anche quando siamo soffocati da preoccupazioni o poco profondi. La Parola di Dio viene seminata perché in tutti, anche il più distratto, esiste almeno un po’ di terreno buono, e li, prima o poi, quella Parola potente produrrà molto frutto!

Giovanni don

Siamo sale, siamo luce

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
(dal Vangelo di Matteo 5,13-16)

Siete sale della terra! Siete luce del mondo!
Queste espressioni che Gesù pronuncia ai suoi discepoli sulla montagna, hanno una forte carica positiva, e si traducono immediatamente per i discepoli in un impegno ad essere quello che sono (sale e luce), senza nasconderlo o perderlo.
Essere sale della terra, significa, nel linguaggio evangelico, essere segno di fedeltà a Dio, una fedeltà che non si deve perdere…
Essere luce, significa diventare punto di riferimento per tutti coloro che cercano Dio nel buio della loro vita e delle vicende tristi del mondo. Gerusalemme e il Tempio costruito in essa, nella tradizione biblica, avevano questa vocazione, cioè essere punto di attrazione e luce per tutti i popoli. Ora sono i discepoli, e non più una città o un luogo specifico, a diventare con le loro opere d’amore punti luminosi nella storia, in ogni luogo o tempo in cui si trovano, quindi anche oggi.
L’altra sera abbiamo letto e meditato questo brano del Vangelo con i componenti del nostro gruppo missionario parrocchiale, e ci siamo chiesti se questa pagina è ancora vera oggi. Ci siamo chiesti se anche oggi Gesù direbbe ai suoi discepoli del XXI secolo “voi siete sale della terra e luce del mondo”. Tutti hanno raccontato la propria esperienza di incontro con quei missionari, che in varie parti del mondo spendono la loro vita nella testimonianza della fede, e nel racconto, tutti concordavano del dire che i missionari conosciuti mostravano una serenità grande e una incredibile luce negli occhi…
Era presente all’incontro anche un padre comboniano, originario della nostra parrocchia, padre Raffaello Savoia, che da tantissimi anni si occupa della missione in America Latina, e in particolare della condizione degli afro-americani. All’inizio della condivisione è rimasto in silenzio e in ascolto, specialmente quando quelli del gruppo missionario raccontavano la loro idea di missionario, come persona sempre serena e forte e con una “luce particolare” negli occhi, proprio come dice il Vangelo. Quando gli ho chiesto se era d’accordo su tutto quello che era emerso, si è messo a raccontare della situazione della zona dove si trova ultimamente ad operare, cioè quella parte della Colombia che confina con il Venezuela.

Tutta la luce che sembrava brillare sulla missione e i missionari è sembrata improvvisamente spegnersi. Infatti il racconto delle terribili condizioni della popolazione e dei missionari di quel luogo, costretti a convivere e a sopravvivere alla violenza della guerriglia e dei signori del narcotraffico, ha messo in tutti una certa angoscia. La cattiveria umana quando si scatena è davvero una terribile cappa di buio che oscura i cuori, la speranza e il futuro dei singoli e di un intero popolo. Ad un certo punto del racconto di padre Raffaello ho pensato che forse noi uomini oggi nel mondo siamo più oscurità che luce e siamo più veleno che sale. Con quel racconto, il quadretto del missionario sempre felice e pieno di entusiasmo sembrava rompersi definitivamente. Ma è stato proprio padre Raffaello, che conosco da anni come persona carica di entusiasmo, fede e voglia di vivere, a sottolineare che proprio in quelle condizioni così terribili di quella zona di missione, i missionari, invitati più volte a lasciare tutto e mettersi in zone più sicure, sono invece rimasti e fermamente convinti a continuare la loro presenza. Essere sale della terra, cioè segno di fedeltà a Dio, ed essere luce del mondo, cioè punto di riferimento per chi cerca Dio, è a volte assai difficile e richiede un grosso atto di coraggio in Colui che rimane sale e luce per gli uomini, cioè Gesù. Lui è la luce del mondo ed è colui che sulla croce è rimasto fedele al patto d’amore tra Dio e l’uomo, anche quando il buio scendeva su tutta la terra…
Gesù quando dice “voi siete sale, voi siete luce” lo dice consapevole che il mondo è pieno di buio e violenza, ma proprio per questo crede negli uomini che si è scelto come discepoli, anche se loro stessi sono segnati dal limite umano.
Le tante zone oscure del mondo, dentro e fuori dell’uomo, hanno bisogno della nostra luce e del nostro sale, che sono la luce e il sale di Gesù in noi.
Se perdiamo la fiducia in Dio e pensiamo che il suo Vangelo non cambierà nulla, sarà davvero come gettare via il sale insipido e come nascondere una luce potente che invece andrebbe messa in alto.
Ascoltiamo dunque queste parole dette ai discepoli come rivolte a noi, a ciascuno di noi personalmente e come comunità. Sentiamole come un enorme atto di fiducia di Gesù che ancora oggi crede in noi e con noi illumina le tenebre del mondo.

Giovanni don

 

 

Vivere per non sopravvivere e basta!

uguali davanti a Dio (colored)

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
(dal vangelo di Giovanni 1,29-34)

Questo passo del vangelo di Giovanni è davvero singolare: anche se al centro della scena c’è Giovanni il Battista, e anche se tutte le battute sono sue… non è lui il protagonista. Al centro del racconto come protagonista assoluto e unico, anche se non appare in primo piano ma rimane sullo sfondo, c’è Gesù.
Giovanni Battista è lì per lui, non per se stesso o metter in mostra le sue buone azioni.
In un famoso quadro di Leonardo da Vinci, custodito al Louvre, Giovanni Battista viene rappresentano con il volto in primo piano mentre alza la mano e con il suo dito indica verso l’alto, da dove viene la luce che illumina la scena. Indica Gesù… anche se non si vede e non è dipinto…
In quel quadro è rappresentato Giovanni con la sua missione e la sua stessa ragione di vivere, cioè indicare Gesù presente nel mondo come segno di Dio.
Giovanni è il testimone che ci presenta la “carta d’identità” profonda di Gesù: è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.
L’evangelista Matteo e soprattutto Luca, ci raccontano i fatti della nascita di Gesù, l’evangelista Giovanni, attraverso la testimonianza del Battista, va più in profondità e ci presenta chi è realmente questo uomo apparso nella storia umana.
E’ l’Agnello di Dio, secondo le parole di Giovanni Battista, e qui richiama nella tradizione ebraica quell’agnello che fu mangiato in fretta dagli israeliti in Egitto e il cui sangue fu messo sulle porte. Quell’agnello pasquale fu all’inizio della liberazione del popolo dalla schiavitù d’Egitto, e fu all’inizio di quell’Esodo che trasformò degli schiavi in un popolo libero.
Ecco il senso della storia di Gesù, di ogni suo gesto e parola, e soprattutto il senso della sua morte in croce e resurrezione. Egli è la nuova e definitiva liberazione dell’umanità intera.
Su Gesù scende e rimane lo Spirito di Dio per tutto il percorso della sua vita, e sulla croce, lo Spirito viene di nuovo donato al mondo da Gesù morente. La forza di Dio, cioè il suo amore che ha creato il mondo, è nell’uomo di Nazareth, che va conosciuto, amato e seguito come liberatore.
La nostra dunque è la fede in questa liberazione dal peccato, cioè dalla lontananza da Dio e dalla nostra vera felicità e realizzazione umana. Non si parla di una semplice liberazione da “i peccati”, ma “dal peccato”, cioè la condizione di lontananza da Dio e di schiavitù del cuore, che ci rende piccoli e tristi e spesso intenti a seguire piccole gioie.
In un bel film di Ferzan Opzetek, “La finestra di fronte”, il protagonista anziano vicino alla morte, esorta la giovane protagonista amica a non limitarsi di sopravvivere nelle piccole gioie, ma di pretendere la felicità, con una fiducia maggiore in se stessa, nella vita, nel mondo (“non si accontenti di sopravvivere, lei deve pretendere di vivere in un mondo migliore!”). Gesù ci libera dal peccato del mondo… da quella forma di egoismo personale e storico che porta il singolo e la comunità umana a non sognare più in un mondo migliore e a non fa nulla per costruirlo, come lo sogna e lo costruisce Dio, come lo ha sognato e messo in pratica Gesù stesso nei suoi anni di vita terrena.
Ecco quindi il cristiano vero: non quello ripiegato su se stesso, pauroso in un fantomatico dio giudice o pauroso dei giudizi umani…. Il cristiano vero si sente illuminato da Gesù e di Gesù diventa testimone, indicandolo presente nella propria vita e nel mondo.

Giovanni don

Battezzati perchè immersi in Gesù

Battesimo 2014 (colored)

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
(dal Vangelo di Matteo 3,13-17)

Questa domenica sono invitato a partecipare ad un battesimo. E’ la prima figlia di una coppia di carissimi amici, che mi hanno chiesto, non solo di esser presente al rito, ma di prepararlo insieme una sera.
Posso affermare che il battesimo della bambina è iniziato già ancor prima dei segni previsti dalla liturgia.
E’ stata davvero una bella serata, alla quale erano presenti anche il padrino e la madrina. Abbiamo parlato di fede, del modo di intendere il nostro battesimo e di quello che ci ha insegnato la nostra vita cristiana. Abbiamo letto passi del vangelo e abbiamo pregato.
La parola battesimo, significa letteralmente “immersione”. Il battesimo attraverso il rito fondamentale dell’acqua immerge nella realtà di Dio e nella storia di Gesù, della quale si diventa parte.
Anche Gesù ha vissuto questo rito di immersione, che al suo tempo ovviamente aveva un significato un po’ diverso. Era un rito di purificazione che prevedeva un pentimento dai propri peccati e la promessa di conversione. Gesù lo vive manifestando così la sua immersione nel mondo. Lui è Dio e ha deciso di immergersi nella realtà umana fino in fondo, fino alla morte.
Giovanni Battista, che ha un idea un po’ diversa di Messia, vorrebbe impedire a Gesù di compiere questo gesto. Per il Battista il Messia deve venire a scacciare con decisione i peccatori e a ristabilire il bene sul male con forza e potenza. Non ha quindi senso questo gesto di umiliazione di Gesù. Ma è qui la novità che Gesù manifesta proprio con il gesto di mettersi in fila con gli altri peccatori. Gesù solidarizza con loro, non nel peccato, ma nella condizione umana di fragilità. La salvezza verrà da questo amore infinito e totale.
Tutta la storia di Gesù in seguito mostrerà questa totale immersione di Gesù nel genere umano, fino a diventare quasi scandalosa (tocca i lebbrosi, mangia con i peccatori, trasgredisce il sabato…).
E proprio nel momento più “basso” del rito, quando Gesù si è immerso nell’acqua “sporca” dei peccati umani, la voce dal cielo arriva a confermare Gesù: “…il lui ho posto il mio compiacimento”
Dio abita proprio in questo Gesù, così umano e umile, così in basso e così vicino ai peccatori da esser scambiato quasi come loro… La Salvezza viene dall’amore, dal perdono, dalla misericordia…
Chi viene battezzato oggi nella comunità cristiana, viene immerso in questo stile e progetto di vita, quello di Gesù. Se non abbiamo scelto il giorno del battesimo perché eravamo troppo piccoli, come la figlia dei miei amici, possiamo però scegliere di rimanere o meno in questo Gesù con le scelte di ogni giorno e con la ricerca continua di conoscere Gesù e il suo messaggio.
La figlia dei miei amici riceve due nomi, quello che i suoi genitori hanno scelto e che finisce sui documenti della chiesa e della società, e riceve il nome di Cristo che porta scritto nel suo spirito e nella sua storia.
Viene immersa in Gesù e chiamata a rimanervi per la vita, ma con piena libertà.
Ho detto prima che il suo battesimo è iniziato molto prima del rito di domenica, perché ho visto davvero una comunità attorno a lei, composta dai suoi genitori e dalla madrina e padrino, che sono in un vero cammino di fede, aperti a conoscere e amare Gesù, non come tradizione sociale, ma come scelta di vita. La bambina è immersa in una comunità cristiana che le testimonia fin da subito l’amore per il Vangelo.
E’ questo il compito nostro di cristiani quando pensiamo ai bambini che vengono battezzati e anche a tutti coloro che crescono come cristiani attraverso le varie tappe della vita. Siamo chiamati a rimanere tutti immersi in Gesù e nel suo Vangelo.
Ed è bello pensare che Dio, dal cielo, guardando in basso verso di noi può ripetere come fece su Gesù: “Ecco gli amati, in loro ho posto il mio compiacimento…”

Giovanni don

Magi senza censura

epifania amazon 2014 (colored)

 

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
(dal Vangelo di Matteo 2,1-12)

Ecco che vicino alla grotta o capanna del presepe fanno la loro apparizione i famosi tre re venuti da lontano lontano. Sappiamo anche i loro nomi: Baldassarre, Melchiorre e Gasparre… i tre re magi.
Magi? Cosa sono i magi? Non è che manca una lettera? Maghi forse…
Questo piccolo dubbio linguistico ne fa nascere forse un altro: ma dove è scritto che erano re? Il Vangelo non ne parla e nemmeno dice il loro numero esatto, perché Matteo narra che erano “alcuni”…
Il sospetto che la scena che ci racconta la tradizione classica del presepe sia una specie di piccola operazione di “censura” si fa largo. E pare proprio così…
Da quel che possiamo raccogliere da questo racconto di Matteo, i personaggi che vengono da lontano sono proprio dei maghi o qualcosa di simile. Sono sicuramente personaggi lontani dalla fede ebraica e lontani anche dalla vita moralmente accettata a quel tempo (e anche dalle prime comunità cristiane). Sono infatti degli scrutatori delle stelle, degli astrologi che si dedicano ad una attività fortemente condannata dalla Bibbia (e anche dalla Chiesa oggi). Averli fatti re sembrava averli un po’ elevati ad un rango più accettabile e aver dato loro un mestiere degno per essere tra i primi a conoscere il Figlio di Dio. Ma non è così. Dobbiamo farcene una ragione. Se l’evangelista Luca mette attorno al bambin Gesù degli umili e ignoranti pastori, Matteo sembra osare di più, raccontando che vicino al Dio-con-noi ci stanno quelli che più lontani non si può… e non coloro che avrebbero avuto tutto il diritto e la dignità di essere i primi, cioè i credenti e teologi di Gerusalemme. E facendo un balzo in avanti nel racconto evangelico, sappiamo che Gesù emetterà l’ultimo respiro tra due malfattori sempre fuori dalla città di Dio, senza aver attorno nessuno dei suoi, se non Maria e Giovanni (ma solo l’evangelista Giovanni lo racconta).
Superando dunque la piccola “censura” che ha addolcito un po’ la scena dei magi, possiamo vedere in questa scena dell’Epifania un messaggio che allarga all’infinito la visione della presenza di Dio tra gli uomini. Quel luogo così distante ad oriente dal quale vengono fatti provenire i magi, non è solo una indicazione spaziale ma esistenziale. Le “periferie del mondo” dal quale provengono gli uomini e donne che cercano Dio non sono solo da cercare dall’altra parte del mappamondo, ma anche dall’altra parte della nostra porta di casa, dall’altra parte della strada che percorriamo tuti i giorni, dall’altra parte del tavolo di lavoro, dall’altra parte della nostra stessa tavola di casa…
I magi siamo tutti noi e sono tutti coloro che in qualche modo sono bisognosi di incontrare Dio, anche se provengono da situazioni di vita distanti e opposte dalle nostre.
Gesù è “Dio-con-noi”, un “noi” che include tutti.

Giovanni don